Coronavirus, il racconto di due infermieri aostani: «In reparto un mostro invisibile, a casa l’abbraccio dei bimbi»
Paolo e Anna sono due giovani infermieri (e genitori) che lavorano a contatto con pazienti Covid-19 positivi nell'ospedale Parini di Aosta
Coronavirus, il racconto di due infermieri aostani: «In reparto c’è un mostro invisibile, ma a casa ci aspetta l’abbraccio dei bimbi».
«Quando arrivi a casa la prima cosa che vuoi fare è abbracciare i bimbi, ma adesso, nonostante la voglia e l’istinto di farlo, cerchi di farlo il meno possibile. Facciamo un lavoro stressante, ma in questo periodo al tutto si somma la paura di infettarsi e di portare il virus a casa, attaccandolo ai bambini». Paolo e Anna (nomi di fantasia) sono una coppia. Sono giovani infermieri e hanno due figli piccoli.
A fronte dell’emergenza coronavirus e della riorganizzazione interna dell’ospedale Parini di Aosta, entrambi si sono trovati a lavorare quotidianamente a contatto con pazienti Covid-19 positivi.
Paolo racconta: «Il nostro lavoro è da sempre quello di dare una mano. In questo momento storico, più che altri, è una cosa che devi avere dentro. Noi,come tutti gli altri infermieri in gamba che lavorano in ospedale abbiamo dato la disponibilità a coprire turni e, come tutti, restiamo spesso al lavoro per 9 o 10 ore. Ormai non guardiamo più l’orologio perché ci son otante mansioni da portare a termine».
Insomma, «al lavoro combattiamo con un mostro invisibile, poi a casa cerchiamo di fare la vita di sempre. I bimbi ci danno la carica per andare avanti, ma è chiaro che c’è sempre quell’ansia di poter portare il virus a casa. Come genitori, la nostra priorità è che loro stiano bene».
E, come se non bastasse, per chi ha figli ci sono anche problemi organizzativi: «E’ difficile che i nostri turni siano coordinati – continua Paolo -, siamo costretti a chiedere aiuto ai nonni. Quindi si aggiunge il timore che, se noi lo attacchiamo ai bimbi, loro possano contagiare anche i nonni».
Per difendersi, i due infermieri raccontano di aver «imparato a memoria i protocolli perla vestizione e la svestizione al lavoro». Due momenti fondamentali per evitare il contagio. Spiegano: «Utilizziamo tutti i dispositivi di protezione individuale: calzari, tuta intera,mascherine, guanti e occhiali.Vestiti così si ha davvero caldo, si fatica a respirare e abbiamo anche alcune difficoltà nei movimenti. Però è necessario,abbiamo che fare con un virus molto contagioso».
Alla fatica fisica poi si aggiunge quella psicologica: «Le persone risultate positive o sospette sono sole in stanza o al massimo in due e non possono ricevere visite. Chi ha uno smartphone chiaramente si tiene in contatto con i parenti, ma gli anziani non possono farlo, quindi si sentono soli. Quando arriviamo a casa sentiamo tutta la stanchezza da stress accumulata, le gambe diventano molli e le spalle contratte. Però, per fortuna, ci sono i bimbi. Ci raccontiamo la giornata,ci facciamo forza e ci diciamo che questa cosa la supereremo».
Ma come si fa a spiegare ai bambini che sarebbe meglio non stare troppo vicini a mamma e papà? E come si fa a dirgli che non possono più giocare con i loro amichetti? «Noi facciamo il possibile, però è chiaro che c’è sempre il momento della coccola…Ora stiamo provando almeno a evitare di dormire con i bimbi – risponde Paolo -. Al più grande abbiamo spiegato la situazione e lui, a modo suo, ha capito. L’altra mattina mi ha chiesto:‘Papà ma oggi c’è ancora il coronavirus?’. Hanno capito che è importante lavarsi spesso le mani, starnutire o tossire nel gomito. Loro sanno che lavoriamo in ospedale. Tutti e quattro insieme, comunque, cerchiamo di continuare quella che definirei la vita di tutti i giorni».
(federico donato)