Inchiesta Longarini: Cuomo chiuse i rapporti con Nirta per una mancata fornitura di olio d’oliva
Per la Corte d'Appello di Milano, l'ex pm Pasquale Longarini non avvisò l'imprenditore delle intercettazioni in corso a suo carico
Inchiesta Longarini: Cuomo chiuse i rapporti con Nirta per una mancata fornitura di olio d’oliva.
Gerardo Cuomo era sottoposto a intercettazioni, ma non è mai stato indagato nell’ambito dell’inchiesta Geenna su presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta. E l’imprenditore non aveva cessato i suoi rapporti con Giuseppe Nirta (indagato in Geenna ma ucciso in Spagna) perché il pm Pasquale Longarini lo avvisò di essere monitorato dai Carabinieri, bensì perché Nirta «non dava garanzie di serietà e affidabilità». E’ quanto emerge dalle 45 pagine con cui la Corte d’Appello di Milano ha motivato l’assoluzione pronunciata a novembre nei confronti dell’ex procuratore facente funzioni di Aosta Longarini e degli imprenditori Cuomo e Sergio Barathier. Erano tutti accusati di induzione indebita. Non solo: Longarini era anche accusato di rivelazione del segreto d’ufficio e di favoreggiamento per avere, secondo l’accusa, «aiutato Cuomo a eludere le investigazioni condotte dalla DDA di Torino rivelandogli il fatto di essere questi sottoposto a intercettazioni». Dalle indagini è emerso che, in ragione del ruolo rivestito presso la Procura della Repubblica di Aosta, Longarini era stato informato dell’attività in essere nei confronti di Cuomo dai Carabinieri.
Nessuna rivelazione del segreto d’ufficio
Nella sentenza, la Corte d’Appello evidenzia come «può essere sottoposta a intercettazioni anche una persona terza rispetto alle indagini» e, proprio in questo senso, la Procura «non ha tenuto conto che sin dal luglio 2016 il titolare dell’inchiesta della DDA torinese, nella comunicazione riservata al procuratore di Torino, non si limitava a precisare che Cuomo non era mai stati iscritto nel registro degli indagati, ma riferiva anche il motivo per il quale era stato sottoposto a intercettazione». E cioè «per comprendere le ragioni degli incontri e dei contatti che Nirta aveva con lui». Non solo. In una successiva comunicazione del pm antimafia al proprio superiore si leggeva che «allo stato, da questo filone di indagine non sono emersi elementi significativi in quanto Cuomo, come riferitomi dalla Polizia giudiziaria, interrompeva i contatti con Nirta».
Una prova dell’efficacia della condotta favoreggiatrice di Longarini per l’accusa. Ma i giudici non la vedono così e precisano nella sentenza che quanto scritto dalla DDA «deve trovare una interpretazione del tutto diversa, e cioè che l’interruzione dei rapporti fra Cuomo e Nirta aveva impedito di raccogliere elementi nei confronti dell’indagato, che era Nirta».
Gerardo Cuomo
Tant’è che il 26 gennaio 2016, l’imprenditore era stato sentito dalla pg a sommarie informazioni e aveva spiegato di aver interrotto i rapporti commerciali con Nirta in quanto si era accorto che quest’ultimo «non dava garanzie di serietà e affidabilità». Sul punto, la Corte d’Appello evidenzia che «il giudice di primo grado (che aveva assolto i tre imputati ndr)» aveva «ricordato che nell’ultima conversazione telefonica fra Nirta e Cuomo, avvenuta il 19 marzo 2015, Cuomo» si era «lamentato di non avere ricevuto la consegna dei prodotti alimentari che attendeva dall’interlocutore».
Il verbale di Cuomo
Sentito dagli inquirenti nel 2016, Cuomo spiegò che era stato Antonio Raso, il ristoratore aostano condannato in primo grado per ‘ndrangheta in Geenna l’anno scorso, a presentargli Giuseppe Nirta nel 2014. «Raso mi disse che Nirta aveva avuto problemi giudiziari e che aveva intenzione di instaurare rapporti commerciali per la fornitura di derrate alimentari dalla Spagna, al fine di intraprendere un’attività lavorativa lecita e quindi iniziare un nuovo stile di vita», riferì l’imprenditore ai Carabinieri.
Poi aggiunse: «In quel periodo ero interessato al commercio di olio d’oliva e quindi la proposta mi poteva interessare. Ho incontrato per la prima volta Nirta nel mio magazzino accompagnato da Raso. Nirta affermava di avere molti contatti in Spagna per poter fornire derrate alimentari a prezzi vantaggiosi». Successivamente, poi, «Nirta telefonicamente mi presentò un tale Paul, il quale avrebbe dovuto seguire la fornitura di prodotti alimentati». E, «al fine di rendermi conto della validità della merce che mi veniva offerta, chiedevo a Paul di inviarmi una fornitura a titolo di campionario» da circa 7 mila euro. tuttavia, «ricevetti la metà del valore della merce concordata».
Cuomo precisò anche: «Penso che Paul fosse un socio di affari con Nirta». Ai solleciti dell’imprenditore valdostano, «Nirta giustificava la mancata fornitura con varie scuse, arrivando addirittura a proporre il rimborso di tasca sua».
Pasquale Longarini (in primo piano)
La sentenza
Sempre nelle motivazioni, i giudici lombardi sottolineano come «la presente decisione (cioè l’assoluzione ndr)» non è stata assunta con riferimento alle tesi della difesa, «ma neppure prendendo a base i rilievi degli operanti, la credibilità dei quali è alquanto scarsa: basterà qui ricordare che il presente processo è stato originato da quanto è stato riferito, contrariamente al vero» da un ufficiale dei Carabinieri di Aosta (oggi non più in servizio in Valle) a un magistrato della DDA di Torino «e cioè che Longarini aveva chiamato personalmente Barathier invitandolo a scegliere come fornitore del suo hotel Cuomo, per poi precisare che Barathier era indagato da Longarini».
Proprio da questo aspetto era nata l’accusa di induzione indebita in quanto, per la Procura, Longarini avrebbe indotto Sergio Barathier a dare e promettere indebitamente utilità in favore di Cuomo. Un accusa che, come già avvenuto in primo grado, è stata respinta dai giudici.
Mentre Longarini era difeso dagli avvocati Claudio Soro e Anna Chiusano, Cuomo e Barathier erano difesi rispettivamente da Maria Rita Bagalà e Gilberto Lozzi e da Jacques Fosson e Fulvio Simoni.
(f.d.)