Meloni tira dritto sul decreto per gli aiuti all’Ucraina. La Lega si mette di traverso
Roma, 3 dic. (askanews) – La linea di Giorgia Meloni è molto chiara: il decreto per rinnovare gli aiuti all’Ucraina si farà “entro fine anno”. Quella di Matteo Salvini lo è altrettanto, solo che va in un direzione opposta. Da una parte la premier, tirando le fila della sua partecipazione al vertice dei Paesi del Golfo in Bahrein, ribadisce che mentre è chiara la disponibilità di Kiev, Usa e Ue a trovare una soluzione al conflitto, “ad oggi” una inclinazione del genere “non è segnalata da parte russa”. Dall’altra c’è il vice premier che, inaugurando la sede dell’Enac, getta il cuore oltre l’ostacolo arrivando a sperare che “tra qualche mese, non anni” si possa “tornare a volare su Kiev e Mosca da Roma e Milano”. “A leggere i giornali – aggiunge – c’è chi ha voglia di nuove guerre, io no, non ho voglia di nuove guerre. L’Italia non ha interesse a fare nuove guerre ma a riaprire ponti, magari prima di altri”. Non appare dunque causale il passaggio in cui la presidente del Consiglio sottolinea che approvare un decreto “non vuol dire lavorare contro la pace”. “Finché ci sarà una guerra – precisa la premier – noi faremo quello che abbiamo sempre fatto per aiutare l’Ucraina a difendersi”.
La parola d’ordine nel governo continua a essere ‘minimizzare’. Tanto che Meloni definisce banalmente una questione “logistica” il gioco di prestigio che aveva prima fatto comparire e poi scomparire dall’ordine del giorno del pre Cdm – e dunque dello stesso Consiglio dei ministri che si terrà domani alle 17 – quel decreto per “prorogare l’autorizzazione a cedere mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari all’Ucraina” che dal 2022, subito dopo l’inizio della guerra, è stato rinnovato di anno in anno e che finora ha ‘coperto’ l’invio dei dodici pacchetti di aiuti. Prima della fine dell’anno, è il ragionamento della presidente del Consiglio, “c’è più di un Consiglio dei ministri che lo consente e quindi cerchiamo sempre di spalmare i provvedimenti in maniera tale da lavorare su quello che è più urgente”. Più o meno la linea che ieri è stata fatta filtrare da palazzo Chigi per negare che a mettersi di traverso fosse stata proprio la Lega. E tuttavia, a portare sulla scena il restroscena, ci pensa il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo. “Un conto – spiega – è difendere l’Ucraina, altra cosa è alimentare una guerra: su armi a lungo raggio siamo contrari”. Insomma, spiega “una semplice proroga rischia di non essere allineata al percorso negoziale”.
Fonti vicine alla premier mettono l’accento sul tempismo delle uscite di Salvini, perché sarà pure vero che c’è un lavoro diplomatico in corso sul quale bisogna scommettere – come dicono i leghisti – ma è altrettanto vero – fanno notare i meloniani – che finora a dimostrare scarsa volontà di chiudere la guerra è stata proprio Mosca. Per questo, dalle parti di via della Scrofa c’è la convinzione che l’insistenza di Salvini sia dovuta al fatto che si sia “ringalluzzito” per l’ottimo esito della Lega alle Regionali in Veneto e si sia messo in modalità elettorale, soprattutto sui temi su cui può più distinguersi dagli alleati.
D’altra parte, come non bastasse l’uno-due di Salvini e Romeo, gli uomini del Carroccio oggi hanno alzato le barricate anche sull’ipotesi, prospettata dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, di un utilizzo del Mes “come garanzia” sul prestito all’Ucraina con gli asset russi dopo il no della Bce. “Neanche per sogno”, spiega il deputato Andrea Crippa. “Illogico”, gli fa eco Alberto Bagnai. Nessun commento da esponenti di Fratelli d’Italia, dai quali si fa notare tuttavia che l’Italia non ha mai ratificato il Meccanismo europeo di stabilità per il voto contrario di tutta la maggioranza, meloniani compresi.
