Aosta Pride, «l’idea che aveva bisogno di essere pensata»
Giulio Gasperini, presidente di Arcigay - Queer Valle d’Aosta, spiega rivendicazioni e timori della comunità Lgbtqi+ e rivela: «colpiti dalla vicinanza dei valdostani, tra opposizione e appoggio è stato più forte l’appoggio»
A cinquant’anni dal primo pride italiano, Sanremo 1972, la rivoluzione queer della Valle d’Aosta parte dal Teatro romano, vestito con i colori dell’arcobaleno e con il logo in stile anni ’70 della gay culture del primo, storico, Aosta Pride.
Programmato inizialmente per il 24 settembre, posticipato all’8 ottobre per la sopravvenuta concomitanza con le elezioni politiche, l’Aosta Pride ancora prima di svolgersi ha già incassato qualche piccolo risultato che rimarrà nella sua storia, come essere il primo Pride autunnale, il primo dopo il mutato panorama politico nazionale e con gli eventi che anticipano la parata sold out.
Diritti civili e sociali
Un Pride è «l’idea che aveva bisogno di essere pensata anche in Valle d’Aosta» dice Giulio Gasperini, presidente dell’Associazione Arcigay – Queer VdA. Un modo anche per la comunità queer valdostana di sentirsi rappresentata, di prendersi la sua visibilità portando avanti le richieste che sono proprie a tutte le comunità Lgbtqi+ e non solo, perché come sottolinea Gasperini, «i diritti civili e sociali devono procedere insieme, non è un mettere in contrapposizione gli uni sugli altri, ma un tenerli uniti».
Al centro del manifesto politico dell’Aosta Pride, oltre a una serie di rivendicazioni nelle quali ognuno si può riconoscere, come per esempio il diritto all’aborto, le azioni sul cambiamento climatico, c’è il concetto di autodeterminazione personale, e cioè «lasciare alle persone la libertà di decidere per se stesse e per i loro corpi – spiega Gasperini -. Una libertà che non danneggia nessuno».
La comunità queer, insieme a tutte le persone che la sostengono, chiede anche, ancora, insistentemente, una legge contro l’omobistranfobia, una legge sul matrimonio egualitario che sostituisca quella ormai superata sulle unioni civili, una legge sulle adozioni, una riforma della legge 164 del 1982 sulla riassegnazione del sesso per le persone trans «che non veda più la questione solo in chiave medico-patologica».
Rivendicazioni e nuovo scenario politico
Alla luce del nuovo contesto politico che si è delineato dopo le ultime elezioni quali sono i timori rispetto a queste rivendicazioni?
«Non credo che si arriverà a una cancellazione dei diritti acquisiti – dice il presidente di Queer VdA -, temo piuttosto che possano esserci delle limitazioni, penso all’obiezione di coscienza dei sindaci sulle unioni civili. Certo è che non ci sarà nessun passo avanti e si rischia di rimanere sospesi con nuove limitazioni».
Il timore maggiore però non arriva dai palazzi della politica, quanto piuttosto dal comune cittadino…
«La paura è che vengano istituzionalizzati certi comportamenti, che le persone si sentano autorizzate a mettere in atto violenze verbali o peggio ancora fisiche. Qualcosa di questo genere è già iniziato, sui social la gente scrive cose che prima, per pudore, non osava».
La situazione in Valle d’Aosta
«In Valle d’Aosta non esistono strumenti istituzionali per registrare la presenza o meno di casi come questi – evidenzia Gasperini -, l’associazione ha raccolto qualche denuncia di comportamenti omotransfobici ma sono poco rappresentative».
«Servirebbe a livello istituzionale la raccolta di queste segnalazioni, ma bisogna dire che le denunce non vengono fatte proprio perché manca una norma che disciplini un reato che di fatto non esiste. C’è un vuoto normativo».
Detto questo il comitato organizzatore del primo Aosta Pride si è trovato di fronte a una comunità valdostana molto più accogliente e aperta di quanto si aspettasse.
«Siamo stati colpiti positivamente dal supporto e dalla vicinanza, dagli incoraggiamenti di cittadini, albergatori, ristoratori e negozianti – dice -. Quando abbiamo fatto il giro con le locandine da appendere, pochissimi ci hanno detto di no, e anche negli eventi che stiamo facendo ho visto tantissime persone nuove. Tra opposizione e appoggio per questo primo Aosta Pride è stato sicuramente più forte l’appoggio».
Pride: rivendicazione, festa, ostentazione
«Non ho niente contro di loro, non mi danno fastidio però…».
Il però è l’eccesso, l’ostentazione che il Pride, da sempre, porta in strada con prepotenza sotto agli occhi di tutti.
È opinione di molti che se la comunità queer protestasse in modo più “composto” sarebbe presa maggiormente in considerazione, cosa risponde a chi la pensa così?
«Il Pride è un momento storico e culturale per la nostra comunità che porta in strada i corpi, facendosi vedere in quanto persone fisiche. Quando le cose non si vedono va a finire che per i più non esistono, e invece noi ci siamo! Lo scandalo è una pietra d’inciampo perché si prenda consapevolezza di una comunità che vive, lavora e paga le tasse. Ci prendiamo la visibilità» dice Giulio Gasperini.
Alla voce del presidente dell’associazione fa eco quella di Alice Sartore, giovane attivista Lgbtqi+.
«Il Pride è come La legge dell’ortica, come dice Caparezza, “non c’è gusto se non irrita“!»
«Tutte le manifestazioni hanno questo scopo, dare fastidio, farsi notare – aggiunge la giovane -. L’Aosta Pride forse anche per le temperature, potrebbe essere un po’ più soft da questo punto di vista e potrebbe farsi conoscere con un approccio più graduale. Sicuramente porterà qualcuno a chiudersi ancora di più di fronte a queste tematiche, e altri ad ascoltarle».
«Vivessimo in un mondo migliore io non avrei bisogno di ostentare nulla – conclude Sartore, ma siccome non è così, portiamo l’eccesso in piazza».
(erika david)