Violenza sessuale sulla moglie e maltrattamenti al figlio: a processo
In aula un marocchino di 33 anni, detenuto nel carcere di Brissogne, accusato di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia
Storie di gravi maltrattamenti e violenza sessuale in famiglia, con una moglie costretta a presunti rapporti in gravidanza (contro il parere del medico) e minacce e botte al figlio «irrequieto».
Questo il quadro emerso mercoledì dal processo che vede un marocchino di 33 anni accusato di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia. Nella seduta collegiale, tenuta dal presidente Eugenio Gramola e dai giudici Marco Tornatore e Maurizio D’Abrusco (che hanno poi rinviato l’udienza ad aprile per sentire i testimoni della difesa e pronunciare la sentenza).
La testimonianza della moglie
Sono crudi i particolari emersi dall’udienza, nella quale è stata chiamata a testimoniare la moglie dell’imputato. La donna sarebbe stata costretta ai rapporti, perché l’uomo – rinchiuso nel carcere di Brissogne – l’avrebbe minacciata di non spendere più soldi per il cibo. «Diceva che il Corano obbliga la donna ad ascoltare sempre il marito» ha testimoniato la donna, ricostruendo i fatti risalenti al 2017 e parlando di «una decina» di rapporti «non consenzienti», con tanto di «vestiti strappati». «Diceva che se avessi voluto dormire a letto, allora avrei dovuto avere rapporti» ha detto la donna, che a volte optava per «riposare sul divano», prima di trovare «ospitalità dalla mia vicina». La vittima ha anche sottolineato che «mio marito non è praticante, prega una volta l’anno quando c’è il Ramadan».
Le indagini
Le indagini, condotte dal pm Luca Ceccanti, presentano anche un secondo filone, legato a presunti maltrattamenti al figlio della coppia. «Lo picchiava con la cinghia, con il bastone, anche davanti ai vicini, diceva che in Marocco, in moschea, si fa così» ha continuato la donna, raccontando di come il marito guadagnasse «1.700 euro al mese ma portava spesso multe a casa. Mi dava i soldi per pagare bollette e qualcosa per la spesa. Spesso dovevo aggiungerne io. Prima lavoravo al ristorante, ma lui non voleva che fossi a contatto con gli uomini». A far scattare gli accertamenti della polizia, una pesante lite dell’agosto 2017, quando si presentò alla porta un’assistente sociale che «non avrei dovuto far salire perché non aveva un mandato».
La vicina di casa
A testimoniare per l’accusa, anche una vicina di casa, che ricorda come durante la lite «ero talmente spaventata che fece il numero di telefono la bambina, e io parlai con la polizia – ha detto, spiegando anche che – abitavo sotto di loro, spesso litigavano in arabo. Lei a volte dormiva sul divano, mi disse anche che il marito l’aveva spinta fino a farla cadere dal letto». La vicina ha ricordato anche i presunti maltrattamenti al figlio: «Lo trattava malissimo, una volta gli diede il bastone della scopa sulle spalle, ho assistito io stessa. Gli dissi: “Te lo faccio portare via, non farlo mai più”. Lui rispose: “Vai dove vuoi, delle leggi italiane me ne frego”».
L’imputato
In aula ha parlato anche l’imputato: «Lavoravo 16 ore al giorno, non potevo maltrattarla (la moglie ndr.). L’unico problema con mia moglie erano i soldi. Ma io le davo 500 euro per la spesa e 250 per comprarsi le sue cose».ù
(re.newsvda.it)