Furti in abitazione: condannato a tre anni di reclusione
Eleonora Cognigni, Carlo Introvigne e Augusto Canini
CRONACA
di Alessandro Bianchet  
il 29/11/2018

Furti in abitazione: condannato a tre anni di reclusione

Anton Ndreka era accusato, insieme alla compagna e colf, Margherita Ricci, di svariati episodi avvenuti nella Plaine

Tre anni di reclusione e mille euro di multa per furti in abitazione. Questo l’ammontare della condanna inflitta giovedì ad Anton Ndreka, 41 anni albanese, dal giudice Davide Paladino nel processo con rito abbreviato relativo all’indagine della squadra mobile di Aosta che, dal 2014 al 2017, aveva visto l’imputato e la sua compagna, la colf Margherita Ricci, entrambi residenti a Nus, compiere una grande quantità di furti (5 Ricci, 4 in abitazione e uno in uafficio; 3 in abitazione Ndreka) in diversi comuni della Plaine.

Il processo

La condanna di Anton Ndreka è arrivata per due dei tre furti, mentre Margherita Ricci non ha richiesto riti abbreviato e andrà a giudizio il prossimo 21 gennaio.

L’inchiesta

L’inchiesta, nata dalle indagini degli uomini della Mobile di Aosta, capitanati dal Commissario capo Eleonora Cognigni, coordinati dal pm Carlo Introvigne, era venuta a galla lo scorso mese di febbraio.

«L’attività investigativa è cominciata a seguito di un numero di denunce in cui è stato riscontrato lo stesso modus operandi – aveva spiegato all’epoca Eleonora Cognigni -. Nei cinque casi regolarmente denunciati è emerso come la coppia abbia sfruttato le relazioni con le vittime per mettere in atto la propria condotta criminosa».

Il modus operandi

Una volta, Margherita Ricci risultava assunta come badante, un’altra come collaboratrice domestica, mentre un’altra ancora era Anton Ndreka a eseguire dei lavori in appartamento.

Informazioni carpite alle vittime

Insomma, in tutti i casi emersi, la coppia carpiva dalle future vittime le informazioni basilari: orari, nascondiglio delle seconde chiavi, posizionamento degli oggetti di valore, presenza di cani e altro ancora per poter agire indisturbati, spesso utilizzando, appunto, le chiavi di scorta, mentre in altri casi commettendo anche effrazioni.

«Così facendo – aveva proseguito Cognigni – le vittime fornivano, senza alcun sospetto, informazioni delicate, che permettevano i furti. Questo modus operandi, però, ci ha permesso di stabilire una connessione tra i vari reati e di risalire agli autori dei furti. Non escludiamo che adesso escano altri casi».

Casi che, peraltro, sono puntualmente venuti a galla, portando alla prima condanna.

(al.bi.)

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