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  • Osvaldo Bassi, grande atleta e uomo vero: «Il nostro era un ciclismo da eroi»
    Osvaldo Bassi
    SPORT
    di Davide Pellegrino  
    il 12/06/2022

    Osvaldo Bassi, grande atleta e uomo vero: «Il nostro era un ciclismo da eroi»

    In ricordo dell'unico valdostano che ha partecipato a un Giro d'Italia, scomparso venerdì all'età di 82 anni, pubblichiamo l'intervista realizzata nel 2019 da Enrico Formento Dojot per lo speciale di Gazzetta Matin sulla tappa Saint-Vincent-Courmayeur della Corsa Rosa

    In memoria di Osvaldo Bassi, scomparso venerdì, pubblichiamo l’intervista realizzata nel maggio 2019 da Enrico Formento Dojot per lo speciale realizzato da Gazzetta Matin in occasione della tappa tutta valdostana del Giro d’Italia.

    Osvaldo Bassi: «Il nostro era un ciclismo da eroi»

    Osvaldo Bassi nel suo negozio Caprice di via Porta Praetoria ad Aosta

    Incontro Osvaldo Bassi nel negozio di famiglia in via Porta Praetoria. È un pomeriggio soleggiato e piacevole. Sta guardando il Giro d’Italia, non avevo dubbi in proposito.

    Osvaldo, classe 1939, quasi ottant’anni – li compirà nel prossimo ottobre – splendidamente portati, non sa resistere al richiamo della strada. Rivede se stesso, le sue fatiche, i suoi sacrifici, il suo ritiro prematuro. Gli occhi gli si accendono quando un corridore scatta e s’invola, sembra che stia spingendo con lui. Accecante malattia, il ciclismo.

    Osvaldo Bassi è l’unico valdostano ad avere partecipato al Giro d’Italia. Era il 1964. Vinse un certo Jacques Anquetil. Per il nostro, un mesto e immeritato abbandono, ma la soddisfazione di esserci stato, uno dei pochi eletti a poter dire “io c’ero”.

    Ed esserci stato con onore e, purtroppo, tanta, tanta sfortuna.

    Osvaldo Bassi: «La passione per il ciclismo mutuata dallo zio»

    Osvaldo, la sua storia nasce in Toscana.

    «Ad Aulla, in Lunigiana. Preferisco definirmi un uomo di frontiera, di quell’alta Toscana che quasi si confonde con l’estremo lembo di Liguria. Presto, la sua vita si svilupperà altrove. Mio padre faceva i mercati e stavo con i nonni. Dall’età di quattro anni ci siamo stabiliti a Carema, località Dogana, poi a Donnas dove, a quindici anni, ho iniziato l’attività agonistica nella categoria Esordienti. La passione me la trasmise mio zio, correvo con la sua bicicletta. Ciclisticamente parlando, subito un’altra svolta. Pratico l’ultimo anno da Esordiente, i due successivi da Allievo e il primo da dilettante a Biella, nella UCAB. Federico Gai, grande manager e già compagno di squadra di Costante Girardengo, mi accoglie alla CEAT a Torino. Durante il servizio militare faccio parte della compagnia atleti. Passo alla Pinerolese, alla Settimese Ulla, costola dell’IBAC di Biella e divento professionista. Come toccare il cielo con un dito».

    Osvaldo Bassi premiato con la maglia della Settimese

    Osvaldo Bassi: «Defilippis un compagno di squadra, ma, soprattutto, un amico vero»

    È l’ingresso nel ciclismo che conta, dalla porta principale.

    «La squadra era forte, formata da corridori come Defilippis, Soler, Battistini, Suarez, Liviero, De Rosso. Al Giro del ‘64 vinciamo due tappe, a Lavarone con Soler e a Montepulciano con Defilippis. Non avevamo uomini da classifica, ma da singole tappe. Una compagine garibaldina, la definirei così».

    Osvaldo Bassi con la maglia della CEAT

    Il quale Defilippis, per tutti il “Cit”, diventa non solo un riferimento, ma un amico vero.

    «Eravamo in camera assieme. Per me è stato sempre un riferimento, eravamo effettivamente molto legati. Nino aveva un cuore d’oro, e non è una frase fatta. C’è anche il suo zampino nell’ideazione del Giro della Valle d’Aosta. Avevamo partecipato a una breve gara a tappe in Francia. Al ritorno, parlammo di quel format con Gianni Cossavella e Raimondo Jans. Cossavella coinvolse Ramirez e nacque il Giro della Valle».

    Osvaldo Bassi a braccia alzate sul traguardo di Torino

    Lo sfortunato Giro d’Italia del 1964

    Veniamo al Giro d’Italia del 1964.

    «Inizio col dire che allora la stagione, diversamente da adesso, prevedeva soltanto un paio di corse prima dell’appuntamento rosa: il Giro di Sardegna e la Milano-San Remo. Al Giro 1964, sto disputando una gara dignitosa. Abbiamo anche l’onore di essere ricevuti dal Papa. Senonché, nella diciassettesima tappa, da Livorno a Santa Margherita Ligure, il destino mi si rivolta contro. In una curva, trovo, insieme ad altri, una macchia di petrolio: la caduta è inevitabile.

    Non riporto danni particolari se non qualche ammaccatura, ma il peggio deve ancora venire. Infatti, un gruppetto ci piomba addosso. Subito non mi sembra nulla di grave. Il giorno dopo vedo girare e non mi sento bene. Defilippis mi soccorre e sono in ospedale a Rapallo. Era un inizio di commozione cerebrale. Il primario rileva pulsazioni molto basse, ma riesco a mettermi in contatto con il mio medico che lo rassicura e vengo dimesso. Vado in una trattoria con mia sorella e mi gusto un sontuoso piatto di pasta: mi ricordo ancora il gusto, mi creda, tanto l’ho assaporato. Ma non era ancora finita. Al Centro Medico di Torino ipotizzano un intervento al cranio e mi danno cinquanta possibilità su cento di riuscita. Rifiuto e il problema si risolve con una serie di iniezioni. In realtà, in certe posizioni, vedevo girare e così ho deciso di smettere, non potevo rischiare. Una vera disdetta, avevo già il contratto rinnovato per la stagione seguente».

    Osvaldo Bassi: «Ho assaporato il mio sogno per appena tre mesi»

    Un colpo durissimo, immagino, e non solo dal punto di vista fisico.

    «Per un lungo periodo non seguivo più il ciclismo, neanche in televisione. Un rifiuto, uno straniamento, non volevo accettare che la mia carriera finisse così. Corri, ti prepari, fai sacrifici per diventare professionista e quando ci arrivi devi ritirarti. Tenendo conto che il primo anno da professionista è di ambientamento, ebbi la sensazione che fosse finito tutto. Il mio sogno era crollato. In seguito, mi invitarono ai raduni per ciclisti professionisti e ripresi a frequentare quel mondo. Superai l’amarezza di un giovane che aveva assaporato il suo sogno per soli tre mesi al primo anno».

    Il tentativo di ritorno e il Mondiale regalato a Defilippis

    Lei tentò un ritorno.

    «Sì, in una corsa premondiale a Cortona. A meno trenta chilometri all’arrivo Defilippis, in odore di selezione per la prova iridata, è vittima di una foratura. Io gli dò la ruota, lui rientra, vince e viene selezionato per il campionato del mondo, dove giunge secondo. Per me, altri esami mi consigliano di chiudere definitivamente. Mi irrogarono una multa di cinquecento lire per il cambio di ruota, che Defilippis si impegnò a pagare».

    Osvaldo Bassi: «Anquetil, gran passista e gran signore»

    Il “suo” Giro lo vinse Anquetil. Un autentico fuoriclasse con uno stile perfetto, unico, da archetipo dell’eleganza. Uno dei pochi che a cronometro, come si dice, era in grado di correre con un calice di champagne sulla schiena senza versarlo, tanto la sua azione era pulita.

    «Confermo, un gran passista. E, aggiungo, che era un gran signore. Anche lui cadde in quella diciassettesima tappa, andò in ospedale per una contusione e venne a trovarmi in camera, incoraggiandomi e dicendomi che ci saremmo visti alla partenza».

    Osvaldo Bassi: «Le sere a cantare in albergo con Dino Zandegù»

    Altri colleghi che le sono rimasti nel cuore?

    «Amici come Zilioli, Gimondi, che era ancora dilettante. E Adorni, un signore e un grande passista, il più simile a Anquetil. A Loreto andammo in fuga insieme. E, poi, Dino Zandegù. Eravamo le “ruote d’oro”, io e lui, per il Nord Ovest e il Nord Est. Spesso in albergo cantava, come fa oggi».

    Osvaldo Bassi: «Quella volta che Taccone bloccò il gruppo in un sottopasso»

    Il “matto”, nel senso di estroso, del gruppo?

    «Vito Taccone. Nessuno voleva stargli vicino perché sterzava quando meno te lo aspettavi. Nella tappa Parma-Verona, in un sottopasso della ferrovia, a poco più di un chilometro dall’arrivo, fece un numero dei suoi e si creò un mucchio di corridori bloccati nel sottopasso. Non ricordo chi disse “se lo prendo lo strozzo”».

    Osvaldo Bassi: «Raymond Poulidor non mollava mai, anche se sapeva che avrebbe perso»

    Ciclisti che ha ammirato, pur non correndoci necessariamente insieme?

    «Charly Gaul: reggeva a cronometro e in salita era un fenomeno. Ma, più di tutti, ammiravo Raymond Poulidor, un grande campione che non indossò mai la maglia gialla. Mi piaceva la sua determinazione, la sua grinta: sapeva che Anquetil l’avrebbe battuto, ma non mollava mai».

    Osvaldo Bassi: «Romeo Venturelli un grande talento inespresso»

    Un grande talento inespresso?

    «Romeo Venturelli. Da dilettante era imbattibile. Veramente un talento. Peccato che la testa non l’abbia accompagnato. Perché il ciclismo non è solo fatica fisica. La fatica è reale, certo. Ma è la testa che fa la differenza. Era un ciclismo non più da pionieri, ma sicuramente da eroi. Le faccio solo un esempio. Oggi i rifornimenti sono numerosi, fino a venti chilometri dall’arrivo. Allora, c’erano solo in certi punti. Le racconto un aneddoto simpatico. Una volta, vinti dalla fame e dalla sete, trovammo un bar. Dentro, un frigo ben fornito e nessuno in giro. In pochi secondi arrivò il padrone con una scopa. Io riuscii a scappare, qualcun altro si prese una sonora ramazzata».

    Osvaldo Bassi: «Quella volta del siciliano in autostrada»

    Un altro aneddoto?

    «Avevo un compagno, un siciliano. Lo vedo arrivare sulla macchina della Polizia. Sbalordito domando cosa fosse successo. Si giustificò: aveva visto una grande strada larga e l’aveva imboccata. Peccato fosse l’autostrada!».

    Osvaldo Bassi: «Il mio era un ciclismo pane e acqua»

    Oggi l’approccio è più scientifico.

    «Il mio ciclismo era pane e acqua. Ci allenavamo senza una grande cognizione. Facevamo 120-130 chilometri per affrontare una gara di 50-60. Io mi cambiavo da solo le corde dei freni. Adesso l’alimentazione e la preparazione sono oggetto di studi approfonditi, niente è lasciato al caso. Una volta stavi vicino al compagno, non c’erano le radioline, spesso non sapevi in che posizione ti trovavi. Oggi si corre tutto l’anno, anche in continenti meno tradizionali. È una questione di business. Il ciclismo porta tanta pubblicità alle località che lo ospitano. Mio nonno diceva che i soldi fanno ballare l’orso».

    La differenza tra le corse dei dilettanti e quelle dei professionisti

    C’è una sostanziale differenza tra le corse dei dilettanti e quelle dei professionisti.

    «Assolutamente. La differenza tra Allievi e dilettanti sta nel chilometraggio. Rispetto ai “pro”, i dilettanti corrono più regolari. I professionisti possono andare ai trenta all’ora. Poi, quando scoppia la bagarre, se non ci si infila al momento giusto è un problema rientrare. Per non parlare dei ventagli, che si devono gestire con oculatezza. Inoltre, tra i dilettanti le squadre spesso sono divise, mentre nel professionismo c’è più disciplina».

    La grande carriera da dilettante di Osvaldo Bassi

    Torniamo indietro, alla sua carriera da dilettante.

    «All’epoca, noi fuori zona, rispetto a Torino o Milano, eravamo penalizzati. Per correre una gara a Torino che iniziava alle nove del mattino, per noi la sveglia suonava alle quattro. Sono stato campione piemontese tra gli Esordienti. Tra i dilettanti mi difendevo in salita ed ero dotato di uno spunto veloce: il mio habitat naturale era lo sprint di un gruppo ristretto. Ero il classico corridore delle corse di un giorno, ho ottenuto molte vittorie, sessanta tra esordienti e dilettanti. Penso al Trofeo Perona, definita la corsa che crea i campioni, vinto davanti a Balmamion: che battaglie con lui e Zilioli».

    Osvaldo Bassi con una delle tante coppe vinte

    Le pastiglie nella Torino-Valtournenche

    Quando vede carriere stroncate per l’uso di sostanze proibite cosa pensa?

    «Guardi, allora si prendevano pastiglie di metedrina o di simpamina, quelle che assumevano gli studenti per affrontare gli esami, per intenderci. Poi, nel ciclismo moderno, si è passati alle trasfusioni. Alla Torino-Valtournenche volevo fare bella figura e chiesi due pastiglie. Me le diedero consigliandomi di assumerle verso Ivrea, se fossi stato con i primi. Così andò, ma a Donnas mi bloccai e dovetti ritirarmi. Non le presi più».

    Il grande rammarico del Giro della Valle d’Aosta

    Nell’ambito di una carriera fatta di grandi soddisfazioni, il rammarico può risultare il Giro della Valle d’Aosta.

    «Sì. Il nostro Giro, come si dice, mi è rimasto lì. Nella prima tappa, a Pont-Saint-Martin, vinta da Zilioli, sono sesto. La seconda frazione parte da Pont-Saint-Martin per terminare a Champoluc. Senonché, nel pomeriggio, vengo colto da un mal di pancia lancinante: per farla breve, operato di appendicite. L’anno successivo, devo fare il gregario perché un compagno indossava la maglia di leader. Trovavo il Giro della Valle troppo duro e consigliai a Cossavella almeno una tappa di pianura, per allettare i velocisti. Così nacque la frazione in Canavese. Secondo me, il Giro della Valle è più probante del Giro d’Italia per dilettanti: per vincerlo devi essere un corridore completo».

    Osvaldo Bassi protagonista anche sui campi da calcio

    Terminata, suo malgrado, la carriera ciclistica, sorge un’altra passione.

    «Passo al calcio, all’Ilssa Viola di Pont-Saint-Martin, poi al Quincinetto in Promozione, dove rimango per due anni. Ero veloce e mai stanco: una volta, a Piverone, un terzino mi ha sputato dietro! Tuttavia, temevo incidenti per la mia testa già così duramente colpita e smisi».

    La seconda vita di Osvaldo Bassi nel mondo dell’imprenditoria

    E iniziò la seconda vita.

    «Andai a gestire una trattoria a Manarola, nelle Cinque Terre. Poi il ristorante della Stazione a Donnas. Dopo un periodo da ambulante, un negozio a Courmayeur e, infine, ad Aosta, sempre nel campo della pelletteria».

    I favoriti di Osvaldo Bassi per il Giro del 2019

    Chiudiamo ancora con il ciclismo, ma attuale: chi sono i suoi favoriti per alzare il Trofeo Senza Fine al Giro d’Italia 2019?

    «Direi Primoz Roglic e Simon Yates, appaiati, e, appena sotto, Vincenzo Nibali. Roglic è chiamato a superare lo scoglio dell’ultima settimana, finora ha vinto corse a tappe più brevi. Yates può far tesoro dell’esperienza e degli errori dell’anno scorso: se non avesse voluto strafare, avrebbe vinto lui, infatti si è in seguito aggiudicato la Vuelta. Nibali per me è un’incognita, mi sembra in fase discendente. Se non si fosse infortunato, sarebbe stato il Giro di Egan Bernal. Nel finale, contano comunque le forze residue».

    Su chi punterebbe per la tappa interamente in territorio valdostano, la Saint-Vincent-Courmayeur?

    «Direi sempre Roglic e Yates. Ma, ripeto, diventano fondamentali le energie rimaste, per tutti».

    (enrico formento dojot)

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