Appello Geenna, i giudici: «Sorbara non era asservito al clan»
Depositate le motivazioni della sentenza con cui la II sezione della Corte d'Appello di Torino ha assolto Marco Sorbara; condanne confermate per Antonio Raso, Nicola Prettico, Alessandro Giachino e Monica Carcea.
«Nessun asservimento delle funzioni pubbliche esercitate» da Marco Sorbara «alle esigenze del clan». Pertanto, l’ex politico accusato di concorso esterno in associazione mafiosa «deve essere mandato assolto perché il fatto non sussiste». Lo scrivono i giudici della II sezione della Corte d’Appello di Torino nelle motivazioni della sentenza con cui, oltre ad assolvere l’ex assessore comunale, hanno condannato gli imputati del processo Geenna sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta. Oltre a Sorbara, alla sbarra vi erano il ristoratore Antonio Raso, l’ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico, il dipendente del Casinò Alessandro Giachino e l’ex assessore di Saint-Pierre Monica Carcea. Quest’ultima era accusata di concorso esterno, mentre gli altri tre dovevano rispondere di associazione mafiosa.
Le motivazioni
Nelle 640 pagine depositate il 13 ottobre, i giudici torinesi (presidente Amato, relatore Cappitelli e consigliere Guarriello) evidenziano come Sorbara, unico assolto in Appello (dopo una pesante condanna in primo grado), non abbia mai «rinnegato alcunché circa il proprio consolidato rapporto con» Antonio Raso. Anche se la Corte non crede all’ex politico quando «ha dichiarato che non avrebbe mai sospettato che» il ristoratore aostano «potesse essere in “odore di mafia”».
Tuttavia, nel caso dell’ex assessore di Aosta non si può parlare di «arruolamento tra i politici stabilmente “satelliti” del sodalizio attraverso un decisivo appoggio elettorale»; per la Corte, infatti, «un sereno e attento esame del materiale captativo (le intercettazioni ndr) non consente di ritenere provato che Sorbara ricevette l’investitura preelettorale dal gruppo facente capo a Di Donato» Marco Fabrizio, condannato in abbreviato come figura di spicco del Locale di ‘ndrangheta aostano. Questo anche in virtù del fatto che non vi sarebbero elementi in grado di provare l’esistenza di rapporti tra il politico e l’imbianchino di Saint-Pierre.
Di più: analizzando la campagna elettorale per le Comunali del 2015 (Sorbara fece il pieno di preferenze e risultò eletto), la Corte sostiene che «nelle intercettazioni relative alla campagna elettorale» per le amministrative del capoluogo regionale «Di Donato mai fa il nome di Sorbara, e lo stesso amico Raso non fa mistero di puntare» su altri due candidati.
La politica secondo Sorbara
Dopo aver ricordato che Sorbara non risulta indagato in Egomnia (inchiesta della DDA sulle elezioni regionali del 2018), i giudici torinesi tracciano «un profilo personologico» di Marco Sorbara. Si legge: «Sorbara non è certo un politico spiccatamente social; è invece un politico abituato a relazionarsi direttamente con la gente comune, a fare politica, come lui stesso rivendica in una delle centinaia di intercettazioni che lo riguardano, “porta a porta”, probabilmente teso anche oltre l’obiettivo di diventare quel “campione di calabresità” a cui, davanti agli occhi attenti di Raso, mostra comunque di tenere parecchio».
E per la Corte, «proprio questa sua impostazione “tradizionale”, oltre che il consolidato rapporto personale con Raso, lo portano a essere un frequentatore abituale del ristorante La Rotonda, ai tavoli del quale si alternano, negli anni, sia gli appartenenti al sodalizio che soggetti appartenenti al mondo politico, istituzionale o produttivo locale». Sorbara «mostra di non rinunciare ad alcun contesto relazionale» ed è «consapevole dell’importanza di convogliare verso di sé i consensi dei propri corregionali ed eventualmente delle loro famiglie». Motivo per cui «non esita a chiedere esplicitamente il sostegno» a Raso.
Tuttavia, con le sue azioni l’ex assessore comunale di Aosta non avrebbe mai rafforzato il Locale di ‘ndrangheta. Sul punto, la sentenza chiarisce: «Si deve convenire con l’appellante (la difesa di Sorbara ndr) su un dato fondamentale, che poi è quello decisivo per le sorti dell’imputato, ovvero la non provata rilevanza penale delle condotte assertivamente rafforzative del prestigio del sodalizio aostano».
(f.d.)