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  • Rete Sai del Comune di Aosta a pieno regime con 12 ospiti afghani e ucraini
    Olimpia Negro, Arnela Pepelar, Akhtari Mahboobullah e Clotilde Forcellati
    comuni
    di Alessandro Bianchet  
    il 18/05/2022

    Rete Sai del Comune di Aosta a pieno regime con 12 ospiti afghani e ucraini

    Nel sistema di accoglienza che vede come capofila Saint-Vincent, il capoluogo regionale ha occupato tutti gli alloggi con un nucleo afghano e tre famiglie ucraine

    Con dodici ospiti, cinque afghani e sette ucraini, è ora pieno regime la rete Sai del Comune di Aosta, che ora entra nella fase operativa.

    Ha infatti riempito tutti gli alloggi messi a disposizione l’amministrazione di piazza Chanoux, entrata lo scorso anno nel Sistema di accoglienza e integrazione avviato in Valle nel 2017 dal capofila Saint-Vincent, insieme a Champorcher e Saint-Rhémy-en-Bosses.

    Il progetto

    I numeri sono emersi mercoledì, nell’ambito di una conferenza stampa, che ha visto i responsabili del progetto del Consorzio Trait d’Union fare le carte al piano.

    «Da martedì gli alloggi sono tutti occupati, le famiglie sono sistemate e ne volevamo approfittare per ringraziare coloro che ci hanno accompagnato in questo percorso, a cominciare dalla vice sindaca di Saint-Vincent, Maura Susanna e dall’allora sindaco di Saint-Rhémy-en-Bosses, Corrado Jordan» ha spiegato l’assessora alle Politiche sociali, Clotilde Forcellati.

    Ringraziate la consigliera Sarah Burgay per l’alloggio messo a disposizione, e l’avvocata Alessandra Fanizzi per «la raccolta fondi messa in piedi con Soroptimist, che ci ha permesso di arredare gli appartamenti», Forcellati ha evidenziato come il progetto, a costo zero, con il 5% dello stanziamento ministeriale che finisce nelle casse della capofila Saint-Vincent per la parte burocratica e la manutenzione, vede risorse fresche.

    «A bilancio abbiamo inserito 20 mila euro che esulano dal Sai – conclude Forcellati -. Servirà per progetti che integrino le persone ospitate con i cittadini aostani».

    Consorzio Trait d’Union

    A tirare le fila è stata Arnela Pepelar del Consorzio Trait d’Union, ente del terzo settore che segue il progetto.

    «È un modello di accoglienza integrata e diffusa sul territorio per rifugiati e richiedenti asilo, che punta all’inserimento sociale e lavorativo» spiega Pepelar, parlando di un sistema che conta su 848 progetti in Italia, per un totale di 35 mila posti, voluto in Valle da Saint-Vincent, per un totale di 25 posti, poi aumentati di 12 unità al momento dell’apertura di ulteriori spazi a seguito della crisi afghana.

    «Ci è voluto un po’ per partire e lo scorso 24 aprile abbiamo accolto la prima famiglia afghana, composta dai genitori e tre figli – racconta Arnela Pepelar -. Ora, dopo il decreto di marzo che ha aperto le porte anche ai cittadini ucraini, siamo riusciti a completare la disponibilità con altri 7 posti e tre nuclei familiari».

    Accoglienza a tutto tondo

    Pepelar entra poi nelle viscere del progetto, che vede coinvolti diversi professionisti, i quali si occupano «oltre che dell’accoglienza materiale, anche di vitto e alloggio, accompagnamento legale, inserimento sociale, formativo e lavorativo – continua -. Gli ospiti seguono corsi di italiano e formazione professionale e finora, dal 2017, per tutte le 95 persone coinvolte sono stati trovati tirocini o opportunità lavorative».

    L’accoglienza ha carattere temporaneo, di sei mesi rinnovabili per altri sei in caso di progetti ancora in corso.

    «È un lavoro contro il tempo e non sempre facile – conclude Pepelar -, perché le persone che escono dovrebbero essere autonome. La cosa positiva è l’aver trovato una rete di sostegno nelle comunità, tanto che siamo riusciti a tenere traccia di quasi tutte le persone transitate per il Sai. Ora speriamo che la nostra opera di diffusione della cultura dell’accoglienza abbia maggiori frutti, vista la rinnovata sensibilità sul tema».

    La famiglia afghana

    A raccontare la propria esperienza ci ha pensato Akhtari Mahboobullah, cittadino afghano e primo ospite, con moglie e tre figli delle rete Sai aostana.

    «Ho lavorato per l’ambasciata italiana a Kabul dal 2001 al 2022, ma con la caduta della città siamo dovuti partire – ricorda Akhtari Mahboobullah -. Abbiamo lasciato il paese il 15 agosto, il 16 siamo giunti a Roma e siamo partiti per la quarantena a Roccaraso. Tornati a Rieti, siamo poi stati trasferiti in Valle, dove c’era disponibilità di posti, ma dove soprattutto conoscevo la zone e avevo dei contatti».

    Una figlia minorenne frequenta le medie, una maggiorenne è in quarta superiore, mentre l’ultimo figlio ha iniziato l’università.

    «Ringraziamo l’Italia, ma soprattutto la Valle per l’accoglienza – conclude Akhtari Mahboobullah -. Ci sono tante persone fantastiche che ci hanno aiutato nell’inserimento a scuola e al lavoro. Conoscevo già la Regione per esserci passato ai tempi in cui ragazzi afghani venivano ospitati per frequentare l’accademia militare. Siamo fortunati, sono tutti molto gentili e accoglienti».

    (alessandro bianchet)

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