Forte di Bard: tutto esaurito per Quirico e Pellizzari
Sala gremita questo pomeriggio al Forte di Bard per l'incontro con i giornalisti Domenico Quirico e Valerio Pellizzari
Tutto esaurito questo pomeriggio al Forte di Bard per l’incontro con i giornalisti Domenico Quirico e Valerio Pellizzari.
Sala gremita domenica 17 novembre, per l’incontro “La Guerra di ieri e di oggi” con i due protagonisti del giornalismo italiano.
Partendo dai loro ultimi libri pubblicati, “Che cos’è la guerra. Il racconto di chi l’ha vissuta in prima persona”, di Quirico e “ In battaglia, quando l’uva è matura. Quarant’anni di Afghanistan” di Pellizzari, le due personalità hanno raccontato, talvolta con parole crude ma realistiche, talvolta ricordando alcuni episodi significativi, la loro esperienza di “testimoni” dei conflitti degli ultimi decenni in Africa e Medio Oriente, ma anche nell’Est europeo, nel Maghreb e in Asia.
La testimonianza
«Penso che la parola “guerra” sia estremamente difficile da maneggiare, oggi non si dichiara più e nessuno è più in grado di dire chi vince – ha spiegato Pellizzari -. La prima volta che conobbi da vicino persone che vivono in guerra fu in Bosnia e fui molto colpito da un bambino. Viveva a Sarajevo con la mamma vicino a quel che rimaneva della biblioteca nazionale, il padre fu ucciso da un cecchino mentre leggeva un libro sulla poltrona di casa. Il bimbo giocava “alle trincee” con dei sacchettini pieni di sabbia che la madre gli cuciva. Mi sorprese come la guerra mutò antropologicamente la vita dei bambini, di tutti. Una cosa simile mi accadde anche a Kabul, in Afghanistan – ha proseguito Pellizzari. – Uscendo dalla città c’erano due ragazzini da un lato e dall’altro della strada, con uno spago che la attraversava: giocavano al “posto di blocco” e con un barattolo riscuotevano il “pedaggio”».
Cos’è, dunque, la guerra?
«Qualcuno la fa in senso tradizionale, con l’obiettivo di uccidere il nemico e raccogliere chi è rimasto – ha asserito Quirico -, ma in Occidente nessuno la vuole più fare e, se proprio deve, cerca di farla in modo da non avere morti “suoi”, perché i morti “altri” più sono meglio è. Questo rende la guerra sostenibile per la classe politica e dirigente, non dando un’immagine tremenda di essa con tanto di sacca nera contenente i caduti. A differenza della Prima Guerra mondiale, che fu la prima guerra industriale, dove chi aveva chi più proiettili vinceva, oggi ci sono armi tecnologiche sofisticate come il drone, che ha cambiato il modo di combattere: il nemico non lo si vede mai in faccia. Ma la Storia insegna che le guerre non si vincono con la tecnologia, e quella del Vietnam, combattuta con elicotteri e napalm, ne è l’esempio lampante. Anche il senso di “morte” è diverso a seconda dei soggetti – ha proseguito Quirico -, la lotta contro i jihadisti, ad esempio, è molto complicata per questo: loro sono disposti a morire per costituire un paradiso terrestre».
«La guerra combattuta dagli occidentali oggi impedisce ai protagonisti di sentire l’odore del cherosene e del sangue, di una persona ferita – ha rincarato Pellizzari -. Vedono un corteo e vedono in esso un gruppo di nemici in fuga, quindi ci sparano sopra, mentre magari erano solo civili che andavano a matrimonio. Questi congegni “remoti” fanno perdere il senso della realtà. In più interviene la propaganda, fatta da notizie false. Ma si sa che “in guerra la prima vittima è la verità”».
Il corrispondente di guerra
Indubbiamente essere corrispondente di guerra oggi è molto differente rispetto al passato, i mezzi di comunicazione sono cambiati e, spesso, i social media anticipano le testate ufficiali nella diffusione degli avvenimenti.
«I freelance sono gli unici che, in questi anni, vanno davvero sul posto, forse spinti dalla “necessità”, e tentano onestamente di descrivere il genere umano, a volte anche perdendo la vita – ha asserito Quirico -. Indira Gandhi, quando era primo ministro, disse che “prima o poi la violenza arriva sempre tra gli uomini, come il Monsone: un anno è più debole, un anno è più forte” – ha aggiunto Pellizzari -, e ci sono cose che vogliono capirle davvero, informandosi e cercando di descriverle obiettivamente. Purtroppo in alcune situazioni l’errore è inevitabile. Una volta, fuori da Kabul, in mezzo alla neve, vidi un uomo concordare lo sparo di alcuni colpi di cannone per “far credere che anche fuori città si combattesse”. Anche i filmati che vediamo della guerra in Libia si vede chiaramente che sono finti, tutti girati a favore di telecamera. Tutto questo incide pesantemente nella narrazione dei fatti».
«La guerra di oggi è molto pericolosa, perché farla in onore della “democrazia” e della “sicurezza” giustifica tutto, così come la lotta al “terrorismo”, che concede di sorpassare anche le leggi – ha affermato Quirico, aggiungendo che – non esiste una coscienza collettiva in Occidente che delimiti le regole all’interno dei conflitti. E’ un Mondo contorto e contraddittorio, in cui non si riesce più a dire di chi è responsabilità e dove si cercano sempre scappatoie ridicole».
(nadine blanc)