Medico a processo per cannula di una flebo finita in un polmone
Un ago cannula di 36 millimetri che si è staccato dalla flebo in estrazione dal braccio destro e che, alla fine, è andata a depositarsi in un polmone, «in quello sinistro», di Salvatore Manno, 47 anni di St-Vincent.
E’ quanto emerso questa mattina nel processo davanti al giudice monocratico del Tribunale di Aosta, Marco Tornatore, a carico di Gianluca Iob, 46 anni, medico in servizio nella Struttura Complessa cardio-toraco-vascolare dell’ospedale Umberto Parini di Aosta, imputato di lesioni personali colpose.
I fatti risalgono al 13 marzo 2014, quando Manno – parte civile nel procedimento penale in atto – fu sottoposto a un intervento chirurgico «a seguito di un infortunio sul lavoro» nell’ambulatorio ortopedico del Day hospital di regione Borgnalle, ad Aosta.
Per lui, l’inizio del calvario coincise con la rimozione dell’ago cannula dal braccio. «Ho subito capito che qualcosa non era andato per il verso giusto, tutti gli infermieri erano un po’ in panico», ha raccontato stamane davanti al giudice la persona offesa, aggiungendo: «Per cercare di fermare la cannula (staccatasi dal relativo tubicino di plastica, ndr) mi è stata subito applicata una fascia elastica al braccio, non so però chi materialmente me l’applicò, attorno a me c’erano diverse persone in quel momento».
Vista la situazione di emergenza, con l’ago cannula ‘perso’ in vena, il paziente fu subito trasferito all’ospedale Umberto Parini di Aosta. «Arrivato in reparto, il dottor Iob mi disse testuali parole: ‘Cinque minuti e ti rimando a casa’», ha ricordato Salvatore Manno. Tolta la fascia elastica al braccio destro, il medico cardiovascolare aostano iniziò a incidere il braccio – «senza guanti», ha precisato in aula la parte civile – non riuscendo però a trovare la cannula. «A quel punto mi disse che sicuramente l’avevo persa durante il trasporto in ambulanza, di non preoccuparmi, nonostante io continuassi a sentire che qualcosa di strano c’era», ha dichiarato Manno davanti al giudice.
Nel frattempo, allertati dalla compagna di Manno, in ospedale arrivarono anche i Carabinieri, visto che «il dottor Iob mi voleva rimandare a casa, non voleva sottopormi a TAC, che mi venne fatta soltanto dopo le insistenze di una dottoressa».
Ricoverato per una settimana in ospedale, soltanto alla seconda TAC i medici riuscirono a capire dove era andata a finire la cannula perduta. «Nel polmone sinistro, all’interno di un vaso sanguigno – ha affermato la persona offesa -. Da quel giorno faccio fatica a dormire la notte, prendo psicofarmaci, sono ansioso perché ho paura che la cannula possa muoversi da un momento all’altro. Ho paura di fare il minimo sforzo, ho avuto pesanti ripercussioni sia a livello lavorativo che di vita quotidiana. Prima facevo sport, andavo a correre, ora non più».
Interrogato dal suo legale circa la possibilità di rimuovere la cannula, Salvatore Manno ha replicato: «Di fatto non c’è possibilità, o meglio: per toglierla dovrei correre il rischio di vedermi tagliato il 50% del polmone, e non è nemmeno certo la si riesca poi a individuare».
Il processo a carico del medico aostano Gialuca Iob – difeso dall’avvocato Paolo Sammaritani – è stato rinviato al prossimo 20 gennaio, anche alla luce della posizione assunta in chiusura di udienza dal giudice Marco Tornatore, che ha invitato le parti a valutare l’eventualità di un accordo transattivo.
Dal canto suo, il legale del dottor Iob, l’avvocato Paolo Sammaritani, ha sostenuto che approfondimenti in tal senso andranno compiuti.
A seguito di questi fatti, all’epoca l’Azienda USL della Valle d’Aosta ritirò l’intero lotto di cateteri venosi periferici acquistati.
(pa.ba.)