Eleonora, una valdostana a Boston per studiare neutrini e materia oscura
Eleonora Pariset
Persone e storie
di Giulia Calisti  
il 09/12/2025

Eleonora, una valdostana a Boston per studiare neutrini e materia oscura

La giovane studentessa ha iniziato un dottorato di ricerca in Fisica sperimentale al prestigioso Massachusetts Instituts of Techlology

Eleonora, una valdostana a Boston per studiare neutrini e materia oscura.

Eleonora Pariset, valdostana di 23 anni, diplomata al liceo Bérard con 100 e lode, è un esempio di come la scuola valdostana può permettere ai suoi studenti di rapportarsi in contesti internazionali.

Dottorato di ricerca al Massachusetts Institute of Technology

Eleonora davanti al Massachusetts Institute of Technology

Oggi Eleonora vive a Boston, dove ha iniziato un dottorato di ricerca in Fisica sperimentale al Massachusetts Institute of Technology, una delle università più prestigiose e selettive al mondo.

Dopo la laurea magistrale in Fisica alla Sapienza di Roma, ottiene l’ammissione alla Scuola Superiore di Studi Avanzati, un percorso parallelo di eccellenza che offre borsa di studio, residenza e progetti di ricerca avanzata.

Il percorso di studi di Eleonora

«La SSAS è stata una seconda famiglia – racconta -. Mi ha permesso di vivere in un ambiente interdisciplinare incredibile con studenti di tutte le facoltà. È un luogo che apre la mente e ti permette di avvicinarti alla ricerca fin dal primo anno».

Durante il primo anno di magistrale, Eleonora è stata selezionata come CERN Summer Student a Ginevra: quell’esperienza l’ha indirizzata alla stesura della tesi, dedicata allo studio di un decadimento raro del mesone K⁺ nell’esperimento NA62, un progetto che unisce fisica del Modello Standard e ricerca oltre il Modello Standard, dalle Axion-Like Particles alla materia oscura.

Oggi, al MIT, Eleonora lavora con un gruppo di ricercatori che si occupa proprio di neutrini e materia oscura, collaborando con esperimenti in Italia e negli Stati Uniti.

Una ricerca interessante che l’ha allontanata dalla Valle, senza mai dimenticare dove tutto ha avuto inizio. 

Come nasce la decisione di fare domanda al MIT?

«Ho sempre sognato di fare ricerca e dopo cinque anni di studio sentivo che questo fosse il momento giusto.
Il MIT era nella mia testa da anni e sapevo che prima o poi nella mia vita avrei voluto fare ricerca qui, anche se non era scontato riuscirci. I processi di selezione sono molto competitivi ma ho provato lo stesso, senza troppe aspettative. Ho inviato la candidatura e ho aspettato, quando è arrivata l’ammissione ero felicissima».

Quanto hanno influito sulla tua scelta I percorsi alla Sapienza e alla SSAS?

«Tantissimo. Sono entrata in SSAS dopo aver vinto un concorso e, mantenendo i requisiti, ho avuto la possibilità di rimanerci per tutto il mio percorso accademico in Sapienza. È una scuola interdisciplinare: vivevo con studenti di medicina, ingegneria, lettere, economia… un ambiente stimolante sia accademicamente che umanamente.
Grazie a questa scuola ho avuto la possibilità di fare tre progetti di ricerca: il primo nei Laboratori del Gran Sasso, il secondo all’ENEA e il terzo al CERN. Sono state esperienze bellissime che mi hanno permesso di capire cosa volessi fare in futuro».

Cosa ha rappresentato lesperienza al CERN?

«È stata una delle esperienze più formative della mia vita. All’inizio dell’estate, appena arrivata, mi è stato assegnato un progetto nell’esperimento NA62 e ho passato mesi circondata da ricercatori da tutto il mondo.
Lì ho iniziato ad analizzare il decadimento K⁺→π⁺π⁰X, studiando sia le interpretazioni del Modello Standard sia quelle oltre lo Standard Model. È stato il mio primo vero passo nella ricerca».

Com’è avvenuta la selezione del MIT?

«Tra dicembre e gennaio ho fatto il processo di Application: ho caricato sul portale il mio percorso accademico, il CV, i progetti che ho svolto, tre lettere di referenza e due essay: il primo personale e il secondo su un progetto di ricerca. Durante le mie esperienze ho anche avuto la possibilità di lavorare al fianco di una ricercatrice del MIT: mi ha sempre parlato bene dell’ambiente che c’è qui e di come fanno ricerca, spingendomi ad applicare quanto prima.
È stata una motivazione in più per provarci e quando è arrivata la conferma dell’ammissione ho capito di aver fatto la scelta giusta».

Come si struttura il dottorato negli Stati Uniti?

«Varia abbastanza in base all’università. Il mio può durare tra i quattro e i sei anni, con una media di circa cinque e mezzo per il mio corso specifico. A differenza dei dottorandi italiani, durante il mio percorso devo ancora seguire dei corsi teorici, oltre a fare ricerca. Questo permette di definire gradualmente il progetto e capire in quale laboratorio lavorare. Appena arrivata mi sono unita a un gruppo che lavora agli esperimenti CUORE/CUPID, sulla fisica dei neutrini, e a DMRadio, che cerca particelle candidate alla materia oscura. Sto imparando tecniche sperimentali e iniziando a orientarmi nella collaborazione ma non ho ancora definito il mio progetto di dottorato».

Che differenze hai notato rispetto al metodo di studio italiano?

«È diverso, ma molto interessante. Qui l’approccio è più intuitivo e meno formale e allo stesso tempo dobbiamo svolgere degli assignment ogni settimana che richiedono molto lavoro. Bisogna essere in grado di gestire più cose insieme: corsi, ricerca, attività di gruppo. È un ottimo allenamento perché ti modella nel modo in cui affronti i problemi: la fisica è una ma i modi di studiarla sono tanti e vederli da prospettive diverse è un grande arricchimento».

Vedi il tuo futuro negli Stati Uniti?

«Non lo so ancora. Vorrei restare qui per un po’, sfruttare tutte le opportunità che questa università mi offre e imparare il più possibile. Nel lungo termine penso che vorrò tornare in Europa, forse in Italia, ma dipenderà da come andrà la ricerca che farò e dai risultati che arriveranno.
Per ora sono felice di essere qui, a Boston, e di avere la possibilità di crescere in un ambiente così stimolante».

(giulia calisti)

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