Le otto montagne, un film nato davanti a due birre e una polenta concia
I registi Von Groeningen e Vandermeersch e lo scrittore Cognetti ricordano i primi passi per la realizzazione del film Le otto montagne, nelle sale da giovedì 22 dicembre
Le otto montagne è un film che parte da lontano.
La storia d’amore che ha coinvolto i registi belgi, Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch nasce nell’estate 2019, con la coppia in viaggio verso il Sud Italia che riceve un invito dall’alta Val d’Ayas, fa inversione di marcia e arriva sulle Alpi, sulle nostre montagne.
«La prima volta che ci siamo incontrati è stato a Estoul, al Pranzo di Babette, a un tavolino, davanti a una birra…» ricorda Paolo Cognetti, autore del romanzo, nell’incontro con la stampa di sabato 17 dicembre, dopo la visione in anteprima del film, «poi due birre, poi una polenta concia» aggiungono i registi.
Il loro è stato un lavoro lungo, si sono trasferiti in Valle d’Aosta per otto mesi e l’hanno esplorata in lungo e in largo per poi decidere di tornare lì, sui luoghi del romanzo.
«Forse il posto in cui siamo tornati più spesso è stato il lago di Frudière, nel vallone di Graines, quello è il lago del mio romanzo dove c’è la barma originale, ci siamo andati d’estate, d’autunno, lo abbiamo visto ghiacciato, con la neve, in tutte le stagioni – racconta Cognetti -, solo la casa non è quella vera, la scelta di Felix è diversa, desiderava per quella casa un luogo dove ci fosse tanto cielo mentre la barma originale è un po’ chiusa, ma l’abbiamo trovata nell’alpeggio sopra la conca dei laghi di Palasinaz che adesso secondo me diventerà un po’ un luogo di pellegrinaggio…».
«Anche per noi è stato strano vedere tantissimi luoghi e alla fine di tornare da dove eravamo partiti – aggiunge Van Groeningen -, ma questo fa sì che tutto funzioni. Si crede, si sente che tutto è legato, che da Grana si può salire all’alpeggio e che la barma è appena sopra, se nel film la montagna funziona è per questo legame».
Un film artigianale
Una delle peculiarità di questo lavoro, fa notare Alessandra Miletto, direttrice di Film Commission Vallée d’Aoste, è che mentre solitamente la produzione lascia un cratere, spogliando spesso il luogo che occupa per le riprese, qui si è lasciato tanto. Si è ricostruita davvero la baita diroccata, si è risistemata la vecchia scuola di Graines che nel film diventa la casa di vacanza di Pietro e della sua famiglia, utilizzando -grazie anche alla produzione (Wildside, Rufusu, Menuetto, Pyramide Productions, Vision Distribution) che non ha portato da Roma le sue squadre-, muratori, falegnami e manodopera locali, cosa che fa di questo film un’opera davvero artigianale.
«Esiste un luogo che è un posto molto specifico dove vive della gente vera – osserva Simone Gandolfo, presidente di Film Commission Vda – e si fa un film per fare in modo che quel luogo vada nel mondo. Molto spesso purtroppo succede che le persone su cui si è fatto il film non si riconoscano perché c’è una lente in mezzo e il miracolo secondo me di questo film è invece che le persone di cui parla e che lo hanno fatto, si riconoscono».
Una porta su un mondo
«È stato molto bello entrare come famiglia in questo mondo, abbiamo potuto conoscere gli amici di Paolo, le persone importanti della storia, i luoghi, il modo in cui le persone si guardano, si parlano… – dice Charlotte Vandermeersch –. Anche gli attori, sono entrati in questo mondo, si sono sentiti accolti».
«Anche il fatto che le persone del paese abbiamo aiutato, lavorato sul film, ha permesso una buona contaminazione» aggiunge il compagno Van Groeningen.
«Io mi sentivo il portiere di questo mondo, della montagna che abito ormai da quindici anni. Sono arrivate queste persone, io ho aperto la porta, e dentro c’erano altre persone che l’abitavano ancora più di me, io ero quello che li ha accolti e questo mi ha riempito d’orgoglio» svela Paolo Cognetti che, oltre ad aver scritto il romanzo, ha curato i dialoghi ed è stato il consulente artistico del film, trovando contatti, agganci, soluzioni e facendo da tramite con le persone del posto.
Il regista ha sottolineato come anche gli attori fossero particolarmente ancorati al luogo e alla storia.
«Con Luca Marinelli in particolare il rapporto è stato molto intenso, ha voluto affrontare questo film da attore dei vecchi tempi, è arrivato con il suo cagnolino due/tre mesi prima ha voluto un appartamentino a Brusson, e mi ha detto “voglio stare con te il più possibile senza disturbarti troppo, voglio entrare in questo mondo” – ricorda l’autore -. Quello che faccio io è portare la gente a camminare, quindi gli ho fatto fare delle grandissime faticacce».
Un allenamento durato mesi anche per superare l’ansia, la paura che Marinelli aveva per la quota e certi passaggi in montagna.
Montagna e difficoltà
La montagna è un ambiente difficile, e tutto in montagna diventa difficile. Qual è stata la difficoltà maggiore incontrata durante le riprese?
«Bah…tutto!» ammette Van Groeningen.
«Non abbiamo voluto farlo semplice, ma il più vero possibile. La casa la costruiamo davvero ed è in un luogo complicato da raggiungere, soprattutto i inverno, così come è stata complicata la scena sul ghiacciaio, quella al Mezzalama, ma sono quelle scelte che rendono vero il film».
«Anche in Nepal, non siamo riusciti a preparare prima le scene, abbiamo fatto un vero trekking, abbiamo fatto tutto sul momento» aggiunge Vandermeersch -. Anche gli interni nella Barma Drola, li abbiamo voluti fare lassù, senza ricostruire la baita altrove, anche se arrivarci, in inverno è stato difficile, ma quando iniziava a nevicare, bastava uscire e riprendere la neve. Questi sono stati dei regali, ma al tempo stesso è stato molto difficile arrivarci ogni giorno e ripartire ogni giorno».
«È stato duro anche fisicamente, per la troupe e per gli attori – riprende Van Groeningen -, ma questo ha fatto sì che il film sia diventato quello che è diventato, questo ha creato qualcosa di molto bello, un senso di fraternità, un po’ come se fossimo in vacanza tutti insieme. Non è stato facile ma lo si sente nel film che ci abbiamo messo energia e fatica».
A spiegare meglio il senso di fraternità e amicizia che si è creato sul set è Cognetti che racconta come nella pausa delle riprese, ad agosto, anziché decidere di andare in vacanza altrove, «gli attori e molti altri della troupe hanno scelto di fare le vacanze qui e sono arrivate le loro famiglie, i loro amici. Erano talmente dentro a questa situazione, dentro al film, che nessuno aveva voglia di uscirne e prendersi una pausa».
Cos’ha provato, Cognetti, a vedere questo film, la sua storia, per la prima volta?
«La prima volta ero completamente scombussolato, l’ho dovuto rivedere tre/quattro volte prima di poterlo guardare così, con un occhio più distaccato. Sapevo tutto, ma è stato lo stesso un colpo. Mi ricordo quando è successo, era tardi, mezzanotte, non resistevo e ho voluto vederlo subito. È stata una notte stranissima, non ho dormito…»
L’esame di maturità per un comparto
Un film, Le otto montagne, Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes, che è un po’ il coronamento del lavoro di una Film Commission.
«Le Film Commission hanno due grande missioni: promuovere il territorio e far crescere un comparto – dice Gandolfo -. Far crescere un comparto è un’operazione molto complicata perché quello che succede è che molto spesso una produzione arriva là fuori, prende quello che c’è da prendere e se ne va. In questo caso non è successo, in questo caso c’è stato proprio, rispetto ai professionisti del territorio, un salto in avanti. Si sono confrontati con una produzione e un film internazionale e in tutte le persone con cui ho parlato ho sentito che il loro sguardo, il loro modo di essere professionisti è cresciuto. E questo è un gran regalo. Sicuramente abbiamo un comparto migliore dopo questo film».
Le otto montagne, giovedì al cinema
Le otto montagne uscirà finalmente in tutte le sale d’Italia giovedì 22 dicembre. In Valle d’Aosta si potrà vedere al De la Ville, Cinelandia, a Courmayeur, Saint-Vincent, e Gressoney-Saint-Jean.
(erika david)