Appello Geenna, per la Corte «Carcea era a disposizione del Locale»
Monica Carcea
CRONACA
di Federico Donato  
il 19/10/2021

Appello Geenna, per la Corte «Carcea era a disposizione del Locale»

Per i giudici è provata la «funzionalizzazione dell’attività politico-istituzionale alle esigenze di conservazione e incremento del prestigio del gruppo»

Una volta eletta a Saint-Pierre e nominata assessora, Monica Carcea si è progressivamente messa a disposizione «prima di Marco Di Donato (condannato per 416 bis in abbreviato ndr) e poi del gruppo da questi capitanato», arrivando anche a rivelare «notizie riservate apprese in Comune». E’ quanto scrivono i giudici della Corte d’appello di Torino nelle motivazioni della sentenza Geenna, sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta.

Carcea è stata condannata in secondo grado a 7 anni per concorso esterno; condannati con lei, ma per associazione mafiosa, il ristoratore Antonio Raso, l’ex consigliere di Aosta Nicola Prettico e il dipendente del Casinò Alessandro Giachino. Assolto con formula piena, invece, l’ex consigliere regionale Marco Sorbara.

La posizione di Carcea

Ma torniamo alla posizione di Carcea. Anche se con la sua condotta avrebbe “aiutato” il Locale, l’imputata non fu eletta in Consiglio comunale a Saint-Pierre grazie al sostegno della ‘ndrangheta. Secondo la Corte, infatti, fu «approcciata con decisione» dagli esponenti di spicco del Locale «solo a elezione avvenuta». E così l’ex assessora è progressivamente entrata «nell’orbita del gruppo, al quale, anzitutto, confida le proprie ambasce, ricevendo il desiderato soccorso».

Quell’amicizia pericolosa

La sentenza si sofferma poi sul rapporto tra l’imputata e Marco Di Donato. Per i giudici «le flebili giustificazioni afferente al rilievo della sola amicizia» tra l’ex assessora e la moglie di Di Donato «non spiegano come mai Carcea solesse chiamare in causa Di Donato e Raso (..) per risolvere problematiche di carattere politico-istituzionale oltre che amministrativo, puntualmente recandosi a più di un rendez-vous presso il ristorante del secondo e, soprattutto, presso l’abitazione del primo».

L’abitazione di Di Donato – che all’epoca dei fatti si trovava ai domiciliari -, annota la Corte, «era stata trasformata in un luogo di tribuna politica».

E l’ex assessore aveva ben chiaro anche «l’assetto gerarchico della struttura» ‘ndranghetistica; ad esempio, in un’intercettazione ambientale «quasi si giustifica di aver “dovuto chiamare Tonino (Raso ndr)”, giacché non intendeva “disturbare Marco (Di Donato ndr)”».

La messa a disposizione

Dopo aver analizzato vari episodi contenuti nelle carte dell’inchiesta condotta dai Carabinieri e coordinata dalla DDA di Torino, i giudici concludono affermando che è da ritenere «riscontrata e continuativa» la «funzionalizzazione dell’attività politico-istituzionale dell’appellante alle esigenze di conservazione e incremento del prestigio del gruppo».

A seguito dell’operazione Geenna, andata in scena il 23 gennaio 2019, il Comune di Saint-Pierre è stato sciolto per infiltrazioni mafiose.

(f.d.)

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