Certificati medici compiacenti: condannate due guardie carcerarie
La condanna per corruzione e falso a due anni e 10 mesi, nonché al licenziamento, rientra in un ramo dell'inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari lo psichiatra aostano Marco Bonetti
Due anni e 10 mesi di reclusione, interdizione dai pubblici uffici per cinque anni ed estinzione dell’impiego alle dipendenze del Ministero della Giustizia per corruzione e falso, per aver pagato uno specialista per l’ottenimento di certificati medici compiacenti.
Questa la pena inflitta giovedì mattina a due valdostani, di 50 e 53 anni, agenti della polizia penitenziaria presso il carcere di Brissogne, imputati nell’ambito dell’inchiesta che sta coinvolgendo lo psichiatra aostano Marco Bonetti, 63 anni, finito agli arresti domiciliari lo scorso 28 marzo per l’imputazione di violenza sessuale nei confronti di sei donne (cinque pazienti e la madre di un’altra assistita), cessione di sostanze stupefacenti, truffa, peculato, corruzione e falso. Ultime due accuse che vedono imputati, per l’appunto, anche sette pazienti (sei dipendenti pubblici, tra cui i due valdostani condannati), che avrebbero pagato lo psichiatra per ottenere certificati medici compiacenti.
Questo, insomma, è il primo verdetto, pronunciato giovedì mattina dal collegiale tenuto dai giudici Massimo Scuffi, Anna Bonfiglio e Marco Tornatore, per l’inchiesta aperta dall’ex procuratore capo facente funzioni, Giancarlo Avenati Bassi, con il pm Luca Ceccanti, l’apporto del Gruppo di Aosta della guardia di finanza, e che vede l’azienda Usl costituita parte civile.
L’accusa
«I fatti sono emersi casualmente nell’ambito della complessa indagine riguardante il dottore psichiatra dell’Usl prima registrato e poi intercettato – ricostruisce il pm Luca Ceccanti, che aveva presentato una richiesta di condanna di 6 anni, ridotti a 2 anni e 9 mesi –, dalla quale è emerso in un elevato numero di casi che il dottor Bonetti abbia ricevuto piccole somme per la redazione di esami clinici». Dalle indagini, poi, sarebbe emerso come da parte degli «agenti di polizia penitenziaria» ci potesse essere un «comportamento contrario ai pubblici uffici», uscito poi «al di là delle intercettazioni». Ceccanti ricorda le visite psichiatriche del «9 dicembre 2016 e del 2 novembre 2016», che avrebbero visto il «pagamento di cinquanta euro intascati da Bonetti», la «redazione di un certificato di diagnosi» e la conseguente presentazione «al Centro Ospedaliero di Milano, con il rilascio di un periodo di malattia sulla base di quei certificati».
In totale, secondo Ceccanti, si parlerebbe di tre episodi riguardanti il 50enne, per un totale di «165 giorni di malattia» e di «45 giorni» per il 53enne. L’accusa ricorda come «Bonetti» non potesse svolgere «attività privatistica né intramoenia» e riporta alla mente le intercettazioni del 9 dicembre, in cui il medico avrebbe detto a uno degli imputati «non si faccia vedere contento», parole, secondo Ceccanti, «che danno il senso di quanto stiamo dicendo: come si può pensare a una visita seria e a una serietà valutativa e diagnostica»? L’accusa, inoltre, ritiene di non aver trovato «elementi che mi consentano di dire che (gli imputati ndr.) avessero una storia clinica che potesse far pensare a una situazione inquadrabile in una depressione; non vi sono elementi né nella storia clinica, né nelle visite». Inoltre, il pm Luca Ceccanti, porta a sostengo della tesi l’esito del controesame e una consulenza tecnica, che avrebbe analizzato solo «gli atti della commissione ospedaliera e altra documentazione, che peraltro noi riteniamo falsa, basata sulle valutazioni del dottor Bonetti»; l’unico con cui «guarda caso esce la malattia psichiatrica».
Difesa
Accorata la difesa dell’avvocato Laura Marozzo di Aosta, che si dice «spaventata» del fatto che aver «fatto una visita e aver corrisposto il pagamento di 50 euro per la prestazione, ci si trovi imputati per corruzione e falso». L’avvocato ritiene «poco» quanto raccolto dalla Procura e ritiene che la stessa «non ha trovato nulla che potesse dire che (le certificazioni ndr.) sono false». Per il 50enne, Marozzo ricorda diagnosi per «sindrome ansiosa depressiva» risalenti a «a maggio, luglio e dicembre 2016» e ricorda come lo stesso soffrisse di «depressione, come dimostra la cartella clinica del 2001», quando venne già «curato con psicofarmaci». Inoltre, la difesa porta a sostegno il caso del settembre 2012, quando «il comandante della polizia penitenziaria disponeva di togliere l’arma (all’imputato ndr.) per patologia medica di ordine psichico». La conferma di questo, arriverebbe anche da certificazioni dei medici curanti risalenti all’aprile 2016, che certificavano «sindrome ansiosa depressiva», rinviando il paziente a «una visita specialistica», concedendo «30 giorni di malattia». «Ci possono essere stati errori una volta, ma non in tre casi, quando anche il CNO ha riformato questa persona (il 50enne ndr.) in maniera permanente».
In merito all’accusa di corruzione, l’avvocato Marozzo obietta che «il corrompere un pubblico ufficiale non può equivalere al prezzo di una prestazione; quale agente di polizia penitenziaria metterebbe a rischio il proprio posto di lavoro per 50 euro? I miei clienti hanno solo avuto la sfortuna di incappare nel Bonetti», che peraltro, «non aveva autorizzazione a ricevere intramoenia, ma la cosa non era pubblica, visto che il numero del dottore si trovava su internet, al servizio di psichiatria e al consultorio di Châtillon». «Un processo per corruzione perché non è stata richiesta la ricevuta? – conclude Marozzo, che aveva chiesto l’assoluzione dei due imputati –; a volte è imbarazzante per un paziente chiederla nel momento in cui si instaura un rapporto».
(alessandro bianchet)