Turismo, 6 italiani su 10 non conoscono l”upcycling edilizio’
Roma, 19 giu. (askanews) – Quasi 9 italiani su 10 ritengono importante dare nuova vita ad edifici in disuso, riconoscendone un impatto positivo in termini di riduzione dell’impatto ambientale (50%), di miglioramento dell’estetica e vivibilità urbana (44%) e della creazione di nuove opportunità economiche e sociali (44%). Tuttavia, la conoscenza dell’upcycling edilizio – ovvero il recupero e la riqualificazione di immobili esistenti – rimane ancora limitata: 6 italiani su 10 dichiarano di non averne mai sentito parlare. Inoltre, l’11% afferma di conoscere il concetto di upcycling, se applicato ad altri ambiti come moda, arredamento o bricolage, ma non al settore edilizio. Eppure, una volta compreso, 1 italiano su 3 dichiara che sceglierebbe più volentieri un hotel nato dal recupero di un edificio esistente.
Sono questi i primi dati dell’Osservatorio ‘L’upcycling dell’hôtellerie: lo stato dell’arte e sfide per il futuro’ di Aries Group, gruppo alberghiero indipendente italiano attivo nelle principali città d’arte e di business in Italia, commissionato all’istituto di ricerca YouGov . Lo scopo di questo studio è accendere i riflettori sul ‘fenomeno’ dell’upcycling edilizio, con un focus sul settore alberghiero e sulla percezione degli italiani relativamente al connubio sostenibilità e hotel.
L’appeal dell’upcycling nell’hôtellerie, informa una nota, è in forte crescita In Italia, il tema dell’upcycling nel settore alberghiero non è ancora oggetto di particolare sensibilità: il 43% degli intervistati lo ritiene un argomento poco considerato e dibattuto, anche se una quota rilevante (36%) riconosce segnali di attenzione crescente, per ora circoscritta ad aree a forte vocazione turistica (18%) o comunque inferiore rispetto all’estero (18%).
E anche l’esperienza diretta rimane ancora limitata: solo 1 italiano su 4 dichiara di aver soggiornato in un hotel nato dalla riqualificazione di uno stabile esistente, con una leggera prevalenza maschile (18%). Colpisce a riguardo il dato sulla scarsa consapevolezza: il 31% degli intervistati non sa se abbia mai alloggiato in una struttura rigenerata, percentuale che raggiunge il 41% tra la Generazione Z. Ciononostante, l’interesse verso questa tipologia di strutture si rivela notevole: il 31% degli italiani sceglierebbe più volentieri un hotel nato dal ‘recupero’ di un edificio esistente, mentre un ulteriore 50% si dichiara propenso a soggiornarvi, a condizione che siano garantiti comfort, servizi e qualità.
Milano: la conoscenza dell’upcycling dell’hôtellerie ancora contenuta. Anche nel capoluogo lombardo, la conoscenza concreta di esempi di riqualificazione edilizia a fini turistico-ricettivi è limitata: solo il 3% degli intervistati è in grado di citare casi specifici di edifici trasformati con successo in strutture ricettive; il restante 97% si divide tra chi non conosce affatto questo tipo di interventi (71%) e chi ne ha solo sentito parlare senza poter fornire esempi concreti (26%).
Spazi da rigenerare, potenziale bloccato: per gli italiani servono interventi urgenti, ma a rallentare burocrazia, costi e mancanza di visione urbanistica. Tra gli immobili da rigenerare con maggiore urgenza, ex fabbriche o complessi industriali e scuole e ospedali (al primo posto, entrambe a 71%), caserme o edifici militari dismessi (68%) e strutture ricettive abbandonate (66%) guidano la classifica. A frenare il potenziale di questi interventi, secondo il campione intervistato, sono soprattutto la burocrazia complessa e i tempi di approvazione eccessivamente lunghi (67%) e i costi elevati di ristrutturazione (59%); le criticità si estendono anche al quadro istituzionale: il 51% degli intervistati critica la mancanza di una pianificazione urbanistica strategica a lungo termine e il 46% evidenzia la carenza di incentivi economici.
L’upcycling è motore di innovazione, ma il supporto dello Stato è ritenuto essenziale.
Secondo 3 italiani su 4 lo Stato dovrebbe incentivare l’upcycling finalizzato alla creazione di strutture ricettive alberghiere. Tra i numerosi benefici individuati spiccano le nuove soluzioni architettoniche capaci di valorizzare storia e identità dell’edificio (45%) , mettendo in luce come il recupero non significhi semplice restauro, ma reinterpretazione creativa del patrimonio esistente. Seguono poi una maggiore attenzione all’accessibilità ed all’inclusività degli ambienti (37%), l’introduzione di tecnologie smart per la gestione efficiente di energia e risorse (33%) e la possibilità di offrire spazi ibridi più flessibili in linea alle nuove esigenze di lavoro, tempo libero e benessere (29%).
Ripartire dalle periferie: uno sguardo al futuro L’86% degli italiani si dichiara favorevole all’idea di rigenerare le periferie attraverso progetti alberghieri. Tuttavia, quasi la metà (48%) sottolinea l’importanza di accompagnare questi interventi con adeguati servizi e infrastrutture. Solo il 3% ritiene preferibile concentrarsi sulle aree turistiche già consolidate.
Quando si analizzano gli impatti positivi attesi dalla presenza di strutture ricettive ‘rigenerate’ all’interno dei quartieri, il miglioramento del decoro urbano si posiziona al primo posto con il 59% delle preferenze; seguono, a pari merito, la rivalutazione immobiliare della zona e la crescita dell’occupazione e dell’indotto locale (entrambi al 51%); al terzo posto si trova l’aumento dell’attrattività turistica (38%).
La sostenibilità incide sulla scelta alberghiere, almeno in parte, della metà degli italiani (49%). Per un quarto dei viaggiatori (23% per la totalità del campione, mentre sale al 28% per la Gen X), l’impronta ecologica è già oggi un criterio di selezione, mentre per quasi un terzo lo sarà sempre di più in futuro. Tuttavia, la trasparenza sull’impegno ambientale degli hotel è cruciale (77%): in particolare, il 53% lo valuta positivamente a condizione che sia comunicato in modo chiaro e verificabile, dimostrando una crescente diffidenza verso il greenwashing. Tra le pratiche sostenibili più apprezzate nelle strutture alberghiere, il ‘riutilizzo’ di edifici esistenti ottiene il 49% delle preferenze (con un picco al 56% tra i Baby Boomer), preceduto solamente dall’impiego di fonti di energie rinnovabili (56%).
Nato nel 2020, Aries Group è un gruppo alberghiero indipendente italiano presente nelle principali città d’arte e di business, la cui missione è dare una nuova vita al patrimonio immobiliare del Belpaese. L’upcycling è nel DNA dell’azienda che ha rigenerato quattro strutture alberghiere tra Milano, Bologna e Roma. Un processo che non si limita al restauro degli edifici, ma evolve costantemente per implementare innovazione e generare valore duraturo per il territorio e le comunità che lo vivono. A tal proposito, l’estate 2025 segnerà l’inizio presso il Quark Hotel, una delle strutture di Aries Group situata a Milano, di un progetto di ristrutturazione tecnologica, in collaborazione con EvaStomper Studio, che trasforma gli spazi in ambienti flessibili, neutri e tecnologici, unificando ingresso, sale eventi, meeting e aree di servizio con un design minimalista e materiali performanti. L’ingresso si arricchisce di un ledwall e rivestimenti di pregio per un’identità forte; le sale (Scorpio, Expo, Quasar) diventano ‘black box’ modulari dotate di schermi fissi o ledwall, impianti AV flessibili e finiture neutre per adattarsi a ogni evento. Meeting e corridoi sono armonizzati cromaticamente con nuove pavimentazioni, segnaletica e illuminazione moderna; la palestra (Area Taurus) si fa spazio ibrido tra allenamento e installazioni immersivi, mentre i bagni puntano su un restyling full color con sanitari di design. In ogni area, tecnologia LED, AV e illuminazione avanzata si integrano per offrire esperienze su misura, coerenti con l’identità del brand e le esigenze del cliente.
Questo impegno si inserisce in un percorso strutturato di sviluppo sostenibile a 360°. Tutte le strutture del Gruppo hanno recentemente ottenuto la certificazione DCA ESG, rilasciata da Dream&Charme, organismo indipendente accreditato a livello internazionale, in conformità al Regolamento UE 2024/825 contro il greenwashing. Questo riconoscimento segna l’avvio concreto di un piano ESG integrato, basato su criteri CSRD che includono, per esempio, il coinvolgimento attivo degli stakeholder e l’utilizzo di indicatori di performance per misurare l’impatto.