Coronavirus, Emanuele Giometto, infermiere a Oxford: «Vacciniamoci»
Classe 1991, il giovane di Quart lavora all’ospedale John Radcliffe di Oxford
Coronavirus, Emanuele Giometto, infermiere a Oxoford: «Vacciniamoci». Emanuele Giometto è un giovane infermiere di Quart, classe 1991. Dal 2015 lavora all’ospedale John Radcliffe di Oxford, cittadina della contea dell’Oxfordshire, a un centinaio di chilometri da Londra.
Dopo due anni in Chirurgia d’urgenza e altri quattro anni in Pronto Soccorso, da un paio di mesi Emanuele è infermiere nel reparto di Rianimazione dell’ospedale principale del John Radcliffe, azienda ospedaliera che conta altre tre strutture, un ospedale ortopedico, uno oncologico e un terzo più lontano.
La testimonianza
L’appello del giovane quartin. «Credo che dovremmo fidarci un po’ di più della Medicina e della Scienza. Non penso che vaccinarsi sia difficile. Difficile è rinunciare alla propria libertà di movimento, agli amici, alla famiglia, allo sport. Voglio riprendere le parole di Papa Francesco che ha invitato a prendere questo tempo inaspettato che tanti si ritrovano, come un tempo di riflessione. Non usiamo questo tempo soltanto per esternare malcontento, per lamentarci di tutto e tutti. Usiamolo bene, per vaccinarci intanto e per immaginare il nostro futuro, ciò che verrà dopo».
«In Inghilterra la situazione è difficile, anche a Oxford il contagio cresce, i numeri sono molto più alti di marzo-aprile. L’azienda ospedaliera nella quale lavoro dispone di quattro reparti di rianimazione, tre sono nell’ospedale dove lavoro e di queste due sono raddoppiate e riservate ai pazienti Covid. La sanità qui ha un’organizzazione molto efficiente, ma la gestione di un numero così elevato di pazienti mette a dura prova sia il sistema che il personale sanitario».
Non tutti rispettano le regole
Punta il dito contro «un certo lassismo». Dice: «Non tutti rispettano le regole. Tanti se ne fregano, fanno assembramenti per strada o nelle case, hanno festeggiato il Capodanno senza le necessarie cautele. A volte, tenere alte le proprie motivazioni è difficile; infermieri e sanitari sono passati da eroi a disturbatori, quasi fossero gli antagonisti di questa emergenza sanitaria».
Lo stesso è accaduto in Italia. Come se a un certo punto, il virus si sia fatto ancora più invisibile e se possibile meno percepito, nonostante il rischio di nuove ondate sia stato ampiamente previsto.«A marzo, durante il primo confinamento, forse, il panico l’ha fatta da padrone. Le immagini impattanti delle piazze vuote, del lugubre e continuo suono delle sirene hanno colto nel segno; la comunità mondiale ha capito la straordinarietà e il dramma globale. Poi, forse, con il passare del tempo, le persone non hanno più ‘visto’ la morte e tanti, troppi, hanno pensato e pensano che sia un fatto che non li riguarda. Se a marzo e aprile la gente era spaventata, adesso si è fatto strada il menefreghismo –pericoloso perchè espone altri al rischio di contagio – purtroppo unito a sacche di negazionisti».
La quotidianità
Com’è la vita di un infermiere ai tempi del Covid? «In generale, la vita di un infermiere è atipica, scandita dai turni. Lavoro su turni lunghi e quando torno a casa, mangio e vado a dormire. Nei giorni liberi, un po’ di riposo, la spesa, una passeggiata, le piccole cose normale di tutti i giorni. Non possiamo certo lavorare in smart working, ci rimbocchiamole maniche. I turni sono lunghi e impegnativi. La condizione del confinamento, eccetto l’impossibilità a tornare a casa, in Valle, non ha cambiato di molto la mia routine».
La vita in ospedale
«Noto però che i professionisti del settore sanitario sono molto stanchi, sono provati da una condizione di stress senza precedenti. L’emergenza sanitaria purtroppo ha molte facce. Quella dei malati certo, dei tanti che non ce la fanno, ma ha anche la faccia dei divorzi, delle liti in famiglia, dei tanti accessi in Pronto Soccorso per overdose, per atti di autolesionismo. La gestione psicologica è complessa; tanti non sono più in grado di sopportare o di avere una visione del futuro, a qualsiasi età. E’ uno dei danni collaterali della pandemia».
L’appello
«Vaccinatevi». «Ecco perchè abbiamo uno strumento straordinario al quale non dobbiamo rinunciare: il vaccino. A oggi, l’unica arma che ci permetterà – spero a breve – di risalire la china e uscire da quest’incubo. Non esiste cura, possiamo soltanto prevenire la malattia vaccinandoci. Prevenirla, tutti, per riprenderci la nostra vita, la nostra libertà». Emanuele ha ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca venerdì pomeriggio.
«Io sono un grande amante dei viaggi, naturalmente accantonati nell’ultimo anno. Ecco, io continuo a programmare, a pensare ai Paesi che voglio visitare, devo credere che si possa tornare a viaggiare in sicurezza, non si può vedere tutto nero – commenta il giovane infermiere -. Non sarà immediato, ma il virus sarà un ricordo e io, e spero tanti altri, vorremmo che questo tempo di scelte e di libertà torni prima possibile».
La diffidenza
Tanti non si fidano del vaccino…
«A me hanno insegnato che per spiegare una cosa importante,devi spiegarla come se stessi parlando a un bambino. Non c’è presunzione in ciò che dico. Dico solo che tante malattie sono state debellate grazie ai vaccini, che essi rappresentano la vittoria dell’umanità sulla malattia. Davvero, non capisco quale sia la differenza sapere o meno cosa contiene. Sono sieri studiati e con una seria sperimentazione. Ci interroghiamo forse sul contenuto di un anti dolorifico? O della classica aspirina? Ecco, dico solo che se il mio vaccino da solo non può fare la differenza, insieme a tutti gli altri la fa eccome. Abbiamo a disposizione una conquista della scienza senza precedenti».
(cinzia timpano)