Lutto: è morto Liberato Salvati, decano degli Alpini valdostani
E' deceduto nella casa di riposo Père Laurent all'età di 99 anni
Il decano degli Alpini valdostani, Liberato Salvati, 99 anni, ha fatto zaino a terra. E’ morto nella struttura per anziani Père Laurent di Aosta.
Pochi giorni fa era stato sottoposto al tampone ed era risultato positivo asintomatico. Era il più anziano tra i soci del Gruppo Aosta e la sua figura era diventata, da anni, una presenza preziosa in sede dove, sino a pochi mesi fa, si recava ogni giorno, guidando la sua autovettura, per bere un caffè – sempre senza zucchero – e per leggere il giornale – sempre senza occhiali. Era orgoglioso delle sue decorazioni e delle sue medaglie e di recente aveva contribuito personalmente alla realizzazione di un monumento ai Caduti nel suo paese natale, sostenendo le spese della sua costruzione.
«Sono stato il suo Capo Gruppo e questa morte così brutale ci rattrista molto e ci impedisce di poterne onorare la Memoria come avrebbe meritato. Una grande tristezza per la Sezione valdostana che in questo momento drammatico sta piangendo per la morte di tante gloriose Penne Nere. Onore alla loro Memoria». Lo ricorda così Carlo Gobbo.
La storia
Nato a Cassano Caudino ( Avellino ) il 19 febbraio 1921 , è stato congedato con il grado di Sergente Maggiore Alpino, 41°ma Compagnia Battaglione Aosta , Divisione Taurinense, Maresciallo Maggiore e Artificiere Capo di carriera.
Il primo aprile del 1940 lascia la sua terra e viene in Valle d’Aosta per partecipare al Corso allievi sottufficiali della Scuola Militare Alpina. Ai primi di giugno , aggregato al battaglione Val Baltea , viene destinato alle operazioni di guerra ai 2.500 metri del Col de la Seigne e nel gennaio del 1942 viene destinato in Montenegro dove gli viene affidato il comando di una squadra esploratori. Di quegli anni di guerra sulle colline di Càttaro (cittadina del Montenegro ).
I racconti di guerra
Raccontava così l’esperienza. «Quando andavamo a requisire il pane e le patate nei villaggi, provavamo una strana sensazione, mista di diritto, di rabbia , di vendetta e di vergogna. Non si può raccontare tutto quello che succede in guerra, solo chi l’ha vissuta potrebbe capirci».
Alla fine del conflitto inizia il calvario per il rientro in Patria, viaggi interminabili sui treni. «Il treno dove ero salito con i miei uomini aveva un centinaio di vagoni, con tre locomotori a legna, uno in testa , uno in coda ed uno a metà convoglio. Un giorno si fermò per fare legna da ardere ma noi non avevamo più niente da mangiare e così rapinammo i campi di patate, di grano turco, i magazzini delle fattorie, pollai, orti. Nei vagoni facevamo fuoco e cucinavamo le nostre razzie.
Il ritorno
Arrivati a Zagabria ci fermarono e un ufficiale ci disse ”Sappiamo che avete fame, però adesso chi paga i danni che avete arrecato ai campi di patate, di grano, alle fattorie.? Qualcuno gridò: ”pagano le nostre autorità italiane”. L’ufficiale replicò: «In Italia non c’è più nessuna autorità» Io cercavo di calmare gli animi. All’alba, dopo alcuni giorni, arrivò di nuovo l’ufficiale con altri otto e ci disse: ”Vi lasciamo partire perchè il Presidente degli Stati Uniti , Truman, ha detto che i vostri danni li paga lui”.
La notte stessa arrivammo a Trieste Eravamo ridotti come dei barboni, sfiniti, esausti. Io sono tornato a Cassano Caudino , erano due anni che non sapevo niente della mia famiglia e di cosa fosse successo in Italia. A duecento metri da casa ho incontrato un ragazzino. ‘Ciao giovanotto, conosci la famiglia Salvati? ”Sì i Salvati li conosco, abitano là in fondo”.
Puoi andare ad avvisarli che il figlio è qui, sta tornando dalla guerra». La prima persona che mi venne incontro è stata la mia mamma Angela.