Geenna, parla Marco Sorbara: «In quei 909 giorni di prigionia ho pianto e pregato…ho anche pensato di farla finita»
L'ex assessore di Aosta ed ex consigliere regionale, assolto in appello "perché il fatto non sussiste", racconta come ha vissuto il lungo periodo tra carcere e domiciliari
In quei 909 giorni di custodia cautelare tra carcere e domiciliari «ho pianto e pregato…ho anche pensato di togliermi la vita, non mi vergogno a dirlo». Lo ha raccontato l’ex assessore comunale di Aosta e ed ex consigliere regionale, Marco Sorbara, nell’intervista rilasciata a Gazzetta Matin e pubblicata sabato 14 agosto.
A quasi un mese dalla sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte d’Appello di Torino, Sorbara si dice «felice, ma non sereno», perché «mi sento ancora un peso addosso e non ho tanta voglia di parlare e incontrare tante persone». Nel suo appartamento aostano le tracce dei 909 giorni tra carcere e domiciliari saltano subito all’occhio.
In camera ha una raccolta di giornali perché «certe cose non ho potuto leggerle subito, quindi volevo recuperare», mentre in salotto il tavolo è ancora coperto dalle carte dal processo Geenna, che lo vedeva imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. «Ho letto tutto – dice -, forse anche più volte». Poi mostra fogli e taccuini: «Quando ero in cella ho scritto un diario, la mia esperienza giorno per giorno». Ne legge un breve passaggio e subito si commuove: «Capisce? E’ stata dura».
A ogni domanda sull’inchiesta Geenna o sulla ‘ndrangheta risponde: «Io non voglio più parlarne, voglio solo parlare di Marco Sorbara, che è stato assolto e che dal primo momento ha sempre e solo chiesto di essere ascoltato. Non posso dire nulla sulla criminalità perché non la conosco».
Marco Sorbara, è passato quasi un mese dalla sua assoluzione. Come si sente?
Mi sento strano, però ho voglia di gustarmi la libertà. Prima non riuscivo a dormire,mi svegliavo per gli incubi. Ora mi alzo alle tre di notte per camminare nel quartiere.Mi fa strano poter uscire senza dover avvertire i Carabinieri. Comunque sono felice,anche se mi sento ancora addosso un peso. Mi è capitato di digitare sul telefono il numero dei Carabinieri al posto di quello di mio zio da quanto mi è rimasto in testa. E ancora adesso mi fa effetto sentire il telefono o il citofono suonare, perché penso che siano i controlli o chissà cos’altro. Mi faccio anche due o tre docce al giorno perché mi sento qualcosa addosso e tengo dei braccialetti per non pensare alle manette. Da tempo sto facendo un percorso con lo psicologo e per fortuna ci sono mia madre e i miei fratelli, Cosimo e Sandro(che è anche il suo avvocato ndr).
Come ha vissuto quei 909 giorni tra carcere e domiciliari?
I 45 giorni di isolamento sono stati durissimi. Aspettavo solo che arrivasse Sandro, che poteva venire in quanto mio avvocato, per abbracciarlo. Il primo giorno ero troppo scosso, mentre il secondo ho pensato “sono su scherzi a parte”. Poi mi sono chiesto: “ma come è possibile?”. Saprei dipingere la mia cella, è come se la vedessi: so quanti passi servivano per arrivare alla porta e quanti secondi ci metteva lo sciacquone del wc per ricaricarsi. Una persona “normale” non può andare in quel contesto, anche se va detto che gli agenti di custodia cautelare avevano una sensibilità particolare. Il carcere però ti toglie la dignità umana, lì dentro mi sentivo violentato. Ogni tanto mi mettevo in un angolo per non farmi notare e pregavo. I giorni passavano e io aspettavo solo il momento delle visite per poter rivedere la mia famiglia. Poi, grazie a mio fratello e avvocato Sandro, mi hanno concesso i domiciliari. Ma anche lì è stata dura. Nei primi mesi non uscivo nemmeno sul balcone perché avevo paura di incrociare lo sguardo di qualcuno e che questo potesse creare dei problemi. Non potevo scendere in cortile o andare in cantina e arrivavano continuamente i Carabinieri peri controlli.
Qual è stato il momento più difficile?
Nella seconda settimana in carcere ho provato a impiccarmi. Ho fatto un cappio utilizzandole coperte, poi però ho pensato alla mia famiglia e alla fede e non l’ho fatto. In quei giorni Sandro aveva fatto un incidente in autostrada e non era venuto al colloquio. Io non sapevo nulla, quindi l’ho aspettato per due giorni. Non sapevo a cosa pensare. Ho messo il cappio al collo, poi però la luce non si è spenta. Ho pensato alla famiglia e alla promessa che avevo fatto a Sandro: avevo giurato su nostro padre che non mi sarei tolto la vita. Il giorno dopo sono scoppiato e ho iniziato a gridare, finché non mi hanno chiamato per un colloquio e mi sono trovato davanti mio fratello con il collare e le ferite. Ricordo però anche un momento bello, quando dopo 33 giorni di carcere ho rivisto mia mamma e le ho chiesto se mi voleva ancora bene. Lei mi ha detto di sì e quello mi ha dato la forza di andare avanti.
Come immagina il suo futuro?
Continuo a fare il magazziniere perché non è un problema visto che ho iniziato a lavorare come cantoniere e so fare tutti i lavori manuali. Io riparto da qui: se vogliamo, ho la“fortuna” di essere stato totalmente azzerato sotto tutti gli aspetti, quindi sta a me rimettere su i mattoncini. Ho 50 anni e voglio riprendermi la mia vita.
E la politica?
Se parliamo della politica percome la intendo io, cioè stare tra la gente e aiutare chi ha bisogno, lo faccio ancora come ho sempre fatto. Intesa come elezioni non lo so. Non lo escludo. Se penso a chi negli anni mi ha votato onestamente…per loro lo rifarei. Però ora devo superare la paura, perché so che se non fossi stato in politica probabilmente tutto questo non sarebbe successo. Però è una mia passione e penso di essere sempre stato corretto.
Cosa ne pensa delle reazioni politiche dopo il suo arresto?
Bisogna essere garantisti sempre e per tutti, non solo per convenienza o simpatia. Per me, invece, c’è stata solo tanta cattiveria. Non dimentichiamoci che quel giorno il Consiglio ha praticamente emesso una sentenza di condanna nei miei confronti. Io sono stato assessore in Comune ad Aosta e, con i miei voti onesti, nel 2015 ho permesso all’Union valdôtaine di non andare al ballottaggio. E non dimentichiamo che alle regionali del 2018 ho portato un consigliere in più all’Uv. Nel movimento mi sono relazionato con tutti e tutti mi venivano a chiedere consigli:poi da un giorno all’altro mi hanno condannato e cacciato. Chi ne ha dette di cotte e crude, in particolare gli esponenti dell’Union, oggi dovrebbe chiedere scusa a mia madre e a tutti gli elettori onesti che mi hanno votato.
Dopo l’assoluzione i toni sono cambiati?
Ho visto tanta ipocrisia. L’Uv mi ha abbandonato completamente e poi è stata la prima a esprimere solidarietà.Io credo che se la politica si fermasse un attimo capirebbe che quello che è successo a me potrebbe succedere a chiunque. Io mi sono sempre comportato bene eppure ho subìto un’ingiustizia.
Facciamo un passo indietro. Prima dell’assoluzione in appello lei era stato condannato in primo grado a 10 annidi carcere.
E’ stata una bastonata. Io ero sicuro del fatto che sarei stato assolto, quindi avevo già pianificato di portare mia mamma da qualche parte. Quel giorno, quando sono tornato a casa, sono andato diretto sul balcone e ho pensato di buttarmi di sotto. Mi sono fermato all’ultimo momento solo perché non è abbastanza alto e temevo di rimanere zoppo. Avrei anche fatto soffrire ancora di più la mia famiglia.
La sua assoluzione non è definitiva, quindi è possibile che la Procura ricorra in Cassazione. E’ preoccupato?
Io credo nella giustizia e, al momento, non ci penso al discorso Cassazione. Per me sarebbe assurdo perché sono tangibili le prove della mia innocenza, quindi spero che non ci sia un accanimento. Secondo me però qualcosa dovrebbe essere modificato nel sistema e, soprattutto, prima di mettere qualcuno in carcere dovrebbero tutti ricordarsi che dietro a ogni fascicolo c’è una persona.
L’intervista integrale su Gazzetta Matin in edicola.
(Federico Donato)