Censis: “Italia nell’età selvaggia, sa fronteggiare il presente”
Roma, 5 dic. (askanews) – “Il Paese ha saputo, più e meglio di altre grandi democrazie occidentali, porsi faccia a faccia con il presente. La società italiana, non riuscendo a spezzare la trappola del declino, ha rimodulato attese e desideri. Certo, scontando la perdita di potenza dei trascorsi processi di ascesa economica e sociale, e senza poter contare su riforme e adeguamenti strutturali alle grandi trasformazioni in corso. Nel saper stare insieme sull’esistente si sfebbrano gli eccessi, si metabolizzano aggressività ed esclusione, si contrasta l’instabilità politica e sociale, si limitano le conseguenze del ritardo dello sviluppo economico. Ma l’autonoma difesa immunitaria non basta: non può sostituire la necessità di visione e di azione”. Inizia così il Censis, giunto al tradizionale appuntamento del suo rapporto annuale sulla società italiana.
E in occasione della 59esima edizione dello studio, il censi lancia anche un rinnovamento del suo portale internet..
“L’Italia nell’età selvaggia – titola il centro studi – del ferro e del fuoco”. Perché “nel nuovo mondo a soqquadro abbiamo capito che non è l’economia da sola a guidare i grandi processi, ma sono i caratteri antropologici di noi creature simboliche a costituire il vero motore della storia: antichi miti e nuove mitologie, paure ancestrali e tensioni messianiche, incrollabili fedi religiose e rinsaldati fanatismi ideologici, radicali culture identitarie e incontentabili desideri di riconoscimento, fino alle rinnovate suggestioni della politica di potenza. Molti fenomeni del nostro tempo, che sfuggono alla pura razionalità economica, come le guerre, i nazionalismi, le politiche protezionistiche, non si spiegherebbero altrimenti”.
E ora “un vitalismo irrazionale sembra soppiantare la fiducia ragionevole in un illuminato e impersonale progressismo liberal. Siamo entrati in un’età selvaggia, un’età del ferro e del fuoco, di predatori e di prede, in cui la violenza prende il sopravvento sul diritto internazionale e il grande gioco politico cambia le sue regole, privilegiando ora la sfida, ora la prevaricazione illimitata”.
Se resistere, adattarsi, stare dentro le crisi è diventata un’attitudine italiana, secondo il Censis “stare nel presente non deve ridursi però all’eccesso di presenza di gesti e parole, in una sterile disputa quotidiana su qualsiasi argomento di attualità, magari nell’auspicio di mobilitare la società. Il più importante terreno di impegno sul quale misurarsi oggi consiste nel coltivare il presente al di là di ogni ambizione di presenza. Davanti all’incessante flusso di immagini delle devastazioni e degli stermini che invade le nostre case, un’idea di progresso per il prossimo decennio richiede l’impegno per la pace, intesa non solo come obiettivo morale, ma come fondamento di crescita e coesione sociale”. “In un’epoca di verticalizzazione e personalizzazione del potere, in cui torna a dominare la forza e a vincere la politica di potenza delle nazioni, viene da chiedersi a chi spetti il compito di contenerne le tragiche conseguenze, se non all’Europa. Con la sua capacità di stare nel mezzo: non di rappresentare, cioè, la risposta concreta alle grandi sfide epocali (dal cambiamento climatico all’intelligenza artificiale), ma di modellare lentamente gli argini senza i miti delle facili alleanze, delle labili ideologie, dell’omologazione dei comportamenti e delle strutture sociali. Tuttavia, senza una dimensione da grande potenza economica, senza una grande solidità finanziaria, tecnologica o politica, senza una capacità diplomatica coesa e di altissimo livello, dobbiamo prendere atto che per l’Unione europea è impossibile assimilare nel presente le grandi tensioni del mercato globale o il tentativo di dominio dei tecnocrati delle transizioni. Viene quindi da chiedersi se gli anticorpi in reazione ai rischi dell’epoca modellino una diversa autocoscienza della società e preparino un nuovo schema di pace e di sviluppo, o se al contrario ne rimarchino la senescenza, l’invecchiamento non solo demografico ma anche culturale, finanziario, tecnologico”.
“In Italia la cetomedizzazione dal basso non è finita. Al contrario, per molti versi vince ancora. C’è stata e c’è, sa stare nel presente, sa sgarbugliare gli intrecci di uno sviluppo squilibrato, nei territori intermedi come nelle grandi città. È stata e resta una base preziosa di stabilità nelle grandi e piccole crisi, interne e internazionali. Un tessuto certo infragilito, dagli orli sfrangiati e dai rammendi vistosi, dagli investimenti prudenti, segnato dal mancato compimento di molte attese di progressiva accumulazione individuale di ricchezza e troppe volte ripiegato nell’attesa di benefici ereditari. Ora – avverte il Censis – la laguna della cetomedizzazione ha prodotto un nuovo ceto medio che non rinuncia a viaggiare e a consumare, ma lo fa con un biglietto di classe Economy, e di quando in quando si concede l’upgrade di un biglietto Premium”. “Se attraversiamo un’epoca in cui occorre essere realisti, stare sulle sfide del presente, lavorare più sulla staffetta generazionale che non sul conflitto tra generazioni, allora lavorare faccia a faccia con il presente diventa il lato positivo e fertile di un governo ibrido dello sviluppo, senza rimandi astratti alle cose nuove da fare in un futuro prossimo. Ma sarebbe ingeneroso attribuire solo alla decisione politica le responsabilità e i difetti della presenza pubblica nello schema di gioco della promozione e regolazione della crescita economica e sociale. Accanto alla politica vivono meccanismi profondamente radicati nella società, che trova nei suoi processi storici stratificazioni successive delle istanze individuali da interpretare e accompagnare, che integrano nell’azione politica il faccia a faccia con il presente. Saper stare nel presente è tanto il compito della politica, quanto lo è del sociale vivo nel sistema dell’informazione, nella rappresentanza degli interessi di lavoratori e imprese, nel sistema della formazione intermedia e universitaria, negli istituti di ricerca. L’impegno a stare nel presente è un fatto politico – avverte il centro studi – ma l’assunzione di serietà e responsabilità collettiva, che nel presente precede e orienta ogni impegno, è un fatto di tutti e per tutti”.
