Processo Geenna, i difensori di Prettico: «Un Locale? Non esistono prove»
L'avvocato Nilo Rebecchi ha evidenziato: «Gli elementi costitutivi del reato non sono provati. In qualche passaggio e in qualche intercettazione c’è un “qualcosa”, ma anche se uniamo questi “qualcosa” non esiste prova sull’esistenza della contestata associazione»
Non vi sono prove a sostegno della tesi accusatoria secondo cui, ad Aosta, era presente un Locale di ‘ndrangheta. E’ quanto sostenuto dall’avvocato Nilo Rebecchi (difensore del consigliere comunale sospeso Nicola Prettico, imputato per associazione mafiosa) nel corso della sua arringa pronunciata venerdì 11 settembre nell’ambito del processo Geenna.
Non solo: per il legale «gli elementi costitutivi del reato non sono provati. In qualche passaggio e in qualche intercettazione c’è un “qualcosa”, ma anche se uniamo questi “qualcosa” non esiste prova sull’esistenza della contestata associazione. Nell’annotazione finale della polizia giudiziaria si parte da una tesi preconcetta».
Dopo aver evidenziato come gli inquirenti abbiano sottolineato più volte vecchie indagini (come Lenzuolo) sulla presenza della mafia calabrese in Valle, Rebecchi ha aggiunto: «Qui non stiamo parlando della presenza della ‘ndrangheta in Valle, ma stiamo accertando se gli imputati odierni formavano un Locale. Ma mancano gli elementi costitutivi del reato contestato. Vi sono spunti investigativi, ma quale risultato hanno fornito per questo processo?». Secondo il difensore, «nessun testimone ha detto avere avuto la percezione dell’esistenza di un’associazione criminale. Hanno negato di essere stati vittime di intimidazioni e il conseguente assoggettamento. Tutti i testi hanno cercato di far capire che non si sono mai realizzate le ipotesi ventilate dall’accusa».
Il legale ha anche messo in evidenza l’insussistenza di un vincolo associativo tra i presunti sodali. «Guardiamo i rapporti tra gli imputati: Prettico e Roberto Alex Di Donato (condannato per 416 bis in abbreviato ndr) non si parlavano. Prettico poi conosce Raso (imputato ad Aosta ndr) tramite Di Donato. Ma poi litigano e non si parlano più». Il consigliere comunale sospeso, poi, «non aveva nessun rapporto con Francesco Mammoliti (condannato a Torino ndr) e con Bruno Nirta», il presunto boss condannato dal gup in abbreviato.
Secondo Rebecchi, «Prettico in questo processo ci entra in conseguenza delle chiacchierate che faceva con Marco Di Donato e per l’intercettazione in cui si parla del “taglio della coda”. Ma di tutte queste chiacchierate tra Marco Di Donato e Prettico non risulta prova di nessun fatto compiuto. In questo processo, oltre a quello che c’è, è importante anche quello che non c’è e ci dovrebbe essere». Gli imputati «erano controllati in maniera capillare» dagli inquirenti, «ma nulla è stato accertato. Abbiamo solo tante chiacchierate che possono anche essere equivoche, ma a cui non è seguito nulla. Questo è il pericolo di fare un processo basato solo sulle intercettazioni».
La DDA di Torino, poi, descrive Prettico come una sorta di “infiltrato” del Locale all’interno del Consiglio comunale di Aosta. Ma così non è per Rebecchi, il quale ha affermato in aula: «Prettico ha sempre avuto ambizioni politiche». Dopo un’esperienza giovanile tra i socialisti, infatti, Prettico aveva abbracciato la fede unionista. Nel 2010, quando non sarebbe stato sostenuto dal Locale, «alle comunali prende 58 voti in meno rispetto a quelli ottenuti nel 2015»; momento in cui secondo l’accusa avrebbe incassato il sostegno elettorale della consorteria criminale. «Questo grazie al poderoso impegno del Locale di Aosta che lo ha aiutato – si è chiesto Rebecchi -? O è un gruppo di persone che dice più cose rispetto a quelle che fa, o in realtà non lo hanno appoggiato». In aggiunta, ha proseguito l’avvocato, «da questo processo viene fuori che Prettico non è un uomo che rappresenta degli interessi esterni al mondo politico. Viene descritto da tutti come uomo di Rollandin». E il sindaco di Aosta Fulvio Centoz, sentito come teste, «ci dice che Prettico si è sempre comportato fedelmente alle direttive del suo partito, nessun colpo di testa».
Il legale ha anche sostenuto che «la procura di Torino non ha il polso, o meglio il polso ce l’ha sulla base» di quanto ricostruito «dai Carabinieri di Aosta. Ma in realtà nessuno ha mai detto di avere la percezione di un Locale di ‘ndrangheta ad Aosta, in particolare per quanto riguarda Raso». Al massimo, sul tema delle elezioni «siamo in presenza di un certo malcostume, assecondato anche da esponenti politici, ma non di un’associazione di stampo mafioso. Raso a qualcuno diceva di votare un certo candidato, ma c’era chi diceva no. E non c’è stata nessuna pressione o minaccia per farli cambiare idea».
(f.d.)