Turismo open air, altro che albergo: il futuro è una piazzola con vista
Milano, 6 giu. (askanews) – C’è stato un tempo – nemmeno troppo lontano – in cui la vacanza in campeggio evocava tende gocciolanti, formiche nella borsa frigo e un senso di disagio che, a raccontarlo oggi, pare cronaca di un altro mondo. Oggi, la stessa vacanza si chiama open air, costa parecchio di più, e ha un’identità ben precisa: libertà, autenticità, rigenerazione. Tre parole che suonano meglio di “mini club” e “cena a buffet”, e che vendono più di quanto si pensi.
Il settore open air ha fatto boom. Nel 2024 ha superato 71 milioni di presenze e 8 miliardi di fatturato. Numeri da colosso industriale, e non più da nicchia campeggistica. Le famiglie italiane, pressate tra il costo della vita e il bisogno di staccare, sembrano aver trovato un compromesso tra natura e comfort. Un compromesso che, come tutte le cose moderne, ha bisogno di un nome inglese per sembrare nuovo. Eppure dietro questo successo, c’è qualcosa che va oltre la moda. Come racconta Silvia Pagnan, head of sales and marketing del gruppo turistico Pagnan, non si tratta solo di dove si dorme, ma di cosa si prova: “L’open air oggi è un trend perché incarna i valori che le persone cercano nella vacanza: esperienze, libertà, autenticità. Esperienze che nel quotidiano non fai: cavalcare in spiaggia al tramonto, salvare le tartarughe ferite, imparare a tirare con l’arco. Noi vendiamo un mondo di esperienze”.
Un mondo che nel suo caso ha anche un nome preciso: Isaholidays, il gruppo che riunisce due strutture cinque stelle – Isamar Holiday Village a Isolaverde di Chioggia e Barricata Holiday Village, nel cuore del Parco Naturale del Delta del Po. Due villaggi affacciati su lunghe spiagge attrezzate, immersi nella natura, pensati per coniugare il meglio dei due mondi: l’aria aperta e il comfort, la sabbia e il servizio lavanderia. C’è chi cerca le piazzole, chi gli appartamenti, chi il glamping con zanzariera e aria condizionata: ce n’è per tutti, purché si arrivi con una certa voglia di staccare – e una prenotazione fatta per tempo.
La parola “esperienza” è diventata il passepartout del turismo contemporaneo. Non si compra più un soggiorno, si compra una narrazione. Non si affitta un bungalow, si affitta una storia da raccontare. E il bello è che funziona. Perché oggi il vero lusso, dice Pagnan,”è la libertà. Non sentirsi costretti, non dover essere vestiti in un certo modo. Avere spazio. Anche solo lo spazio di non vedere nessuno, se vuoi. Questo è il nuovo lusso: poter essere autentici”.
In un Paese dove il concetto di lusso è stato per anni sinonimo di marmo, jacuzzi e aperitivi con vista, la svolta è quasi sovversiva. E molto sociale. Perché il target non sono i miliardari russi né gli influencer in fuga da Milano, ma famiglie normali. Famiglie che, come racconta Silvia, “magari rinunciano all’auto nuova o al vestito in più, ma alla settimana open air non rinunciano. È il loro momento di rigenerazione, il loro piccolo lusso personale”.
Il tutto accade in strutture che assomigliano sempre meno a campeggi e sempre più a villaggi diffusi, dotati di parchi acquatici, academy per i bambini, e soluzioni architettoniche che imitano la case di design con il verde intorno. Il mare, nel caso dell’Alto Adriatico, non è quello che si direbbe un richiamo irresistibile. Ma anche qui la soluzione è creativa e molto italiana: “Il mare non è il nostro punto forte,” ammette Pagnan. “Ma le spiagge sono bellissime, e poi c’è questa leggenda del quarzo nella sabbia: pare che qui ci si abbronzi in due giorni. Il mare lo compensiamo con i parchi acquatici. E funziona: la maggior parte degli ospiti passa la giornata lì”.
Funziona anche con chi arriva dall’estero, che secondo Silvia rappresenta spesso la clientela più disposta a spendere: “Il turista straniero, soprattutto danese e tedesco, ha un potere d’acquisto molto più alto. Per loro, l’Italia è conveniente. In Danimarca un cappuccino costa dodici euro. Qui trovano comfort e servizi a un prezzo che per loro è un affare.” E così il villaggio open air diventa anche una specie di zona franca economica: abbastanza costoso da sembrare esclusivo, abbastanza accessibile da sembrare democratico. Un miracolo dell’equilibrismo commerciale, dove anche la fedeltà dei clienti diventa una strategia: “Puntiamo molto sui repeaters, anche se non sono neanche tantissimi, circa il 30%. Oggi c’è una concorrenza incredibile. Ma il fatto che ogni anno tornino tre persone su dieci è già una grande vittoria”.
In fondo, quello che sta accadendo è che il turismo sta tornando a essere una questione culturale, non solo economica. La vacanza open air racconta qualcosa su di noi: sulla voglia di uscire dal cemento senza abbandonare le comodità, sul bisogno di natura filtrata attraverso una reception, sulla riscoperta della semplicità, ma senza rinunciare alla piscina con scivolo. Chi va in campeggio non cerca più l’avventura. Cerca una tregua, magari col sorriso. Una parentesi in cui essere finalmente “come si è”, che è la versione 2.0 del vecchio sogno borghese di “fuggire dalla città”. Solo che oggi non si fugge più con lo zaino e le scarpe da trekking, ma con la prenotazione fatta online e le lenzuola già incluse.
E chissà, forse è giusto così. Perché alla fine, l’idea di essere liberi, autentici, a contatto con la natura piace a tutti. Anche se a farcelo provare è un villaggio con cinque stelle, tre piscine, e l’animazione per i bambini alle 10.