BilancioUe: si rinsalda la “maggioranza Ursula”, ma contro la Commissione
Roma, 2 nov. (askanews) – Non era mai successo: il Parlamento europeo si è pressoché unanimemente schierato contro la Commissione europea di Ursula von der Leyen su uno dei dossier più importanti, se non il più importante, di questa legislatura: la proposta sul nuovo Quadro di bilancio comunitario pluriennale 2028-2034 (Qfp) da circa 2.000 miliardi di euro.
Contro l’impostazione stessa della proposta si sono espressi innanzitutto, in una lettera a von der Leyen del 30 ottobre, i quattro gruppi politici della cosiddetta ‘maggioranza Ursula’ (Ppe, S&D, e i liberali di Renew, con l’appoggio esterno dei Verdi). La lettera presenta una durissima e dettagliata posizione congiunta, sorprendente per una ‘piattaforma di coalizione’ finora debolissima, che dopo le elezioni europee del 2024 è stata spesso messa in crisi in votazioni che hanno visto i Popolari schierati con l’estrema destra, contro gli altri tre gruppi.
Sempre il 30 ottobre, anche i dirigenti del gruppo dei Conservatori europei (Ecr), tra cui l’italiano Nicola Procaccini (Fdi) hanno inviato una lettera alla presidente della Commissione ugualmente contraria all’impostazione della proposta di bilancio pluriennale, sebbene con sfumature in parte diverse. Quanto agli altri tre gruppi del Parlamento europeo, la ‘Left’ all’estrema sinistra e i ‘Sovranisti’ e ‘Patrioti’ all’estrema destra, è comunque scontata la loro opposizione di principio, a questa come a quasi tutte le altre proposte della Commissione.
La lettera della ‘maggioranza Ursula’, firmata dai presidenti dei quattro gruppi politici (Manfred Weber per il Ppe, Iratxe Garcia Perez per i Socialisti, Valérie Hayer per i liberali e i co-presidenti Terry Reintke e Bas Eickhout per i Verdi) e dai relatori o relatori-ombra degli stessi gruppi per i dossier legislativi relativi al bilancio pluriennale, considera inaccettabile la centralizzazione della gestione dei finanziamenti Ue per la Politica agricola comune (Pac) e per la Politica di coesione regionale in un fondo unico per ogni Stato membro (nel quadro di 27 ‘Piani nazionali e regionali di partenariato’), che comporterà inevitabilmente, si sottolinea, una forte riduzione del ruolo attualmente svolto dalle regioni e gli enti locali e dalle organizzazioni agricole, e un indebolimento, quindi, del legame tra le istituzioni e i cittadini europei.
Questa impostazione, avvertono senza mezzi termini i quattro gruppi fin dal primo paragrafo della lettera, ‘il Parlamento europeo non può accettarla come base per l’avvio dei negoziati’, che dovrebbero entrare nel vivo a partire dal 2026 per concludersi, si spera, nel 2027. In sostanza è un ultimatum: per negoziare, la Commissione dovrà prima ripresentare la sua proposta con delle profonde modifiche nel senso indicato.
Mentre la Commissione considera la profonda ristrutturazione proposta per l’architettura del bilancio dell’Ue (con il sostegno, in particolare, del governo tedesco), come un elemento centrale di ‘razionalizzazione’ e ‘semplificazione’ della gestione finanziaria, i quattro gruppi politici chiedono, all’opposto, di mantenere separati i fondi della Pac da quelli di Coesione, di preservarne l’attuale struttura, e di salvaguardare il ruolo delle regioni e delle autorità locali. Esigono poi un maggiore coinvolgimento del Parlamento europeo (e non solo delle autorità degli Stati membri e della Commissione) nelle modifiche e nell’approvazione dei piani nazionali. Inoltre, la lettera contesta anche l’insufficiente ‘condizionalità’ dello stato di diritto nella gestione dei fondi europei (in caso di violazioni da parte dello Stato interessato, affermano i firmatari, i finanziamenti dovrebbero essere ritirati automaticamente e non reimpiegati per altri progetti). I quattro gruppi, infine, respingono il ‘modello Pnrr’ (soldi in cambio di riforme realizzate e di obiettivi conseguiti) che la Commissione vorrebbe applicare. Nella lettera si argomenta invece che ‘le riforme devono essere direttamente legate agli investimenti che vengono fatti’, e che ‘le riforme a livello nazionale non dovrebbero condizionare gli investimenti a livello locale, a meno che le due cose non siano chiaramente legate’. Un legame che ‘verrebbe effettivamente eliminato in caso di riforme in campo macroeconomico’, come sarebbero spesso quelle previste nel modello proposto dalla Commissione.
‘Poiché l’attuale proposta sui Piani di partenariato nazionali e regionali non tiene conto delle nostre richieste principali, non può costituire una base per i negoziati’, ribadiscono nell’ultimo paragrafo della lettera i quattro gruppi. E concludono: ‘Attendiamo pertanto con interesse che le nostre richieste principali siano recepite in modo significativo in una proposta modificata della Commissione europea, che consentirebbe ai negoziati con il Parlamento europeo di procedere’.
Nella lettera dei Conservatori si ritrovano in gran parte, ma in un ordine diverso, le stesse argomentazioni. L’Ecr critica innanzitutto il ‘modello Pnrr’ con i ‘finanziamenti basati sulla performance’, che introdurrebbe più ‘condizionalità’ e ‘complessità’ e ‘potrebbe ostacolare severamente l’effettivo assorbimento dei fondi da parte degli Stati membri’. Ma anche i Conservatori contestano duramente, come secondo punto, la centralizzazione in un fondo unico dei Piani nazionali: ‘Riunire i fondi di coesione e quelli agricoli in un’unica dotazione nazionale, riducendo al contempo i volumi complessivi, eroderebbe due delle politiche di maggior successo dell’Ue, indebolirebbe l’equilibrio territoriale e minerebbe l’ampio sostegno al progetto europeo. I fondi per l’agricoltura, la coesione, la pesca e gli affari marittimi, le misure sociali e la sicurezza interna dovrebbero essere trattati come strumenti distinti, ciascuno con una propria dotazione e norme giuridiche specifiche’, si afferma nella lettera.
‘Questa separazione – rilevano ancora i Conservatori – tutela la chiarezza politica, il controllo parlamentare e la prevedibilità di cui i beneficiari hanno bisogno per pianificare investimenti e riforme. Riunire tutto in un unico schema rischia di offuscare la responsabilità e ridurre la trasparenza per i contribuenti’. La lettera dell’Ecr pone molto l’accento sull’indebolimento della Pac a seguito della riforma proposta, della sua ‘autonomia istituzionale’ e dei suoi finanziamenti, che subirebbero una diminuzione del 20%, passando dal 30% del totale dell’attuale bilancio pluriennale 2021-2027 al 14% di quello del settennio 2028-2034. Una ‘svolta strutturale’, insomma, in cui ‘le nuove priorità della Commissione relegano ai margini l’agricoltura’. Inoltre, sottolineano i Conservatori, ‘la Coesione e lo sviluppo dei territori non possono essere ridotti a un esercizio del governo centrale’ in ogni Stato membro. ‘L’architettura giuridica dovrebbe garantire ruoli rafforzati per le autorità regionali e comunali, richiedere un dialogo significativo e continuo tra la Commissione e le articolazioni degli Stati membri, sancendo i principi di partenariato e sussidiarietà’.
Sebbene più morbida nei toni, anche la lettera dell’Ecr si conclude con la richiesta alla Commissione di presentare una nuova proposta emendata: ‘L’attuale proposta della Commissione non risponde a queste preoccupazioni. Chiediamo pertanto una proposta modificata che ripristini strumenti politici distinti, mantenga una Pac forte e autonoma (…) e integri una vera governance multilivello in una politica di coesione riformata, in linea con il principio di sussidiarietà e responsabilità democratica’.
Le posizioni dei gruppi politici contro la proposta della Commissione sono state accolte con grande soddisfazione da tutte le organizzazioni agricole, che si sono ripetutamente mobilitate contro i pericoli derivanti dall’approccio del Fondo unico: in Italia, da Coldiretti, Confagricoltura e Cia, e in Europa dal Copa-Cogeca. ‘Le organizzazioni agricole europee chiedono un’alternativa che rispetti la natura stessa della Pac, mantenendola come una politica indipendente’, si legge in una nota in cui il Copa e il Cogeca fanno appello ‘ai membri del Parlamento europeo, così come al Consiglio europeo, affinché mantengano la massima fermezza su questo tema’. La conclusione della nota è anche un avvertimento: ‘Assicuriamo ai co-legislatori la nostra determinazione e la nostra piena mobilitazione su una questione vitale per milioni di agricoltori, cooperative e comunità rurali’.
Quanto alle regioni di tutta l’Ue, che si sono già ripetutamente espresse contro la proposta della Commissione sul Qfp, è previsto un dibattito tra i loro rappresentanti e gli eurodeputati il 5 novembre al Parlamento europeo. L’evento è organizzato dalla rete ‘EUregions4cohesion’, che riunisce 140 regioni di 20 Stati membri, e che presenterà un ‘position paper’ con due richieste principali: 1) un bilancio dedicato e ben definito per la politica di Coesione, con importi specifici per tutte e tre le categorie di regioni (meno sviluppate, in transizione, più sviluppate), e pre-allocazioni indicative per ciascuna regione; 2) mantenere un canale diretto di negoziazione tra le regioni e la Commissione europea.
A sostegno di Bruxelles, invece, c’è innanzitutto il governo tedesco. Il rappresentante permanente della Germania presso l’Ue, Thomas Hans Ossowski, l’ha affermato chiaramente durante un dibattito pubblico del Consiglio Affari generali sul Qfp, il 21 ottobre a Lussemburgo: ‘La Germania non accetterà alcun Qfp che non preveda la modernizzazione. Date le sfide globali che ci troviamo ad affrontare, il momento è adesso. Abbiamo bisogno di queste nuove strutture e sosteniamo la riforma proposta dalla Commissione’, ha sottolineato.
Un altro alleato della Commissione è la presidenza di turno danese del Consiglio Ue. La ministra danese degli Affari europei, Marie Bjerre, lo ha affermato chiaramente rispondendo ai giornalisti al suo arrivo allo stesso Consiglio Affari generali del 21 ottobre: ‘Non credo che sia un buon punto di partenza per la discussione rifiutare la nuova struttura’ del bilancio pluriennale nella proposta della Commissione, ha detto. ‘Abbiamo bisogno – ha continuato – di un nuovo bilancio e di disegnare una nuova architettura. Lo status quo non è un’opzione. Le critiche che sono state espresse da diverse parti, riguardo all’architettura, alla struttura del primo pilastro (quello relativo a Pac e Coesione, ndr), non sono fruttuose per il negoziato sul bilancio, e non lo sono se vogliamo un’Europa più forte. Abbiamo bisogno di nuove strutture che rispondano alle sfide enormi che ci troviamo ad affrontare, in termini di competitività e di difesa’.
‘Penso – ha aggiunto Bjerre – che la proposta di bilancio che arriva dalla Commissione sia un buon punto di partenza per questa discussione; e il primo pilastro, che combina i fondi per l’agricoltura e i fondi di coesione, collegandoli ai risultati, soddisfa l’esigenza di risultati economici. Questo è un buon punto di partenza per la discussione. Penso che sia giusto discutere di come vengono distribuiti i fondi, qui le critiche sono pienamente giustificate; ma criticare l’architettura in quanto tale – ha ribadito – non è un buon punto di partenza’. E la Commissione europea, a proposito? Per ora ha cercato di mantenere le sue posizioni, sperando innanzitutto nell’appoggio degli Stati membri in Consiglio Ue, ed escludendo in questa fase qualsiasi disponibilità all’ipotesi di modificare l’impostazione del ‘fondo unico’ a livello nazionale, che considera il cuore della sua proposta.
Il 16 ottobre, con una nota del servizio del Portavoce di cui abbiamo scritto in questa newsletter il 18 ottobre scorso (Riforma dei fondi agricoli e di coesione, divergenza Fitto-von der Leyen?), l’Esecutivo comunitario ha rivendicato di aver proposto ‘un’architettura di bilancio notevolmente semplificata e snella, progettata per rispondere efficacemente alle nuove e mutevoli sfide dell’Unione’ e ha smentito l’interpretazione che la stampa aveva dato di alcune dichiarazioni del vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto, viste come un’apertura a possibili emendamenti. ‘In questa fase – puntualizzava la dichiarazione del Portavoce -, la Commissione non si esprime su singoli elementi della proposta o sulle singole posizioni dei co-legislatori. Restiamo concentrati sul raggiungimento di un risultato che garantisca un bilancio dell’Ue moderno, equilibrato e orientato al futuro, al servizio degli interessi di tutti gli europei’.
Il 30 ottobre, al briefing per la stampa di mezzogiorno a Bruxelles, il portavoce per il Bilancio della Commissione, Balazs Ujvari, ha ribadito il concetto, in risposta ai giornalisti che chiedevano una reazione alla lettera dei quattro gruppi della ‘maggioranza Ursula’. Alla domanda se la Commissione sia disposta ad ascoltare il Parlamento europeo, il portavoce ha replicato: ‘Certo, siamo disposti ad ascoltare il Parlamento e il Consiglio. Svolgeranno un ruolo importante in questo processo. E quello che sta succedendo ora è una serie di scambi costruttivi. Siamo molto aperti ad ascoltare la loro posizione, le loro opinioni. E questo è ciò che ci permetterà di concordare sulla strada da seguire. Insomma, abbiamo ricevuto la lettera e ne stiamo esaminando il contenuto’. ‘Tuttavia – ha aggiunto Ujvari -, ciò che la Commissione non farà oggi è speculare sui singoli elementi della proposta’. E a un’altra giornalista che chiedeva se la Commissione consideri la possibilità di modificare la proposta in questa fase, ha risposto un altro portavoce, Olof Gill: ‘Non ci addentreremo in ulteriori speculazioni in questo momento. Siamo pienamente aperti a un impegno costruttivo per cercare di far avanzare il processo di vitale importanza per decidere il prossimo quadro finanziario pluriennale. Possono esserci altre domande in merito, ma daremo la stessa risposta’, ha tagliato corto Gill.
Il 12 novembre, durante la sessione ‘mini plenaria’ di Bruxelles, è previsto un dibattito al Parlamento europeo sul nuovo Qfp, ma non è ancora chiaro se sarà anche messa al voto una risoluzione; una parte degli eurodeputati, soprattutto nel Ppe, sembra restia a voler correre il rischio di un voto contro la proposta della Commissione, che ritarderebbe notevolmente l’inizio di un negoziato già lunghissimo e complesso, come sempre ogni sette anni, ma che questa volta si preannuncia ancora più difficile.
Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese


