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  • Operazione FeuDora: le indagini non finiscono qui, la Finanza è al lavoro su alcuni aspetti dell’inchiesta
    CRONACA
    di Federico Donato  
    il 27/05/2020

    Operazione FeuDora: le indagini non finiscono qui, la Finanza è al lavoro su alcuni aspetti dell’inchiesta

    Reddito di cittadinanza, diamanti, beni di lusso, legami di parentela e viaggi sospetti in Calabria: tutti gli aspetti su cui gli investigatori vogliono fare luce

    FeuDora: le indagini non finiscono qui, la Finanza è al lavoro su alcuni aspetti dell’inchiesta.

    Dopo l’operazione FeuDora, portata a termine nella mattinata di martedì 16 maggio, la Guardia di Finanza è ancora al lavoro per fare luce su alcuni aspetti dell’inchiesta che, a quanto appreso, è tutt’altro che chiusa.

    In particolare, sono in corso accertamenti sul fronte patrimoniale, ma i militari sono anche al lavoro su altri possibili filoni derivanti da quanto emerso dall’attività investigativa.

    Il reddito di cittadinanza

    Un dato significativo evidenziato dalla Guardia di finanza riguarda il fatto che 9 dei 10 soggetti arrestati (mentre gli indagati complessivi sono 13) percepivano il Reddito di cittadinanza; anche il noto pluripregiudicato Giuseppe Nirta.

    Il comandante regionale, generale di brigata Raffaele Ditroia ha parlato di un fatto che «stride con il dato dei proventi ottenuti dallo spaccio», cioè un giro d’affari da circa 70 mila euro al mese. Secondo Ditroia, questo «deve far riflettere anche su come viene utilizzato il denaro pubblico, perché il reddito di cittadinanza dovrebbe essere erogato a persone che ne hanno bisogno. Cosa che qui non c’era, quindi si parla sicuramente di indebita percezione di denaro pubblico».

    Sempre riguardo alla questione Reddito di cittadinanza, Ditroia ha aggiunto: «Non esiste preclusione alla percezione del reddito di cittadinanza per precedenti penali». Infatti, «accertamenti su personaggi di ‘ndrangheta svolti in Calabria, formalmente nullatenenti, ma con a disposizione ricchezze smisurate, hanno rivelato esserne titolari».

    Diamanti, contanti e beni di lusso in mano a Nirta

    Quantomeno singolare anche il fatto che il 27 marzo (giorni in cui era stato arrestato), nella casa di Giuseppe Nirta erano stati rinvenuti cinque telefoni cellulari, una bilancia elettronica di precisione, circa 4 mila euro in contanti, 4 orologi di lusso e 59 zaffiri di colore nero con certificato di garanzia e stima.

    Ma come faceva un pluripregiudicato, arrestato e condannato nell’ambito dell’operazione “Gerbera” su un giro di spaccio di stupefacenti con la Colombia, sottoposto alla vigilanza speciale tra il 2014 e il 2018 (misura restrittiva prevista per gli affiliati alle organizzazioni di tipo mafioso), ad avere così tanti contanti, beni di lusso e diamanti in casa? Proprio in conferenza stampa, il tenente colonnello Francesco Caracciolo ha evidenziato come «essendo stato sottoposto a misure di prevenzione», Nirta «non può avere nulla».

    Quindi è più che probabile che qualcuno si sia prestato per tenergli delle disponibilità economiche.

    Anche perché i beni della sua famiglia – due appartamenti a Quart, con garage e terreni – sono entrati in possesso nel 2017 dell’agenzia nazionale dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Giuseppe Nirta, comunque, non è mai stato processato o condannato per 416 bis.

    La parentela con il presunto boss di Geenna

    Impossibile poi non far riferimento al fatto che Giuseppe Nirta è il cugino di Bruno Nirta (alla sbarra nel processo Geenna perché ritenuto uno dei boss del locale ‘ndranghestista valdostano) e dell’omonimo Giuseppe Nirta ucciso in Spagna nel 2017. E Giuseppe Nirta è anche parente dei fratelli Roberto Alex e Marco Fabrizio Di Donato, altri due imputati “di spicco” nel processo Geenna su presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta.

    Esistono, e se sì quali sono, rapporti (oltre a quelli di parentela) tra gli imputati di Geenna e Giuseppe Nirta? Gli investigatori non si sbottonano.

    Sul punto, ricordiamo anche che nel processo Geenna Bruno Nirta non è imputato solo per associazione mafiosa, ma anche perché ritenuto dalla DDA il vertice di un traffico di droga; la rotta del narcotico, ricostruita dai Carabinieri, riguardava la Valle d’Aosta, il Piemonte, la Calabria e la Spagna.

    Leggendo le 157 pagine dell’ordinanza di applicazione di misura cautelare che ha fatto scattare il blitz delle Fiamme gialle, però, emerge un fatto curioso. Il giorno dell’arresto e della perquisizione a casa di Nirta, la Finanza ha anche perquisito un garage di proprietà di un parente molto stretto di Marco Fabrizio e Roberto Alex Di Donato; un locale, secondo gli investigatori, che era «nella disponibilità dell’indagato» (cioè di Nirta). Nel garage, all’interno di un tosaerba che Nirta ha dichiarato essere suo, sono stati rinvenuti più di 400 grammi di eroina e un bilancino di precisione.

    Altri filoni d’indagine sullo spaccio

    Ciò che invece è certo è il fatto che, dopo l’arresto di Nirta (il 27 marzo), i militari hanno registrato una situazione di «panico» tra i consumatori, poiché era proprio il pluripregiudicato il principale rifornitore di droga sulla piazza aostana. Tuttavia, come sempre accade, «qualcuno si è riproposto sul mercato – ha detto Caracciolo in conferenza stampa -, e questo ci permette di avviare altri filoni d’indagine».

    E sempre riguardo all’attività di spaccio, resta un interrogativo: come arrivava in Valle d’Aosta la droga? Dall’ordinanza emerge il fatto che fosse Nirta a recarsi personalmente in Calabria. Tuttavia, non era lui a trasportare lo stupefacente in Valle d’Aosta. Anche qui, a quanto appreso, la Guardia di finanza è al lavoro per chiudere il cerchio.

    Infine, da segnalare il fatto che gli indagati risultano essere 13, mentre le persone per cui è scattata la misura cautelare sono solamente 10.

    (f.d.)

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