‘Ndrangheta in Valle d’Aosta, un anno fa il terremoto Geenna
A finire in manette erano state 16 persone, tra cui tre politici valdostani.
‘Ndrangheta in Valle d’Aosta, un anno fa il terremoto Geenna.
In Valle d’Aosta c’è la ‘ndrangheta. Almeno, secondo gli investigatori e la Direzione Distrettuale Antimafia di Torino è così; l’ultima parola, ovviamente, spetterà ai giudici.
Il 23 gennaio 2019, il procuratore generale del Piemonte e della Valle d’Aosta, Francesco Saluzzo, non aveva utilizzato mezzi termini per descrivere l’operazione anti-‘ndrangheta appena conclusa.
«L’operazione ha riguardato un ipotizzato, e secondo noi provato, insediamento di ‘ndrangheta nella regione Valle d’Aosta – aveva affermato durante la conferenza stampa -. Non è la prima volta che si parla di questa possibilità e di questa infiltrazione. E’ però la prima volta che si sono raccolti elementi così consistenti e robusti con riferimento alla presenza di un “locale” in Valle d’Aosta e di numerosi personaggi legati e appartenenti alla ‘ndrangheta che compongono il locale, lo dirigono e hanno realizzato le infiltrazioni all’interno del tessuto della Valle d’Aosta».
Oggi, giovedì 23 gennaio, sarà passato un anno esatto dal terremoto Geenna. Dopo mesi di indagini, a breve inizieranno i processi veri e propri.
Ecco la genesi di Geenna
Riproponiamo qui un’articolo pubblicato da Gazzetta Matin il 18 novembre 2019, con il racconto di un ex investigatore.
«Sebbene la “madre” di tutte le altre indagini di mafia in Valle sia stata “Lenzuolo”, la prima inchiesta è stata“Sila”. Abbiamo indagato su un presunto traffico di droga e armi. Tuttavia, non siamo riusciti a dimostrarlo ed è stato tutto archiviato. Comunque, erano emersi nomi poi ricorrenti in altre indagini». Parla un ex Carabiniere, oggi in pensione, che per anni ha lavorato in prima fila nelle indagini sulle infiltrazioni mafiose in Valle.
Continua: «“Lenzuolo” prende forma proprio da “Sila”». L’inchiesta della fine degli anni Novanta, inizialmente coordinata dalla DDA di Reggio Calabria e poi passata per competenza a Torino, aveva visto i Carabinieri di Aosta individuare «un gruppo associativo di tipo mafioso presente in Valle d’Aosta – si legge nell’ordinanza del gip che ha fatto scattare gli arresti nell’ambito dell’operazione Geenna -, quale articolazione della cosca Iamonte e della cosca Facchineri».
«L’allora pm della DDA di Reggio Calabria – spiega l’ex investigatore a Gazzetta Matin – ipotizzava che i Locali del nord potessero servire come “locali di servizio”. Cioè tenevano un basso profilo perché potevano servire, ad esempio, come base per un latitante che cercava un luogo tranquillo». Sul registro degli indagati erano stati scritti 16 nomi; tuttavia, il relativo fascicolo finì per essere archiviato. In quel periodo, comunque, «la DDA di Reggio Calabria stava indagando su un Locale esistente nella zona di Livorno, legato alla cosca dei Facchineri. Era emerso che alcuni soggetti valdostani erano in rapporto con quel Locale, quindi ci siamo inseriti nell’inchiesta», ricorda il militare.
Già allora, gli investigatori avevano evidenziatola sussistenza di alcuni rapporti “pericolosi” tra il mondo della politica e personaggi vicini alla mafia calabrese. «In quegli anni abbiamo assistito a una riunione elettorale – spiega l’ex inquirente -. Nel dehors di un ristorante abbiamo fotografato i membri dell’allora Locale di Aosta. Si parlava delle comunali per il capoluogo regionale. All’incontro era stato invitato un candidato,che però non era presente».
E proprio dal procedimento in esame, «potevano trarsi decisive tracce della presenza della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta», ha scritto ilgip di Torino nell’ordinanza di Geenna. Un’affermazione,quella del gip, basata per esempio su un ambientale del 2000 in cui l’allora presunto “capo locale”e altri soggetti ripercorrevano brevemente la storia della presenza della‘ndrangheta in Valle. Proprio dalle intercettazioni effettuate in quegli anni, emerge anche il fatto che il presunto vertice della consorteria criminale era interessato alle posizioni di potere, avanzando addirittura l’idea di “prendersi” l’Union valdôtaine, candidando soggetti “amici”.
La svolta “Tempus Venit”
Oltre ad alcune evidenze emerse nell’indagine piemontese“Minotauro” – in cui il capo Locale di Cuorgné parlava espressamente di un Locale attivo ad Aosta-, la svolta investigativa si chiama “Tempus Venit”. Si tratta di un’inchiesta partita dal tentativo di estorsione ai danni di un imprenditore valdostano di origini calabresi: fatti inseriti in una realtà riconducibile all’articolo 416 bis del codice penale nell’ambito dell’operazione “Altanum”,cioè la seconda operazione antimafia in salsa valdostana del 2019 che, a inizio estate, ha portato all’arresto di tre persone in Valle.
«Una tanica di benzina con sopra un accendino era stata lasciata davanti al cancello di una ditta che aveva un importante appalto – spiega l’ex militare -. Per noi era un tentativo di intimidazione. Pensavamo che, indagando sull’episodio, avremmo trovato il grimandello per aprire una cassapanca che celava varie cose».
Inoltre, anche con“Tempus Venit”«abbiamo registrato connessioni tra“gruppi di potere”, quindi imprenditori e persone legate alla ‘ndrangheta, e la politica – continua l’ex investigatore -. Proprio qui, era emerso il nome di Marco Sorbara (all’epoca non indagato ndr)», cioè il consigliere regionale sospeso ed ex assessore ad Aosta oggi indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
«Già dopo l’archiviazione di “Lenzuolo” ,nonostante la tanta delusione, abbiamo continuato a fare monitoraggio. Poi, a seguito di “Tempus Venit”- prosegue nella sua ricostruzione l’ex inquirente -, dato che noi Carabinieri non buttiamo via niente, abbiamo continuato a lavorare tenendo conto di quanto emerso nelle precedenti indagini. Abbiamo notato che tante persone, anche politici, andavano nel ristorante di Antonio Raso (oggi imputato in Geenna ndr). Lui tesseva rapporticon tutti».
Caccia grossa
Nel frattempo,«la Procura generale di Bologna aveva avviato l’inchiesta “Caccia Grossa” e anche noi di Aosta eravamo impegnati nella ricerca» di due latitanti originari di San Luca «che avevano parecchi parenti in Valle. In particolare, uno dei due era stato visto in Valle qualche tempo prima dell’inizio della latitanza».
Gli investigatori avevano quindi attivato delle “intercettazioni preventive”, da cui erano emersi dati importanti, tra cui la presenza in Valle di Bruno e Giuseppe Nirta.
«Abbiamo anche documentato alcuni incontri» tra le persone che sono poi finite nel registro degli indagati nell’ambitodi Geenna.
In base a quanto si è appreso, infatti, proprio dalle intercettazioni disposte per ricercare i latitanti di “Caccia grossa” è scaturita l’inchiesta Geenna. I militari avrebbero documentato varie riunioni tra esponenti della famiglia ‘ndranghetista Nirta-Scalzone e soggetti valdostani (di origine calabrese) ritenuti vicini all’ambiente mafioso.
In particolare,«abbiamo assistito a un incontro tra Francesco Mammoliti e Bruno Nirta (entrambi imputati in Geenna ndr). Si erano visti in un bar di Aosta e poi si erano spostati nel ristorante di Raso. Lì, Nicola Prettico (consigliere comunale arrestato a gennaio ndr) aveva incontrato Bruno Nirta».
Proprio Nirta, qualche giorno dopo, era stato seguito dai militari «mentre andava a trovare Marco Fabrizio Di Donato», uno dei presunti vertici del Locale aostano.
«Poco tempo dopo, anche Giuseppe Nirta aveva fatto lo stesso giro». Quindi,«sommando gli esiti dell’attività di monitoraggio di“Lenzuolo”, quanto emerso da “Tempus Venit” e i nuovi dati registrati, siamo andati dal dottor Castellani (Stefano, il pm che ha coordinato l’inchiesta Geenna insieme al collega Valerio Longi ndr). Le indagini sull’esistenza di un Locale ad Aosta sono partite così, nel mese di ottobre del 2014».
E una consorteria criminale – secondo la DDA – c’era.Un Locale attivo nel capoluogo regionale che, a differenza di quanto avviene in Calabria, non era guidato da una famiglia predominante. Inoltre, in discontinuità con il passato,l’associazione si era “attivata”riuscendo a infiltrarsi nel tessuto sociale e nelle aule del potere.
«In Valle la mafia non esiste»
Facendo un salto indietro nel tempo, l’ex investigatore conclude: «Quando alla fine degli anni Novanta iniziammo a indagare sulle infiltrazioni mafiose in Valle d’Aosta mi sentivo dire: “Ma cosa dici? In un’isola felice non può esserci la mafia…vedi che non ci sono reati pilota”. Il fenomeno non era conosciuto e, spesso, si tendeva quantomeno a sottovalutare la realtà».
In foto, la conferenza stampa del 23 gennaio 2019.
(f.d.)