Tasse evase su proventi illeciti: condannato ex amministratore condominiale
Comminata una condanna a 1 anno e sei mesi
Anche sui proventi illeciti le tasse vanno pagate. Parte da questo presupposto la tesi accusatoria – sostenuta in aula dal sostituto procuratore Luca Ceccanti – che ha portato, giovedì 19 settembre, alla condanna a un anno e sei mesi per Stefano Albertaro, ex amministratore condominiale classe 1966 nato a Novara e residente in Valle d’Aosta.
La Procura aostana sosteneva che l’imputato, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto – per gli anni d’imposta 2013 e 2014 – aveva omesso la presentazione della dichiarazione dei redditi. Albertaro avrebbe evaso l’Irpef per 316 mila euro nel 2013, e per 438 mila nel 2014; le somme sarebbero proventi da attività illecite.
La vicenda
L’imputato – difeso dall’avvocato Riccardo Tacca del foro di Novara – era amministratore di una sessantina di condomini (a Novara) e, a causa di una gestione quantomeno “nebulosa” dei conti corrente – con varie movimentazioni finite sotto la lente d’ingrandimento della Guardia di Finanza -, era finito a processo per appropriazione indebita e furto aggravato. Il Tribunale di Novara, in primo grado, lo aveva condannato a 4 anni; i legali (Tacca e Celestino Corica) hanno fatto Appello e il processo di secondo grado è pendente da più di due anni.
Nel frattempo, l’imputato aveva lasciato Novara e si era stabilito in Valle d’Aosta.
Proprio a seguito della prima inchiesta, la Finanza aveva avviato una verifica fiscale a carico di Albertaro.
Il processo
In aula, il pm Ceccanti ha ricostruito le «movimentazioni» di denaro che uscivano dai conti corrente dei condomini amministrati e finivano in quello dell’imputato (salvo poi, in alcuni casi, tornare nei conti di altri condomini).
La rilevanza penale della presunta evasione è data dal fatto che la somma contestata supera la soglia (50 mila euro) prevista dal dlg 74 del 2000. Il magistrato, dopo aver spiegato come dall’analisi delle movimentazioni le Fiamme gialle siano riuscite a individuare l’imponibile, ha poi chiesto la condanna a 1 anno e sei mesi; richiesta accolta dal giudice Maurizio D’Ambrusco nella sentenza.
L’avvocato Tacca, invece, ha sostenuto che il processo «si basa su una presunzione» perché «è lo stesso pm ad ammettere l’impossibilità di determinare la base imponibile». Quindi, «non è possibile, nemmeno induttivamente, giungere a una quantificazione del reddito del professionista», ha detto il difensore rifacendosi a un’annotazione della Guardia di finanza.
Per la difesa, analizzando il piano tributario della vicenda, vi sarebbero stati dei movimenti di denaro tra i conti dei vari condomini «per coprire alcuni ammanchi», ma la tesi della pubblica accusa non sarebbe sostenuta dalla «verifica analitica» delle movimentazioni di denaro; elemento necessario, secondo Tacca, per quantificare l’imponibile.
Il pm ha poi replicato affermando che – agli occhi della legge -, se una somma entra in un conto corrente, «vi è un arricchimento».
La sentenza
Dopo essersi ritirato in camera di consiglio per poco più di un’ora, il giudice D’Ambrusco è rientrato in aula e ha pronunciato la sentenza di condanna.
(f.d.)