Ucraina, a Tirana la tensione tra Meloni e “volenterosi” diventa scontro
Roma, 17 mag. (askanews) – Il rapporto di Giorgia Meloni con Emmanuel Macron è sempre stato teso, da ieri si può dire che si è rotto. Ma il problema ora è più ampio: a Tirana si è visto che esiste una “locomotiva” a tre (Francia, Germania e Polonia) che si è messa – o ambisce a mettersi – alla testa dell’Europa, con un solido rapporto con il Regno Unito e un filo diretto con Donald Trump. Certo esistono dei fatti oggettivi – la Francia è l’unica potenza nucleare dell’Ue, la Germania il primo Paese industriale, la Polonia si avvia ad avere l’esercito più grande – ma la politica di equilibrio (per qualcuno di equilibrismo) della premier italiana ha contribuito a creare un solco che appare ormai difficile da colmare.
Vediamo i fatti. Ieri nella capitale albanese si è riunita per la sesta volta la Comunità politica europea (una creatura di Macron che riunisce 47 Stati). Meloni vi è arrivata dopo le irritazioni incrociate che sabato l’avevano spinta a non recarsi a Kiev con i “volenterosi”, limitandosi a collegarsi da Roma. Un’assenza che ha creato polemiche tra le opposizioni, ma anche nelle file della maggioranza (addirittura Antonio Tajani ha dato segni di irritazione). La CPE appariva quindi l’opportunità per ricucire, quantomeno dal punto di vista mediatico. Infatti appena arrivata ha avuto un lungo scambio di vedute con Starmer, Tusk, Zelensky e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen.
Fin lì tutto bene. Poi però, a margine dei lavori, Macron, Starmer, Merz, Tusk e Zelensky si sono appartati in una riunione (la notizia è stata fatta trapelare dall’Eliseo) collegando al telefono anche Donald Trump. Meloni non è stata invitata o ha declinato? Difficile sapere realmente come è andata: da parte francese si sottolinea che si è trattato della riedizione dell’incontro di Kiev una settimana fa, al quale aveva partecipato pure in videoconferenza anche la stessa Meloni. In un punto stampa congiunto Zelensky ha poi spiegato che “abbiamo discusso dell’incontro di Istanbul. L’Ucraina è pronta a compiere i passi più rapidi possibili per raggiungere una vera pace, ed è importante che il mondo mantenga una posizione forte. La nostra posizione: se i russi rifiutano un cessate il fuoco completo e incondizionato e la fine delle uccisioni, devono seguire sanzioni severe. La pressione sulla Russia deve essere mantenuta finché la Russia non sarà pronta a porre fine alla guerra. Grazie a tutti coloro che nel mondo stanno aiutando”.
Quando le notizie e le immagini dell’incontro hanno iniziato a diffondersi in Italia, sono arrivate le reazioni. Meloni è stata quindi definita “spettatrice” (Maria Elena Boschi, Iv) “assente” (Giuseppe Conte, M5s), “comparsa” (Angelo Bonelli, Avs). Un caso che stava sfuggendo di mano a Palazzo Chigi. Per questo la premier ha deciso di incontrare i giornalisti, ma forse mettendo una toppa, come si suol dire, peggiore del buco. E’ uscita dal palazzo del summit scura in volto, premettendo che “non ho tempo per fare un punto stampa perché devo rientrare però ci tengo a dire una cosa”. In una dichiarazione di 1 minuto e 18 secondi, la presidente del Consiglio ha tra l’altro ribadito che “l’Italia ha da tempo dichiarato di non essere disponibile a mandare truppe in Ucraina” e dunque “non avrebbe senso per noi partecipare a dei formati che hanno degli obiettivi sui quali non abbiamo dichiarato la nostra disponibilità”. Però anche la Polonia, va ricordato, ha sempre detto no all’invio di truppe. E comunque, ha chiarito Macron in una durissima replica, “non abbiamo parlato di inviare truppe, la discussione era per un cessate il fuoco in Ucraina”. Dunque, e qui il presidente francese ha lanciato un’accusa pesantissima, “guardiamoci dal divulgare false informazioni, ce ne sono a sufficienza di quelle russe”.
Scontro ai ferri corti, cortissimi, quasi (politicamente) al serramanico, da cui sarà difficile tornare indietro. E c’è chi ricorda, con preoccupazione, le risatine dell’ottobre 2011 tra Nicolas Sarkozy e Angela Merkel su Silvio Berlusconi.
Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli