Giorgio Bocca, maestro di giornalismo
Sono stati molti i lettori che mi hanno scritto per chiedere conto sul silenzio di Gazzetta Matin sulla scomparsa di Giorgio Bocca. Molti mi chiedono di ricordarlo, anche perché innamorato di La Salle e delle montagne valdostane.
Bene. Non ho avuto modo di conoscere Giorgio Bocca personalmente, nel senso che non ho avuto il piacere d’intrattenermi con lui in privato. Solo qualche attimo “istituzionale” e nulla più. L’ho conosciuto, invece, come scrittore; un po’ meno come giornalista, perché a causa della differenza di età l’ho potuto seguire quasi solo su L’Espresso e non come inviato, purtroppo.
Devo dire che la scomparsa di Bocca, uno degli ultimi padri del giornalismo, ha scatenato ricordi tra i più diversi di lui. Di solito, quando scompare un “grande”, vengono ricordate solo le virtù, dimenticandosi in fretta dei vizi. Con Bocca è stato diverso. E di questo sono contento, perché il giornalista-scrittore piemontese ha diviso l’opinione pubblica e dei colleghi. Prima di essere uno dei puntelli di Repubblica, Bocca è stato un grande inviato. Chi ha lavorato con lui afferma senza esitazione di aver imparato tanto. Ma chi ha lavorato al suo fianco con incarico e fama simili, spesso si è scontrato. Come con Giampaolo Pansa, con il quale fu insieme a Repubblica, e con il quale battibeccò spesso in merito a modi diversi di vedere la lotta partigiana (di cui Bocca ne fu un artefice nella Val Granda) e il periodo che la seguì. Chi ha ragione tra Bocca e Pansa? In molti se lo sono chiesti. Di certo, di errori ne sono stati commessi.
Grande giornalista – forse il più grande della sua epoca – Bocca fu una delle colonne dell’Europeo e de Il Giorno di Milano, prima che si trasformasse in un giornale con una diffusione da quotidiano locale. Maestro del mestiere del giornalista, famoso e temuto per la sua abilità di fare domande estremamente dirette, Bocca a parer di molti e del sottoscritto fu vittima della sua testardaggine, quando negò per molto tempo, prima di dover arrendersi di fronte all’evidenza, del pericolo Brigate Rosse. Nonostante il suo innegabile fiuto, non si rese conto – e si ostinò a difendere il suo credo – che quello della lotta armata era una realtà del nostro Paese.
Altro “neo” di Bocca fu quello di farsi ammaliare, in origine, dall’ascesa del Cavaliere. Cercò, invano, di convincere gli amici di Repubblica che Berlusconi costituiva un’alternativa per un Paese ingessato com’era l’Italia. Probabilmente Bocca aveva ragione, almeno per quanto riguarda ciò che poteva rappresentare Berlusconi come novità. E’ certo che non poteva immaginare il seguito. A L’Espresso dichiarò nel 2007 che era certo che sarebbe morto senza vedere l’emancipazione dell’Italia. Probabilmente nel “primo” Berlusconi vedeva la possibilità della svelta per l’Italia, ma dovette arrendersi con il tempo.
Infine, il mio giudizio su Bocca, come richiesto dai lettori. Da una parte, un grande giornalista, uno dei più grandi del suo tempo; dall’altra, una persona che ha commesso qualche errore, scivolando su alcune bucce di banana. Ma c’è qualcuno che è infallibile? L’importante è ammettere di aver sbagliato e ripartire.