Chiesa: il neo sacerdote don Alessandro: «il Signore non ci lascia mai soli»
Don Alessandro Valerioti della parrocchia di san Cassiano a La Salle è stato ordinato sacerdote lunedì 7 settembre: dagli studi all'Ipra di Châtillon, a cinque anni di lavoro come cuoco fino al seminario.
Don Alessandro Valerioti, classe 1989, ordinato sacerdote lunedì 7 settembre in Cattedrale, ad Aosta, ha celebrato la sua prima messa domenica 13 settembre nella parrocchia di San Cassiano, a La Salle. La ‘sua’ parrocchia, che l’ha visto crescere e che l’ha accompagnato e fortificato nella sua vocazione.
«La prima messa è stata una festa ben vissuta e semplice» – ha commentato don Alessandro che è tornato alla parrocchia di Châtillon, Pontey, Emarèse e Saint-Germain dove lo scorso dicembre aveva iniziato il suo tirocinio pastorale.
Ecco l’intervista a don Alessandro, comparsa su Gazzetta Matin che ripercorre un po’ della sua vita privata e del suo percorso nella Chiesa, ma che si sofferma anche sull’attualità: dai nuovi social agli imminenti appuntamenti elettorali.
Gli studi all’Ipra di Châtillon
L’idea, probabilmente, era quella di un futuro tra i fornelli.
Mamma e papà titolari di un noto ristorante-pizzeria nella Valdigne, studi all’Ipra di Châtillon, indirizzo cucina, cinque anni di esperienza come cuoco e aiuto cuoco nelle cucine di alcuni ristoranti.
Insomma, le premesse c’erano tutte.
«Ma non avevo fatto i conti con la chiamata del capo-partita, nostro Signore Gesù – dice scherzosamente don Alessandro Valerioti.
Figlio di Gianna e Salvatore – fiere origini calabresi – fratello di Mauro e Angela, don Alessandro è cresciuto a La Salle.
«I miei genitori sono stati residenti per un periodo a Courmayeur, poi si sono trasferiti a La Salle e sono da tanti anni titolari del ristorante pizzeria La Macina. Io sono nato e cresciuto nella parrocchia di San Cassiano».
Don Alessandro si iscrive all’Ipra di Châtillon, sceglie l’indirizzo cucina e per cinque anni lavora come aiuto cuoco e cuoco.
La decisione di entrare in seminario
Nel 2013 la decisione di entrare in Seminario, 6 anni di studi conclusi il 16 ottobre 2019; quattro giorni più tardi, don Alessandro viene ordinato diacono.
Il suo tirocinio pastorale lo porta, dallo scorso 8 dicembre, alla parrocchia di San Pietro, a Châtillon ma anche a Pontey, Emarèse e Saint-Germain.
Negli anni del Seminario, don Alessandro lavora per due anni alla parrocchia e oratorio di La Salle, per due anni alla Cattedrale di Aosta, per un anno – per la Pastorale della Salute, all’ospedale Beauregard e l’ultimo anno in Cattedrale.
«Anni di formazione importanti che non rispondono a un bisogno della Chiesa, ma che sono un’esperienza, un’occasione per conoscere le comunità, il territorio, quasi una palestra di allenamento e di conoscenza».
La vocazione
«Ho sempre frequentato la parrocchia, l’oratorio, sono stato animatore e formatore degli animatori – spiega – l’oratorio non è soltanto un luogo dove giocare e incontrarsi, è una grande occasione per conoscere Gesù e la Chiesa.
L’oratorio, la Giornata Mondiale della Gioventù, l’Estate Ragazzi hanno fatto scoccare la scintilla, l’idea è maturata intorno ai 21 anni.
Ho avvertito la necessità di essere accompagnato, ne ho parlato prima di tutti con don Silvio Perrin, il nostro highlander (il parroco di La Salle, 67 anni di sacerdozio, tornato in parrocchia, lo scorso maggio, dopo la malattia e un mese di ricovero, ndr), con alcuni seminaristi e infine ne ho parlato con il Vescovo.
Sono entrato in Seminario per ‘verificare’, un po’ come un anno sabbatico, per scoprire, per capire se quella fosse la strada giusta. E con gioia, ho scoperto che lo era».
Non c’è mai stato un momento di buio, un momento in cui si è sentito solo?
Lei ha trascorso l’ultimo anno e mezzo in Seminario da solo.
«All’inizio dei miei studi in Seminario eravamo in 3, poi siamo arrivati a 6, l’ultimo anno e mezzo l’ho trascorso da solo ma io non mi sono mai sentito abbandonato dalla Chiesa.
Certo, qualche volta mi sono sentito una mosca bianca, mi sono interrogato, ma la vicinanza di tanti non è mai mancata e mi ha dato forza.
Io li chiamo i miei ‘sponsor spirituali’, chi ha detto una preghiera per me, chi ha lasciato in Seminario una torta, un cartoncino di incoraggiamento, tante persone che ho incontrato e che mi hanno accompagnato nella preghiera.
Anche tante amicizie, instaurate e maturate nel tempo, sulle quali forse non avrei scommesso.
Quanto al Seminario, è l’edificio a rimanere vuoto.
Il Seminario è una comunità che spiritualmente è presente, che si interroga e che prega perchè ci siano le vocazioni. E’ vero le vocazioni sono in calo, anche in Valle avremmo bisogno di qualche sacerdote in più, il clero diventa anziano.
Ma sono sicuro che il Signore non ci lascerà mai da soli».
Don Alessandro, lei ha lavorato e lavora a contatto con i giovani. Il giudizio sui giovani troppo social e poco empatici è a volte spietato.
«Dico che si tratta di un giudizio frettoloso. E’ una storia che si ripete, tutte le generazioni si sentono dire che sono ‘meno’ di quella precedente.
Devo dire che alcune realtà giovanili, ad esempio durante i mesi del confinamento si sono eclissate, altre, per esempio l’oratorio di Pontey, è germogliato in modo rigoglioso.
L’oratorio non è soltanto un edificio e nei mesi più duri dell’emergenza è stato in grado di utilizzare le tecnologie per la preghiera, il gioco, la formazione.
Non sono soltanto i giovani a non andare bene, è il mondo in cui viviamo ad avere fortemente bisogno di qualche correzione. Quando ai social è importante capire che non è quella passata sulla piattaforma la vita reale.
Ma devo ammettere che chat, google meet e altre applicazioni, durante il lockdown hanno fatto la differenza.
Io e don Andrea (don Andrea Marcoz, parroco di Châtillon, ndr) ad esempio ci siamo interrogati in tempi di Covid e con le chiese chiuse su come comportarci.
E così abbiamo pensato a dei video a commento del Vangelo, così come ci siamo ritrovati nel Rosario con Google Meet a maggio insieme a Saint-Vincent e abbiamo pensato a una versione audio-video della Via Crucis, montando un video con i bozzetti dello Zerbion.
Che dire poi della messa del giorno di Pasqua di Monsignor Lovignana?
Lo hanno ascoltato 26 mila persone… normalmente in un’affollata Cattedrale ci sono 7/800 fedeli…»
La politica vive giorni convulsi, ci avviciniamo a importanti appuntamenti elettorali. Cosa chiede ai futuri eletti?
«Chiedo che prima e sopra a ogni cosa, i nuovi eletti abbiamo ben chiara l’idea del bene comune.
Non abbiano in mente le poltrone o se stessi ma tengano bene a mente di essere stati scelti per aiutare le persone e per lavorare per il bene della comunità.
Chiedo agli eletti che non dimentichino i più fragili. Che non continuino a fare campagna elettorale, ma si impegnino sui temi caldi quali il sostegno alle famiglie, il turismo, i trasporti. Tutto questo al di là del credo religioso, ma davvero per il bene della comunità valdostana».
Dopo l’Ordinazione, dove proseguirà la strada di don Alessandro?
«Non lo so. Aspetto le indicazioni dei Monsignor Lovignana, credo mi farà una sorpresa il giorno dell’Ordinazione.
Ho iniziato un progetto di vita fraterna con don Andrea, certo non mi dispiacerebbe rimanere qui. Non si tratta di un cammino di prosecuzione del Seminario, ma di un cammino tutto nuovo. La saggezza della Chiesa è anche questo, la mia destinazione non sarà un caso».
Che messaggio vorrebbe lanciare alla comunità valdostana?
«Chiederei di ricordarsi della nostra identità. Essere cristiani in un mondo che cambia così velocemente non è semplice.
Ci identifica la carità che non è retorica, ma Vangelo.
L’aiuto non è soltanto una busta con dei soldi. Essere cristiani è vivere con amore, empatia e solidarietà.
Talvolta non serve un aiuto economico, servono un messaggio o parole di conforto».
Nella foto in alto, don Alessandro durante la festa organizzata per la sua ordinazione.
(cinzia timpano)