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    di Administrator admin  
    il 09/06/2025

    A Denver il Martin Building di Giò Ponti resta icona di stile

    Denver, 9 giu. (askanews) – È lo scrigno di un designer milanese a racchiudere il cuore le collezioni artistiche dei nativi americani a Denver, capitale del Colorado (Usa): Giò Ponti fu il terzo architetto contattato per la progettazione di una nuova sede per il Denver Art Museum, ovvero quello che oggi è una parte del Dam, il Lanny and Sharon Martin Building o North Building. E fu l’architetto giusto: grazie al suo interesse nel costruire qualcosa nel West americano e al rapporto personale con lo studio Sudler and Associated, Ponti accettò l’incarico e trascorse l’ultimo decennio della sua vita lavorando a questo progetto, per il quale venne assunto nel 1965 e che si completò nel 1971.

    EDIFICIO STORICO, COLLEZIONE ENCICLOPEDICA

    Ancora oggi il Martin Building non è solo “l’unico edificio completato da Ponti in Nord America”, ma è stato anche il primo edificio simbolo del DAM. Fondata originariamente nel 1893 come The Artists’ Club, l’istituzione aveva trascorso decenni spostandosi da una sede temporanea all’altra, prima di trovare una situazione permanente nel 1922 presso la Chappell House al 1300 di Logan Street. Per i successivi trent’anni, il museo si era distinto per la sua programmazione creativa e rivolta a un pubblico eterogeneo. E dunque serviva l’evoluzione di un’icona architettonica per dare seguito a un tale passato. “Ponti realizzò queste mura molto resistenti che, a suo dire, sono un po’ come una fortezza, e un po’ come un portagioie” spiega Sally Hall, che accompagna askanews nella visita al DAM. E ancora oggi, sebbene un nuovo edificio rivestito in titanio e vetro – il Frederic C. Hamilton building, progettato da Daniel Libeskind e inaugurato nel 2006 – tenda a rubare un po’ la scena, il Martin resta un’icona senza tempo.

    Sfruttando la crescita del dopoguerra nello Stato del Colorado e i crescenti livelli di ambizione culturale in tutto il Paese, l’allora direttore Otto Karl Bach ebbe un ruolo determinante nella pianificazione e nella realizzazione della visione di un edificio storico che avrebbe ospitato una collezione enciclopedica sotto lo stesso tetto, rendendo l’arte di tutti i periodi accessibile alla gente di Denver e della regione delle Montagne Rocciose.

    IL SOLE DEL COLORADO RIFLESSO SUL GRIGIO

    Ma nessuno forse si sarebbe aspettato che il background di un designer milanese si sarebbe intrecciato così bene con la cultura locale. Per portare avanti la sua idea di fortezza – scrigno Ponti intendeva utilizzare piastrelle in ceramica per l’esterno dell’edificio, poiché desiderava creare l’illusione di una struttura eccezionalmente leggera e delicata. Tuttavia, Ponti e Sudler decisero che la ceramica non avrebbe resistito a sufficienza alle condizioni meteorologiche estreme del Colorado e decisero di utilizzare invece piastrelle in vetro grigio caldo.

    Le piastrelle in vetro realizzavano la visione di Ponti di utilizzare la superficie dell’edificio per incanalare la brillante luce del sole del Centennial State, creando un effetto scintillante sull’esterno. “Il progetto, come ci dice Ponti, è nato perché l’architetto ha tenuto a mente che l’arte è un tesoro, e per questo le mura sono costruite come una fortezza, per proteggere questi tesori, ma anche per far pensare a un portagioie e ricordare i tesori che custodisce al suo interno”, dice Hall.

    Il Martin “è l’unico edificio di Ponti negli Stati Uniti”, ricorda Hall. “Siamo qui davanti a un modello che mostra come ha collaborato con uno studio di architettura di Denver per creare questo splendido edificio. Tutti i progetti delineano i diversi processi mentali che ha attraversato e le spiegazioni di come sono state prese le diverse decisioni”, aggiunge.

    Progettate da Ponti e originariamente prodotte dall’americana Dow Corning, circa un milione di piastrelle furono posate a mano nel corso di due anni prima di essere installate sulla facciata esterna dell’edificio. E nel recente restauro, per sostituire le piastrelle che si erano staccate dall’edificio nel corso del tempo, il DAM ha ottenuto un’autorizzazione speciale da Corning per utilizzare il design brevettato per produrre 17.000 nuove piastrelle dall’azienda tedesca Bendheim.

    Sulla superficie del Martin Building si sentono chiaramente le radici e l’eredità del grande designer: sebbene Giò Ponti avesse studiato da architetto infatti, iniziò la sua carriera ricoprendo il ruolo di direttore artistico presso Richard-Ginori, la storica azienda italiana produttrice di porcellane. Le piastrelle erano spesso il materiale prediletto da Ponti per la pavimentazione, gli interni e persino gli esterni degli edifici. E l’attenzione di Ponti per l’esterno dell’edificio, insieme con quella di Sudler e Bach per gli spazi interni del museo e per renderlo il più possibile accogliente per i visitatori, hanno creato un precedente, dimostrando che il contenitore sia importante altrettanto, quanto ciò che contiene.

    Si ringrazia per il supporto Brand USA (www.visittheusa.com) e Visit Denver (www.visitdenver.com).

    [Cuore collezione del DAM nello “scrigno” del designer milanese|PN_20250609_00003|mw02 sp20 sp43| https://askanews.it/wp-content/uploads/2025/06/20250609_070205_D046DF8B.jpg |09/06/2025 07:02:19|A Denver il Martin Building di Giò Ponti resta icona di stile|Italiani nel Mondo|Estero, Turismo]

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