Processo Geenna, il teste: «Forse consegnai io il santino di San Michele Arcangelo a Raso»
Marco De Muru, agente immobiliare sentito come testimone della difesa del ristoratore, ha anche riferito in merito alla creazione di una loggia massonica in Valle d'Aosta
«E’ possibile che fui io a consegnare il santino plastificato di San Michele Arcangelo ad Antonio Raso. Per me è un simbolo importante perché l’ho visto in sogno quando ero piccolo. E’ una cosa mia, diciamo che è un po’ il mio santo protettore. Di santini ne regalo una marea, poi se qualcuno gli tiene o li butta non mi interessa. Per me è un simbolo di protezione». Lo ha riferito in aula Marcos De Muru, agente immobiliare sentito come testimone della difesa Raso (imputato per associazione mafiosa ndr) nell’ambito del processo Geenna ad Aosta.
In base a quanto emerso dalle dichiarazioni rese in aula dai militari che hanno lavorato all’inchiesta della Distrettuale di Torino, dalle perquisizioni eseguite dopo gli arresti del 23 gennaio 2019 sarebbe emerso che nel portafoglio del ristoratore aostano era presente un santi di San Michele Arcangelo, patrono della Polizia ma anche della ‘ndrangheta.
Rispondendo alle domande degli avvocati Pasquale Siciliano e Ascanio Donadio, il teste ha spiegato: «Ho conosciuto Raso perché lavoravo vicino al suo ristorante. Da lì è nato un rapporto di conoscenza in quanto andavo abitualmente nel suo ristorante».
De Muru ha poi riferito in merito all’interessamento del ristoratore aostano per la massoneria. «Volevamo creare una loggia massonica ad Aosta – ha affermato -. Io sono appassionato di massoneria, simbologie ed esoterismo. Era una passione che ho da tempo e ne parlai anche con Raso. Per costituire la loggia comunque abbiamo fatto una riunione, poi diciamo che la volontà c’era ma mancavano gli ambienti e le situazioni giusti. Avviamo un percorso che poi è andato scemando e io ho intrapreso un altro percorso, non qui ad Aosta, con l’Ordine dei cavalieri templari».
«Ma cosa volevate fare con la loggia?», ha quindi chiesto il presidente del Tribunale Eugenio Gramola. Risposta: «Non avevamo un progetto vero perché era una cosa embrionale. Creare una loggia è come costruire una casa e noi eravamo proprio all’inizio».
Secondo la DDA di Torino, Raso sarebbe entrato nella massoneria «allo scopo di poter contare su una rete di relazioni e conoscenze da utilizzare per aumentare il proprio peso e la propria autorevolezza in seno alla comunità calabrese residente in Valle d’Aosta».
(f.d.)