Da M. Berlusconi a Tajani, da Giorgetti a Salvini. I segnali che allarmano Meloni
Roma, 17 mag. (askanews) – Malumori, crepe, segnali. Gli ultimi giorni hanno mostrato segni di crescente disagio nel centrodestra italiano, in particolare nelle scelte di politica estera. Niente di deflagrante, ancora, ma episodi, piccoli o grandi, che irritano e preoccupano la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ecco un piccolo riassunto.
L’8 maggio Marina Berlusconi, non una qualsiasi, ma l’erede di Silvio e colei che molti vorrebbero veder scendere in politica alla guida di un centrodestra meno spostato sull’ala estrema, partecipa all’inaugurazione della libreria Rizzoli nella Galleria Vittorio Emanuele di Milano. E parlando con i giornalisti dà un giudizio, definitivo, su Donald Trump. “Sono preoccupata in generale per quello che Trump fa. E obiettivamente quelle che erano solo preoccupazioni fino a poco tempo fa, durante la campagna elettorale, si sono purtroppo trasformate in realtà. Sono bastati davvero pochi giorni, stiamo parlando dei primi 100 giorni, per far vacillare quelle che erano le certezze su cui era stato costruito l’ordine politico ed economico del dopoguerra e per infliggere obiettivamente un colpo durissimo alla credibilità dell’America e quindi dell’Occidente”. Parole che hanno fatto balzare sulla sedia la premier, che sulla “relazione speciale” con il tycoon ha scommesso buona parte della sua credibilità internazionale. Ufficialmente reazioni non ci sono state, ma dal piano nobile di Palazzo Chigi è trapelata grande irritazione. Anche perché Marina – viene fatto notare – non è una che parla a caso.
Il 10 maggio i “volenterosi” si riuniscono a Kiev: con il presidente Volodymyr Zelensky ci sono Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Donald Tusk, Keir Starmer. Meloni si collega da Roma. Un modo per esserci senza esserci. Del resto, non è una novità, la premier non ha mai gradito l’iniziativa franco-britannica, la ritiene una fuga in avanti e un’offensiva contro Trump. Per questo è sempre stata con mezzo piede dentro – per non mollare completamente il rapporto con i partner europei – e uno e mezzo fuori. Questo però significa che l’Italia viene relegata ai margini dell’iniziativa – come poi accaduto clamorosamente a Tirana – e la controprova è che Roma non è inclusa nel giro di telefonate fatte nelle ore successive dal segretario di Stato americano Marco Rubio. Un auto-isolamento che certo non può far piacere ad Antonio Tajani. Che infatti a chi gli chiedeva se Meloni avesse fatto bene a non andare a Kiev ha risposto gelido: “Chiedetelo a lei”. Salvo poi, dopo qualche ora, precisare che “a proposito di Ucraina, voglio ribadire l’unità d’intenti della maggioranza di governo”.
Il 14 maggio Meloni è in Aula alla Camera per il premier question time. Maria Elena Boschi (Iv) la interroga sui conti pubblici e lei coglie l’occasione per rivendicare alcuni successi, tra cui il miglioramento dello spread. “Lo spread – afferma, con uno ‘scivolone’ piuttosto evidente – è sotto i 100 punti base, il che significa che i titoli di Stato italiani sono considerati più sicuri dei titoli di Stato tedeschi”. Accanto a lei il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che stava leggendo qualcosa al cellulare, si riscuote, muove platealmente la testa, con la faccia perplessa e un po’ imbarazzata di chi dice “beh non è proprio così…” poi si volta a parlare con il ministro al suo fianco, Francesco Lollobrigida. Il video della ‘scenetta’ viene rilanciato da tutti i media. Ed è difficile credere che un politico di lungo corso come Giorgetti, in Parlamento dal 1996, non si sia reso conto che – sedendo accanto alla premier – era inquadrato in primo piano dalle telecamere della diretta della Camera.
Il 15 maggio Matteo Salvini riunisce il Consiglio federale della Lega a Roma. Il segretario deve nominare i due vice e oltre ai confermati Alberto Stefani e Claudio Durigon sceglie (ma era previsto) l’ex generale ed europarlamentare Roberto Vannacci e un po’ a sorpresa l’europarlamentare Silvia Sardone, astro nascente del Carroccio, considerata un po’ l’anti-Meloni. Ex Forza Italia, Sardone è volto della Lega nelle trasmissioni televisive, seconda nelle preferenze alle ultime elezioni proprio dopo Vannacci, protagonista di battaglie contro il velo islamico e le occupazioni abitative che le hanno causato non poche minacce. Entrambi sono il simbolo (sgradito al Carroccio più moderato che fa riferimento a Luca Zaia) di una Lega sempre più spostata a destra e determinata a rilanciare la ‘competizione’ con Fratelli d’Italia. Meloni – se davvero sta pensando a portare il Paese alle urne in anticipo nel 2026 – è avvertita.
Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli