Matteo Donghi e il RIS di Parma, “Lo scienziato e lo sbirro”- il testo
Parma, 12 nov. (askanews) – ‘Ricordatevi che il lavoro più vicino a quello del fisico è lo sbirro. Il fisico è curioso per natura. Lo sbirro è curioso per necessità. La maggior soddisfazione dello scienziato, dell’uomo di scienza È utilizzare al meglio gli strumenti tecnico scientifici che ci sono dati. Ma la soddisfazione dello sbirro è avere il nome’: lo dice il tenente colonnello Matteo Donghi, da inizio 2025 comandante del RIS di Parma, il più famoso dei reparti di investigazione scientifica dei carabinieri.
In questa intervista a SGUARDI, la rubrica di approfondimento di askanews, Donghi racconta come lui, fisico di formazione, sia stato folgorato sulla via di Damasco dalla bellezza delle indagini forensi. E ancora il caso del serial killer Bilancia e come ha rivoluzionato le investigazioni scientifiche; il futuro delle indagini forensi e cosa possiamo aspettarci dall’intelligenza artificiale, un tour nei laboratori del RIS, l’equilibrio fra la scienza e la necessità di portare elementi comprovabili in tribunale; e la sua esperienza nel 2024 alla Corte Penale Internazionale dell’Aia.
‘Tutto avrei pensato nella mia vita quando stavo all’università a che fare l’ufficiale dei carabinieri. Io sono un fisico di formazione, quindi laureato in fisica alla Statale di Milano, e sono uno di quei ragazzi che ancora era soggetto al servizio di leva’ racconta. ‘Da militare di leva con la laurea già conseguita sono stato preso dall’Arma dei Carabinieri mandato all’allora carabinieri investigazioni scientifiche di Parma, nel 1997. E qui sì, c’è stata la folgorazione sulla via di Damasco, perché fu un anno, il 1998 soprattutto, di grossi risultati investigativi, essenzialmente legati ma non solo al caso Bilancia, per chi lo ricorda il serial killer di Genova e della Liguria’.
‘Il caso Bilancia probabilmente è stato un momento di svolta non solo dell’esperienza del RIS di Parma, ma di tutto il forense italiano, perché per la prima volta si è avuto a che fare con un serial killer che è stato individuato e condannato per i 17 omicidi sulla scorta certo di un’attività investigativa tradizionale notevole, ma fu l’investigazione scientifica a fronte di una lunga lista di persone sospettate a identificare esattamente il responsabile’.
‘Io avevo vinto contestualmente il dottorato di ricerca a Scienze dei materiali perché io vedevo me stesso come probabilmente impiegato all’università. È uscito un concorso per questa posizione quindi per la posizione di un fisico nel ruolo tecnico dell’Arma dei Carabinieri; un concorso nazionale ‘ci sono due posti ma non lo vincerò mai’ dicevo. Invece ho avuto la fortuna, diciamo anche, speriamo la bravura di averlo vinto, e sono qui, stregato dal ruolo delle investigazioni scientifiche che sono le scienze forensi, un ambito bellissimo della scienza’.
Donghi racconta poi di uno dei ricordi che gli dà maggiore soddisfazione: ‘Quando si passa da una macchia di sangue, un mozzicone di sigaretta un’impronta sulla scena ad un nome, eh beh… Particolarmente coinvolgente per me fu l’omicidio di Marco Pittoni. Marco Pittoni era un nostro tenente dell’Arma dei Carabinieri ucciso a Pagani, in provincia di Salerno.
La competenza era del RIS di Roma, io stavo a Roma, andammo subito sulla scena perché venne trovata la macchina utilizzata dai rapinatori, dagli assassini. Rilevammo delle impronte che mandammo al reparto in tempo reale. Ricordo questo, questo passaggio per cui spengo la luce e dopo 5 minuti mi bussano alla porta. Il collega che stava dormendo nella stanza a fianco dicendo ‘La banca dati ci ha dato un nome, abbiamo un nome, abbiamo un nome’, eh beh, è una grossa soddisfazione’.
E l’intelligenza artificiale? ‘Le novità forti che ci sono nel settore delle investigazioni scientifiche sono ad oggi novità strumentali. Ma è una normale evoluzione che non abbandona mai un percorso già tracciato. Questo è fondamentale per mantenere quella scientificità tale da presentare una prova a un tribunale’.
‘Un vanto che noi abbiamo, questo lo dico con un po’ di immodestia è quello che noi come Italia, come Paese Italia, come arma dei carabinieri, come supporto scientifico dell’Arma dei carabinieri, non abbiamo nulla a che invidiare almeno a livello europeo. Faccia conto che noi siamo parte di un network europeo di istituti di scienze forensi che si chiama ENSI. Uno degli obiettivi dell’ENSI è svolgere degli esercizi collaborativi, quindi dei test al buio, e ad oggi fortunatamente ci collochiamo nella fascia nella prima fascia di qualità per quanto riguarda i risultati forniti in tutte le discipline’.
‘Sicuramente la sfida dell’intelligenza artificiale è la sfida attuale. Però ancora effetti benefici concreti dell’utilizzo di algoritmi o approcci di intelligenza artificiale a fini forensi non ne ho visti. Ci sono algoritmi software, che danno degli esiti: ad esempio algoritmi di invecchiamento delle persone, quindi io do una foto all’intelligenza artificiale di un soggetto di venti anni e l’algoritmo lo invecchia a 60 anni, a 40 anni. Non ho però la possibilità di utilizzare questo algoritmo, se non è chiaro come funziona. Se faremo un passaggio nei laboratori analitici, vi accorgerete che ogni laboratorio è chiuso con delle pressioni controllate, ma tutti hanno delle grosse finestre di ispezione. Questo perché? Perché comunque le difese o comunque le parti processuali interessate debbono sempre poter vedere, se presenti e autorizzate, che cosa avviene all’interno del laboratorio analitico. Sulla trasparenza di tanti algoritmi di intelligenza artificiale, anche i più sofisticati, su questo c’è ancora molto da lavorare’.
‘La cosa che io dico sempre più caratteristica è che noi siamo diventati famosi come reparto investigazioni scientifiche, come gli uomini in tuta bianca che fanno rilievi sulla scena del crimine’ prosegue Donghi. ‘Ma a fronte di decine di casi per anno in cui un reparto come il mio esce sulla scena del crimine, ci sono migliaia di casi in cui invece vengono gestiti in laboratorio con reperti riportati appunto dall’Arma territoriale, quindi dai colleghi sul territorio ed inviati per le analisi qui da noi. Gli omicidi possono essere poco più di un centinaio l’anno, ma gli altri casi non sono tutti dei tentati furti.
‘Io sono al comando solo da qualche mese, quindi non so se siano in aumento i casi di violenza sessuale; ma sicuramente sono un numero che mi ha colpito. Questo grosso numero può essere dovuto o a un incremento effettivo o l’altra possibilità è che ci sia più sensibilità da parte delle vittime a denunciare. Se così fosse sarei contento. Sono reati abbietti, vanno perseguiti e su questi reati le investigazioni scientifiche funzionano molto bene’.
Prima di arrivare a Parma, Donghi ha passato il 2024 distaccato alla Corte Penale Internazionale dell’Aia: ‘È stata la prima esperienza di personale italiano distaccato alla Corte’ ricorda; ‘È stata un’esperienza illuminante, perché quello che si avverte stando in Corte penale internazionale è certamente il peso dell’attività che viene svolta, la difficoltà spesso di ottenere dei mandati di arresto e di non poterli eseguire. Abbiamo mandati d’arresto pendenti per il Presidente Putin e per il primo ministro Netanyahu che difficilmente andranno mai ad essere eseguiti. Io fortunatamente ho seguito nei vari casi di mia competenza il capo d’accusa nei confronti del Presidente Duterte delle Filippine che invece è stato arrestato e consegnato alla Corte penale internazionale qualche mese fa. E poi ricordiamo una cosa, la Corte penale internazionale dell’Aia è la Corte che giudica i soggetti singoli, mentre la Corte sempre con sede all’Aja, la Corte dell’ONU, processa gli Stati. Allora, processare uno Stato è qualcosa di impalpabile; arrestare un responsabile di un genocidio è qualcosa che invece è chiaro a tutti che cosa voglia dire’.
‘C’è grossa discussione in questo momento su quelle che sono le definizioni tecniche di genocidio, se una attività possa dirsi genocidio oppure no’ elabora Donghi, ‘che fa rabbrividire: stiamo parlando di reati gravissimi. In realtà il Protocollo di Roma è molto esplicito su quelli che sono i limiti e le competenze della Corte e anche molto esplicito su quelli che sono le definizioni di cosa sono crimini di guerra, crimini contro l’umanità, il reato di genocidio. È chiaro che sarà in carico al Procuratore della Corte penale internazionale muovere un’accusa, quindi capire se i comportamenti svolti dalla persona imputata rientrano all’interno dei quattro reati perseguiti dalla Corte e, se del caso, quali’.
‘Io sento molto l’esigenza di giustizia come una motivazione, nel senso che è una cosa che ricordo anche al mio personale’ conclude Donghi. ‘Ricordiamoci sempre che c’è una vittima che chiede giustizia: ma giustizia non è vendetta però. Non è ‘vogliamo un colpevole a tutti i costi’. A me ha dato negli anni molta soddisfazione anche aver provato che l’indagato non è quello giusto; è una soddisfazione anche questa, perché ripeto, giustizia non è vendetta, non è avere un nome da poter buttare nella gogna e dire abbiamo trovato l’assassino, se poi non è l’assassino vero’.
