Legalità, la lezione di don Ciotti: «legalità come strumento di giustizia»
Un barbone con addosso tre cappotti, un libro e una matita di quelle doppiapunta rossa e blu su una panchina, alla fermata del tram, a Torino, primi anni ’60. Quel barbone che dopo 12 giorni di ostinato mutismo rispose all’insistente ragazzino 17enne, timido e un po’ imbranato che, sceso dal tram, lo tormentava. Voleva sapere. Di quel libro, di quella matita, di quei tre cappotti. Quello stesso barbone che dall’altra parte del viale vedeva i ragazzi perdersi, mescolando alcool e medicinali, ‘la bomba’ che li faceva sballare perchè allora l’eroina non era ancora arrivata a Torino. Quel ragazzino era don Luigi Ciotti e fu proprio l’incontro con quel barbone – «che era un medico stimato e capace al quale la vita aveva riservato una di quelle tempeste che possono arrivare in qualsiasi momento» a indicargli la via, nonostante avesse solo 17 anni. «Và e fa qualcosa per quei ragazzi» – disse il barbone a don Ciotti. «E io capì che quell’incontro non poteva finire così, anche se un giorno quel barbone non era più lì su quella panchina. Oggi io sono qui perchè c’è un noi non perchè c’è un io. Non a caso ho fondato il Gruppo Abele e Libera è un insieme di associazioni, di nomi, di numeri contro le mafie. Mettersi insieme per qualcosa, per costruire, mai contro, mai per demolire». E’ il ‘solito’ don Ciotti appassionato a parlare ai ragazzi e a quanti stamane, ad Aosta, hanno affollato il salone Maria Ida Viglino, nel convegno ‘Educare alla legalità’, organizzato con La Scialuppa CRT onlus.«Scialuppa che oggi mi ricorda altre scialuppe, altri barconi perchè non si può essere condannati a vita nel luogo dove si è nati» – ha detto don Ciotti.Citando più volta le parole di Papa Francesco, ma anche il Vangelo e don Luigi Sturzo, don Ciotti ha esortato i ragazzi alla responsabilità; «nessuno è insostituibile, ma nessuno può agire al nostro posto. Cedere la nostra responsabilità significa rinunciare alla libertà. Ogni giorno, dobbiamo avere il coraggio di avere più coraggio – ha detto – perchè il cambiamento che sogniamo deve cominciare da noi. Il cambiamento ha bisogno del contributo di tutti noi, a partire dalle piccole cose».Come? La ricetta di don Ciotti sembra semplice.«La conoscenza è la via maestra, la conoscenza è la sveglia del cambiamento; oggi il peccato è un sapere di seconda mano mentre abbiamo bisogno di conoscere in profondità, dobbiamo sentire prepotente il bisogno di conoscere e non solo avere una marea di buoni propositi».«Non dobbiamo rassegnarci alla violenza, all’illegalità, alle mafie – ha spiegato – la mafia e la corruzione sono parassiti che inquietano la nostra coscienza così come distruggono le imprese. Dobbiamo far emergere il bene che c’è, sostenere e incoraggiare chi è impegnato per il bene comune».
Prima della legalità – è l’insegnamento di don Ciotti – viene la responsabilità.«Responsabilità è anche custodire uno spazio pubblico a chi vuole rubare risorse alla comunità – ha detto don Ciotti – dobbiamo combattere non solo chi fa il male ma anche chi guarda e lascia fare».Citando Papa Paolo VI ha sottolineato come «solidarietà e giustizia sono indivisibili» e ha anche citato il discorso del Presidente della Corte dei Conti in sede di apertura dell’anno giudiziario, «crisi economica e corruzione procedono di pari passo, in un circolo vizioso di causa-effetto». E l’anno prima – ha spiegato il fondatore del Gruppo Abele, il suo predecessore lanciò un altro allarme; «il Codice Penale non basta più, ci vuole un ritorno all’etica da parte di tutti».Citando l’Enciclica di Papa Francesco, don Ciotti ha detto «no alla fiducia irrazionale nel progresso, bisogna entrare in una fase di maggiore consapevolezza; non basta commuoverci davanti alle tante vicende umane, dobbiamo muoverci».Don Ciotti ha fatto riferimento alla ‘profezia’ di Don Luigi Sturzo, così drammaticamente attuale; «la mafia ha i piedi in Sicilia ma la testa a Roma e risalirà verso il Nord, per arrivare oltre le Alpi»; due mesi prima della strage di Capaci, don Ciotti era a Gorizia con Giovanni Falcone. Si erano dati appuntamento a Palermo, per un incontro che non c’è più stato, ma l’insegnamento del magistrato rimane, «la battaglia alle mafie è una lotta di legalità e civiltà»; «fosse solo l’ordine criminale sarebbero ahinoi bastato il sacrificio di tanti uomini e donne e servitori dello Stato» – ha detto don Ciotti.Non è mancato un riferimento ai 2 milioni e 300 mila giovani che oggi in Italia non studiano né lavorano e ai 4 milioni e mezzo che vivono in povertà; «ci interroghiamo sulle responsabilità di chi governa; ritengo sia un problema di democrazia, democrazia che si fonda su due doni, giustizia e dignità umana, supportata da una ‘terza gamba’ che si chiama responsabilità. Prima di chiedere responsabilità agli altri però, interroghiamo noi stessi – ha esortato don Ciotti – ci sono troppi cittadini a intermittenza». La definizione migliore di legalità, don Ciotti l’ha trovata in un documento dei Vescovi italiani. «Legalità come rispetto e pratica delle leggi, per la promozione e la costruzione del bene comune; legalità come esigenza irrinunciabile della vita sociale».Don Ciotti ha citato anche l’ex ministro Tullio De Mauro, riferendosi agli oltre sei milioni analfabeti in Italia e un preoccupante analfabetismo di ritorno.«La legalità non è solo un valore, ma uno strumento a servizio della giustizia – ha detto don Ciotti – la legalità è la saldatura tra la responsabilità dell’io e la giustizia del noi. La giustizia è il fine ultimo, ma è necessario non confonderla con la legalità. I valori si devono testimoniare, non si parla e basta».Non si educa alla legalità, secondo don Ciotti, ma si deve educare alla responsabilità.«Proprio così, al rispetto delle regole, all’ascolto della nostra coscienza. L’educazione è il primo e più prezioso investimento della comunità che trova nella famiglia e nella scuola i suoi veicoli principali ma che deve permearsi in tutti i contesti. Nella vostra città ad esempio, vi auguro che Aosta sia una città educativa. L’educazione è un progetto corale, è crescita, è un sogno condiviso».La legalità ha anche aspetti negativi; don Ciotti ne ha individuati tre.«La retorica della legalità intanto, nel nostro parola usata come parola sedativo che fa sentire a posto, come in un narcisistico compiacimento; legalità come bandiera che tutti usano.Altro aspetto, la legalità elevata a idolo; molte vicende di malaffare sono avvenute all’ombra della legalità e infine la malattia che ha colpito la parola legalità, l’uso truffaldino del suo significato.Don Ciotti ha concluso il suo intervento parlando di usura, «contro chi usa la debolezza dell’altro, il suo bisogno, chi infierisce su quel bisogno che rompe il fondamento della solidarietà».
Legalità e responsabilità insieme, in un impegno anche evangelico. «Vangelo come strumento di giustizia – ha spiegato don Ciotti – c’è la politica intesa come servizio al bene comune nel Vangelo, così come c’è molto Vangelo nelle parole della Costituzione».«Ma attenzione – ha ammonito il presidente di Libera – c’è chi non vuole il cambiamento, perchè tanti, troppi vivono di mafie, di illegalità e di corruzione. E allora, nella formazione delle coscienze, bisogna gettare un seme di legalità perchè cresca come comodo, inquieto e indispensabile compagno di viaggio».
Nella foto di Paolo Rey, l’intervento appassionato di don Luigi Ciotti; accanto a lui il giornalista e scrittore Carlo Romeo che ha moderato il dibattito.(cinzia timpano)