Azzurri, delusione mondiale
A mente calda, delusione cocente. Credo come per la maggior parte dell’Italia del Pallone, che ha visto svanire troppo presto il sogno mondiale. Dopo aver messo la testa in un secchio di ghiaccio, però, la mia delusione lascia il posto a rabbia e rassegnazione. Sì, perché da amante del bel calcio, dico che quella vista in Brasile è una delle più brutte e irritanti nazionali italiane che mi ricordi. Anche più di quella di quattro anni fa, che ci vide eliminati, ma almeno lottando. In Brasile è stato un fallimento che va al di là dell’eliminazione. E non appelliamoci agli errori dell’artbitro, perché in due partite (Costa Rica e Uruguay) abbiamo fatto si e no due tiri in porta. Non siamo stati all’altezza, punto e basta. Lel dimissioni di Abete e Prandelli – doverose – devono servire a dare una scossa al nostro piccolo mondo. Sì, piccolo, e lo dimostrano i numeri. Da troppi anni, ormai, non siamo più competitivi in campo internazionale con le squadre di club e la stessa nazionale fa fatica anche a battere squadre che fino a qualche tempo fa erano delle semplici sparring partner.
A bocce ferme, troppo facile puntare il fucile contro il commissario tecnico. I suoi errori li avrà commessi senza alcun dubbio, ma sostanzialmente credo abbia fatto quel che ha potuto con un gruppo di giocatori validi per la nostra serie A, ma non competitivi ad alti livelli.
Il problema, a mio modesto parere, è doppio. In Italia ci sono troppi giocatori stranieri, che occupano i ruoli chiave (e non solo nelle squadre di vertice), che di fatto impediscono la crescita tecnica di giocatori italiani. In secondo luogo, ma non certo di minor importanza, il fatto che lo stesso problema – l’abbondanza di stranieri – ce l’abbiamo anche nei settori giovanili. Ho seguito sino a qualche settimana fa il campionato Primavera professionisti, le cui finali si sono tenute a Rimini. Ho visti o squadre in campo con 5-6 stranieri o naturalizzato su 11. Il motivo è uno solo: business: Compro un ragazzo extracomunitario di 16 anni (ma anche molto più giovane) a un prezzo più basso rispetto a un giocatore italiano, lo “lavoro” e poi lo rivendo a una cifra molto più alta. Giuste per le casse delle società, ma poi il risultato è quello che vediamo: squadre italiane che nelle coppe europee fanno addirittura fatica a superare la fase a gironi e nazionale italiana addirittura imbarazzante, piena zeppa di buoni giocatori, ma non di campioni.
Il calcio italiano si deve interrogare, perché il baratro è vicino per tutti. Un bell’esame di coscienza è doveroso. Così come quello di umiltà. Ma non solo dei giocatori (loro hanno fatto quello che potevano, chi per limiti tecnici e chi per caratteriali), bensì di tutto il movimento, partendo dal calcio dilettantistico che dovrebbe impegnare maggiori energie ai settori giovanili, fino a quello professionistico, incapace di fare autocritica.