L’addio al calcio di Alessandro Pomat: «Sono finito in porta per caso, poi ho percorso un bel cammino»
L'ultimo uomo ragno del pallone rossonero si racconta dopo aver appeso i guantoni al chiodo: «Potevo fare di più, ma la mia carriera merita un 7, ho capito che era il momento di dire basta quando ho visto che mi pesava andare al campo»
Ha appeso i guanti al chiodo da più di quattro mesi e mezzo, ma Alessandro Pomat ha trovato il modo di spellare le mani dei tifosi anche durante l’estate.
Il 34enne portiere, che ha chiuso ufficialmente la carriera il 4 maggio nella sfida tra Aygreville e Baveno Stresa, è stato grande protagonista nelle due amichevoli della rappresentativa valdostana contro Palermo e Pisa e, tanto per gradire, ha vinto con la maglia dell’Etroubles (il suo paese natale) il torneo di beach soccer giocato a Gressan.
Alessandro Pomat, l’ultimo uomo ragno valdostano
Il numero 1 di Saint-Christophe, uno degli ultimi grandi estremi difensori prodotti dalla scuola valdostana, ha detto stop dopo 389 partite (16 in C2, 36 in D, 268 in Eccellenza, 44 in Promozione e 25 in Prima categoria).
Partito dal Saint-Christophe per chiudere all’Aygreville, in carriera ha vestito le maglie di Grand Combin, Ivrea (Allievi nazionali e Berretti), di nuovo Saint-Christophe, Casale e Vallée d’Aoste (Lega Pro), Charvensod, Real Sarre, Red Devils, Ivrea Banchette e LG Trino, vincendo il campionato di Eccellenza (con il Saint-Christophe) e quello di Prima categoria (con i Red Devils).
Sposato con Roberta, papà di Chloé (avuta da una precedente unione), Tommaso e Mattia, Pomat è pronto per un nuovo capitolo della sua vita, nel quale, c’è da scommetterci, il pallone e i guantoni avranno comunque una parte importante (intervista pubblicata su Gazzetta Matin di lunedì 28 luglio).
Alessandro Pomat con moglie e figli dopo l’ultima partita con la maglia dell’Aygreville (foto Di Maio Sport)
«Una carriera da 7, potevo fare di più, ma ho percorso un bel cammino»
Alessandro, non è che le due amichevoli con Palermo e Pisa, condite da grandi parate e tanti complimenti, le hanno fatto cambiare idea?
«No no, è stato bello, ma no. L’unico che poteva farmi cambiare idea era Filippo Inzaghi. Per andare a Palermo a fare il terzo portiere ci avrei ripensato (ride, ndr)».
Iniziamo con un voto alla carriera?
«Un 7 ci può stare. Potevo fare di più, ma nel mio piccolo ho percorso un bel cammino».
«Ha iniziato a mancarmi la voglia di andare al campo e faticavo a trovarmi con la nuova generazione»
Com’è nata la decisione di dire basta a 34 anni?
«Ha iniziato a mancarmi la voglia di andare al campo, facevo sempre più fatica a trovarmi con la nuova generazione. Non voglio scendere di categoria e qui intorno non ci sono alternative, per cui ho capito che era arrivato il momento di smettere».
«Sono finito tra i pali per caso»
Come c’è finito tra i pali?
«Onestamente non me lo ricordo, direi per caso, o, meglio, per amicizia. Giocavo in attacco a Saint-Christophe, il portiere era un mio caro amico, Matteo Cerise, e credo di aver scelto quel ruolo per il legame che ci univa. In attacco segnavo, ma i piedi erano già storti, così ho capito che la porta era più adatta a me».
«Peccato non aver vinto il campionato con l’Aygreville»
Ha chiuso la carriera con addosso la maglia dell’Aygreville: qual è il bilancio di sette stagioni in rossonero?
«Dell’Aygreville non si può dire nulla, bisogna soltanto ringraziare Piero Sterpone, Silvano e Simone Zoppo, personaggi così non si trovano più. Con le possibilità che c’erano nei primi anni che ero lì, però, si poteva fare qualcosa di più, almeno puntare da inizio stagione a salire, mi sarebbe piaciuto vincere un campionato con loro. Dietro avevamo una società che avrebbe ammortizzato senza problemi il salto di categoria».
«La serie D con il Saint-Christophe il momento più alto, dovevo rimanere un altro anno»
Qual è stato il momento più alto del suo viaggio?
«L’anno della serie D con il Saint-Christophe. Siamo arrivati secondi dietro al Cuneo di Iacolino, poi abbiamo vinto i play off del nostro girone e siamo usciti nel triangolare nazionale di semifinale, perdendo a Rimini dopo aver battuto in casa il Pomigliano».
Smette soddisfatto o ha qualche rimpianto?
«Col senno del poi, avrei dovuto giocare un altro anno in serie D a Saint-Christophe, trovando la giusta continuità. Invece sono andato a Casale, sulla carta dovevo fare il titolare, ma non è andata così, ho giocato a singhiozzo e ho perso un anno. Peccato, avessi avuto una bella vetrina, avrei potuto essere chiamato da squadre importanti. Fossi arrivato in nerostellato con la testa di adesso, sarebbe stata un’altra cosa.
A Casale ho pagato il mio carattere chiuso, ci sono voluti tre o quattro mesi per iniziare ad aprirmi, ma a quei livelli non ti aspettano, o ci sei o c’è qualcun altro. Ho capito che nel calcio più sei sfrontato, più vai avanti. Andavo molto d’accordo con i veterani dello spogliatoio e ho giocato le partite più importanti, compresa la finale dei play off con l’Entella. È stato bello fare la vita da calciatore per un paio di anni. Al Natal Palli si respirava la storia del club e la tifoseria era molto calda».
«Per giocare in porta ci vuole personalità»
Qual è la qualità più importante che non può mancare a un bravo portiere?
«La personalità, unità all’essere un po’ matto».
Nel corso degli anni l’allenamento del portiere si è sempre più specializzato, eppure in Valle d’Aosta manca il ricambio generazionale. Che idea si è fatto?
«Secondo me è un problema di immagine, i bambini non hanno più un idolo da seguire. Prima c’erano Zoff, Tacconi, Pagliuca, Peruzzi, Buffon. Nella squadra di mio figlio, che è un 2018, non si trova un portiere, ho già detto al mister che andrò a dare una mano per vedere di tirarne fuori uno. Il ruolo del portiere non è semplice, fai parte della squadra, ma ne sei ai margini, sei meno coinvolto e i giovani si divertono molto meno».
«Ringrazierò per sempre Roberto Cretaz»
Chi è l’allenatore che le ha dato di più?
«Roberto Cretaz e lo ringrazierò sempre; se non fosse per lui, avrei smesso già da un bel po’. Mi ha voluto a Trino dopo qualche mese all’Ivrea Banchette e mi ha permesso di ridare un senso alla mia carriera. Come preparatori dei portieri ne dico tre: Christian Bazzano che mi ha lanciato verso Ivrea, Graziano Baldanzi che mi ha cresciuto e Gianluca Danese, che negli ultimi anni all’Aygreville mi ha dato tantissimo sia a livello tecnico che emotivo. Non avevo più voglia, ma mi ha fatto continuare altri due o tre anni. Oltre a un valido preparatore, ho trovato un amico vero, so che se avrò bisogno potrò sempre contare su di lui».
C’è una parata che le è rimasta stampata nella memoria?
«Nessuna in particolare, però a Verbania ho sempre dato il meglio di me e quest’anno, per finire in maniera degna, è stata una partita top, nella quale ho anche parato un rigore».
«Il gol incassato dal portiere dell’Entella è la rosicata più grande»
E un gol che non avrebbe mai voluto subire?
«Per mia fortuna negli ultimi anni non ho fatto troppe cavolate, per cui la rosicata più grande rimane il gol incassato dal portiere dell’Entella Andrea Paroni (che ha smesso proprio quest’anno, ndr) al 96′ della finale play off di Lega Pro».
«Con il Saint-Christophe in Lega Pro non si è sfruttata un’occasione unica»
Lei ha vissuto in prima persona la paradossale stagione del Saint-Christophe (diventato Vallée d’Aoste), costretto per la mancanza di uno stadio omologato a giocare le gare interne a San Giusto Canavese. Che stagione è stata?
«Il ricordo non può che essere brutto. Ero a Casale, ho fatto di tutto per tonare da mister Zichella e con lui ho giocato le prime sei partite, poi l’hanno mandato via, è arrivato Frattali, che era di un altro livello e sono finito in panchina. La gestione di quella stagione è stata sbagliata; non so se è più colpa della Regione o della dirigenza, fatto sta che non è possibile giocare in casa in Canavese. Non si è sfruttata un’occasione unica: quando mai si rivedrà una squadra valdostana in Lega Pro?».
Il P.D.H.A.E. è scomparso dal panorama calcistico, impoverendo ulteriormente un movimento già in fase calante: qual è il problema più grande del calcio valdostano?
«Ci sono tante piccole società che, invece di sposare un progetto e appoggiare una società che diventi punto di riferimento, tirano a campare in categorie più basse. Le fusioni hanno senso se danno vita a qualcosa di grande, in Seconda e Terza per me hanno poco senso. Poi bisogna lavorare come si deve a livello giovanile: ovunque si può fare di più, per esempio coinvolgendo ex giocatori forti nei quadri tecnici».
«Un onore giocare con Andrea Gentile»
Chi è il giocatore più forte con cui ha giocato?
«A livello valdostano dico Andrea Gentile, tra gli altri Riccardo Taddei che ho avuto a fianco a Casale».
E l’attaccante più pericoloso che si è trovato a fronteggiare?
«Devo dire Secci, ogni volta mi ha sempre fatto gol, con tutti gli altri me la sono sempre giocata».
«Nel calcio si è perso il rispetto nei confronti dei più grandi»
Da quando lei ha debuttato in prima squadra, il calcio è cambiato tanto. In meglio o in peggio?
«Tecnicamente è migliorato, ma caratterialmente è peggiorato. Non ci sono più i giocatori con il carattere di una volta, c’è stato un calo di valori. Si è perso il rispetto nei confronti dei più grandi».
«Voglio dedicarmi ai miei figli più piccoli, in futuro mi piacerebbe allenare i portieri»
Cosa c’è nel futuro di Alessandro Pomat?
«Adesso mi dedicherò di più ai miei figli più piccoli; lo devo a mia moglie, l’ho lasciata da sola troppe domeniche».
La stuzzica l’idea di allenare?
«Sì, ma solo i portieri. Mi piacerebbe prendere il patentino specialistico e poi impegnarmi in prima persona. Adesso come adesso direi con i grandi, ma sarebbe bello anche crescerli da piccoli, un qualcosa che penso dia grandi soddisfazioni».
(davide pellegrino)