Regione: segretarie degli assessori in rivolta: ”Non ci sentiamo odalische di un harem”
«Mi spiace non abbiate colto il senso dellinterevento che era mirato nei confronti di alcune persone che, coperte da amicizie politiche, sfruttano questo privilegio per ricoprire posti nei quali non fanno il loro dovere danneggiando gli altri colleghi. Ho sottolineato il parassitismo coperto da un sistema clientelare». Si giustifica così il consigliere del Movimento 5 Stelle Stefano Ferrero in risposta alle lettere di protesta piovute sul suo tavolo allindomani dellinfelice battuta «gli assessori hanno un harem di segretarie», fatta durante il dibattito sullinterpellanza relativa alla mobilità dei dipendenti dellamministrazione regionale. Prima a stigmatizzarla la Presidente del Consiglio, Emily Rini che twitta «Allusioni offensive che non fanno onore al Consiglio regionale». Scrive Monica Bonin, della segreteria dellassessore allAgricoltura: «Mi piacerebbe sapere come si sentirebbe Lei se qualcuno parlasse di Sua moglie, Sua figlia, Sua madre o Sua sorella come di unodalisca buona solo per arredare la stanza. Non mi sento parte di un harem né tantomeno un complemento di arredo. Sono dipendente regionale da quasi venticinque anni, assunta attraverso regolari concorsi». Rincara Antonella Berra, dalla segreteria dellassessore allAgricoltura Renzo Testolin, che scrive: «Sinceramente mi viene difficile pensarmi componente di un harem o soprammonile. Se i criteri di scelta fossero legati a meriti estetici già da un pezzo sarei stata riposta in cantina». A prendere posizioni oggi il Comitato unico di garanzia per le Pari Opportunità a tutele delle donne impiegate nelle segreterie degli assessori. «Il Comitato Unico di Garanzia si legge in un comunicato – prendendo atto di quanto affermato nellaula consiliare nel pomeriggio di ieri, 25 settembre, e successivamente sui social network in relazione al ruolo delle lavoratrici dellamministrazione regionale facenti parte delle segreterie degli assessori, manifesta vivo rammarico per laffermazione resa in un luogo istituzionale che reca danno alla dignità di tutte le donne impiegate nellente».