Eligio Scarlaccini, una vita dentro e fuori dal tunnel
Eligio Scarlaccini nel suo laboratorio di falegnameria a Cournayeur
Storie e personaggi
di Erika David  
il 16/10/2025

Eligio Scarlaccini, una vita dentro e fuori dal tunnel

Classe 1940, Eligio Scarlaccini ha lasciato Viterbo per Courmayeur dove ha lavorato alla costruzione del Tunnel du Mont Blanc

«Stavo lavorando, ma ero fuori dalla galleria, a un certo punto abbiamo sentito gridare, “è stata aperta l’ultima volata!”… è stato il giorno più bello, abbiamo fatto una grande festa tutti insieme».

Così Eligio Scarlaccini, classe 1940, ricorda il momento in cui il 14 agosto 1962 sotto il Monte Bianco cadde l’ultimo diaframma di roccia che separava Italia e Francia e la nascita ufficiale del collegamento internazionale che sarebbe diventato, con l’inaugurazione del 16 luglio 1965, il Traforo del Monte Bianco – Tunnel du Mont Blanc.

Scarlaccini è uno dei pochi operai, «forse l’ultimo» ancora in vita che lavorarono alla costruzione della galleria. «Sono morti tutti, a parte qualche fabbro che però lavorava esternamente, da cui portavamo le punte a molare o veniva per fare delle saldature».

Da Gallese a Courmayeur

Eligio Scarlaccini da giovane

Sesto di dieci fratelli nato a Gallese, nelle campagne viterbesi, Scarlaccini arrivò in Valle d’Aosta proprio per lavorare alla costruzione del traforo, nel 1959.

«Lavoravo alla Astaldi per la costruzione della diga sul Tevere, da lì ci hanno mandati su, alle Condotte, per rinforzare le squadre di operai per il tunnel».

«Sono arrivato in treno, man mano che salivo vedevo la Valle che si stringeva tra le montagne e, abituato all’apertura dei campi che abbiamo nel Lazio, anche il cuore si stringeva. Era novembre, avevo già trovato la neve, io avevo le scarpe di pezza era tutta una cosa un po’ da lacrime negli occhi…» ricorda l’uomo che alla fine però, tra quelle montagne ha scelto di rimanere.

Il lavoro nel tunnel

«All’inizio stavo nelle baracche costruite proprio all’imbocco della galleria, appena sotto il ghiacciaio della Brenva che allora era molto più esteso, lo attraversavamo a piedi per raggiungere Notre Dame de la Guérison. Una volta su quelle baracche è caduta una valanga ha distrutto tutto, siamo rimasti sotto ma ci siamo salvati».

Durante i 44 mesi di scavo furono 23 le vittime tra gli operai, 14 sul lato italiano, 7 su quello francese e 2 guide alpine scomparse durante le attività preliminari di triangolazione.

«Dopo tre giorni dal mio arrivo un operaio morì dentro un silos, lo shoc, i pianti…» ricorda l’uomo.

«Ho iniziato come autista di autogru per mettere le reti nella calotta per trattenere i blocchi di granito che potevano staccarsi durante le volate».

«Man mano che avanzavano gli scavi ho guidato i trattori che portavano fuori materiale e, quando il cantiere si bloccava per le infiltrazioni d’acqua, ho scavato insieme ai minatori la mezza sezione per bloccare l’acqua che scendeva, man mano che si andava avanti c’erano tante cose che non funzionavano».

«Quando mancavano gli ultimi 600 metri da scavare l’Italia ha deciso di andare avanti solo con mezza sezione per arrivare prima alla quota. Quando poi sono rimaste da fare le rifiniture io sono venuto via, ho fatto altri lavori».

La scuola Radio Elettra, i tetti e la falegnameria

Dopo qualche tempo Eligio guadagna abbastanza per permettersi una stanzetta ad Entrèves, dalla famiglia Berthod, «mi volevano bene».

«All’inizio vivevo un po’ come un eremita, poi ho iniziato a conoscere gente e a uscire. Studiavo, mi ero iscritto alla scuola Radio Elettra, per corrispondenza, ma quando ho preso il diploma la tecnologia è cambiata e dalle televisioni a valove sono arrivati i transistor… avrei dovuto ricominciare! Da lì, finito al traforo, ho fatto tanti lavori, muratore, tetti -ne ho fatte di case!-, ho lavorato alle funivie, poi ho fatto il falegname» racconta guardandosi attorno nel suo laboratorio di falegnameria pieno di tavole e truccioli.

A Courmayeur Eligio, oltre al Traforo, ha costruito il suo futuro e la sua famiglia con la quale, solo in seguito, ha percorso il tunnel attraversando quella galleria che conosce così bene.

«La prima volta sotto il tunnel sarà stato una decina di anni dopo l’apertura, io dall’altra parte a Chamomix ero già andato con la funivia, non avevo la curiosità di vedere, ma quando sono passato in mezzo è stata una soddisfazione vedere l’opera che era stata fatta. Ci penso sì che ci ho lavorato lì dentro!».

La famiglia e… la seconda canna

Sposato con la giovanissima Rosalinda, Eligio è diventato papà di Vittoria e Cristina, rimasto vedovo ha ricostruito una nuova famiglia allargata con Leontina che aveva già due figli, con cui ha avuto Franca.

Leontina è mancata nel 2020 e Eligio continua a fare tutto da solo.

«Nell’estate 2020 ha avuto un tumore dal quale è emerso più forte di prima. Uscito dall’ospedale gli ho regalato un bonsai dicendogli che è l’albero più forte della nostra famiglia, come lo consideriamo tutti noi» dice la nipote Teresa.

Cosa pensa adesso Eligio di questo traforo chiuso a singhiozzo per continui lavori?

«Speriamo ne facciano un altro!».

(erika david)

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