Processo Geenna, quell’intercettazione del 1997 in cui Marco Di Donato parla della sua dote di “camorrista”
Il pm intende inserire nel processo un ambientale del 1997 carpito dalla DIA di Firenze, ma la cassetta che contiene la registrazione è andata persa; le difese si sono opposte ma il Tribunale ha deciso di ammettere la prova
Processo Geenna, quell’intercettazione del 1997 in cui Marco Di Donato parla della sua dote di “camorrista”.
E’ scontro tra pm e difensori in aula (mercoledì 24 giugno), nell’ambito del processo Geenna ad Aosta, sull’ammissione (o meno) di un’intercettazione del 1997 in cui Marco Fabrizio Di Donato (imputato a Torino e ritenuto figura di spicco del Locale di ‘ndrangheta aostano) afferma di avere la dote di “camorrista”.
Il pubblico ministero Stefano Castellani ha chiesto al Tribunale di ammettere l’intercettazione – già oggetto di perizia nell’ambito di un altro procedimento – nel processo Geenna.
L’avvocato Nilo Rebecchi
Il problema è che, nei vari trasferimenti tra le Procure italiane, la cassetta in questione sarebbe andata persa. All’iniziativa di Castellani si sono però opposti i difensori di Nicola Prettico (Nilo Rebecchi e Barbara Cocco), il quali hanno spiegato in aula che «si cerca di far entrare dalla finestra quello che non può entrare dalla porta. L’intercettazione arriva da una perizia, ma la prova è costituita dalla registrazione, quindi la trascrizione non è la prova del fatto». Secondo l’avvocato Cocco, poi, «l’intercettazione dovrebbero essere presente nel fascicolo del pm, ma non c’è. Inoltre non è stata presentata una prova dello smarrimento della registrazione. E’ evidente che non aveva valore probatorio se dal 1999 a oggi nulla è partito rispetto a quella intercettazione. Una frase non può essere estrapolata da un altro procedimento di cui sappiamo solo che c’è stata sentenza di assoluzione».
Il pm Stefano Castellani
Anche l’avvocato Claudio Soro (difesa di Monica Carcea) si è opposto, precisando che «se dovessimo chiedere una perizia fonica per poter attribuire a un soggetto le frasi pronunciate, come faremmo visto che la cassetta è andata persa? La prova così è carente e non supportata». Anche i difensori di Marco Sorbara (Corrado Bellora e Sandro Sorbara) e di Antonio Raso (Pasquale Siciliano e Ascanio Donadio) si sono associati all’opposizione.
Gli avvocati Ascanio Donadio e Pasquale Siciliano
Dopo essersi ritirati in camera di consiglio, i giudici Eugenio Gramola, Marco Tornatore e Maurizio D’Abrusco hanno deciso di ammettere la prova.
Ma qual è la frase a cui si fa riferimento? Innanzitutto si tratta di un ambientale carpito dalla DIA nell’ambito di un procedimento penale di competenza della Procura della Repubblica di Firenze nel 1997. Tra gli indagati – l’inchiesta riguardava un sodalizio di persone dedito a truffe milionarie e traffico di stupefacenti operante nel capoluogo toscano – figuravano anche Giuseppe Nirta (classe ’52 e Marco Fabrizio Di Donato (entrambi poi assolti).
Ma passiamo all’ambientale. E’ il 4 ottobre 1997 e, all’interno dell’auto di Piero Speranza (che oggi è un collaboratore di giustizia), quest’ultimo e Marco Fabrizio Di Donato vengono ascoltati dai Carabinieri mentre parlano – si legge nell’ordinanza del gip del 23 gennaio 2019 – «chiaramente e in maniera assolutamente genuina di riti e cariche della ‘ndrangheta, utilizzando termini propri della consorteria».
Nella circostanza, secondo gli investigatori, Marco Fabrizio Di Donato «afferma di avere la dote di “camorrista”e mostra all’interlocutore un taglio, cioè il segno tangibile della sua affiliazione». In particolare, l’imputato per 416 bis avrebbe detto: «Allora, può farsi riconoscere…o passeggi…quando arrivi; e tu cominci a fare avanti e indietro, tacco e punta. “Tip e Tap”. Si dice..no..!!..avanti e indietro per i fatti tuoi…avanti e indietro, come lo fai?!..questo qua è “il camorrista”. Qua sono io! Qua sono io perché…vedi qua, mi tagliarono».
(f.d.)