Aosta Pride: «la strada per l’uguaglianza è lunga, ma mai demordere»
Sono le parole di Aurelio Mancuso, giornalista, blogger, già presidente e segretario nazionale di Arcigay, oggi presidente di Equality Italia che nel 1995 ad Aosta, fondò l'associazioen Arcigay 28 giugno. Ecco l'intervista pubblicata su Gazzetta Matin.
Aosta Pride: «la strada per l’uguaglianza è lunga, ma mai demordere».
Così Aurelio Mancuso nell’intervista pubblicata su Gazzetta Matin di lunedì.
Nei giorni scorsi, il giornalista e blogger, presidente di Equality Italia che vive a Roma da oltre 10 anni, aveva annunciato la sua partecipazione all’Aosta Pride, ricordando l’impegno, 28 anni fa, nella fondazione dell’associazione Arcigay 28 giugno.
«L’emozione è grande. Dall’impegno di quasi trent’anni fa per la fondazione dell’Arcigay 28 giugno è passato tanto tempo.
I giovani sono più liberi, le unioni civili sono realtà, ma il cammino per una piena uguaglianza è ancora lungo».
Aurelio Mancuso, 60 anni da compiere, giornalista, blogger, già presidente e segretario nazionale di Arcigay, oggi presidente di Equality Italia è stato il fondatore, insieme a un gruppo di amici e amiche dell’associazione Arcigay 28 giugno.
Da 11 anni vive a Roma, dopo aver vissuto 10 anni a Milano; due o tre volte all’anno torna in Valle, dai familiari e dagli amici.
Mancuso dichiarò pubblicamente la propria omosessualità in un articolo pubblicato sulla prima pagina del settimanale Il Corsivo.
Mancuso era esposto politicamente nell’allora segreteria del Partito Democratico della Sinistra – Gauche Valdôtaine.
Mancuso, sono passati 28 anni dall’editoriale ‘Io minoranza’, sulla prima pagina de Il Corsivo…
«Proprio così era il mese di settembre 1994; il direttore era Enrico Romagnoli, la caporedattrice era Ruth De Guio.
Alla mia attività di giornalista affiancavo l’impegno come dirigente del PDS Gauche Valdôtaine dell’allora segretario Piero Ferraris.
Con alcuni amici e amiche, ci interrogavamo da tempo sul da farsi; esporsi non era certamente semplice in una regione così piccola.
A fine ’93 partecipai a due riunioni dell’Arcigay nazionale a Bologna.
Poi la decisione di fare una dichiarazione pubblica.
Il mio pezzo ‘Io minoranza’ suscitò enorme clamore, ma la reazione fu positiva».
Poi, tra amici, al tavolo di un ristorante, nasce Arcigay 28 giugno…
«Proprio così, era il 9 marzo 1995 e al tavolo della Trattoria da Anna di Saint-Christophe, nel giorno settimanale di chiusura, fu firmato l’atto costitutivo dell’associazione Arcigay 28 giugno.
Furono anni di grande impegno; l’associazione identificò due strade prioritarie da percorrere: il dialogo con le istituzioni politiche e religiose e la promozione dell’associazionismo e delle iniziative culturali.
Incontrammo gli esponenti politici dell’epoca, il sindaco di Aosta.
Fummo la prima associazione gay in Italia ad avere un incontro ufficiale con il Vescovo.
Monsignor Giuseppe Anfossi ci accolse con grande garbo nonostante il comprensibile imbarazzo.
Ricordo la lunga battaglia sulla legge regionale sulla famiglia con l’allora assessore Roberto Vicquéry. Riuscimmo a rendere neutro l’articolo 1, laddove si parlava di composizione del nucleo familiare, includendo anche le famiglie omosessuali.
Ricordo che l’Union Valdôtaine votò la formulazione diversa rispetto a quella proposta dal suo assessore; il presidente della Giunta era Dino Viérin e l’associazione potè contare sull’aiuto prezioso di Adriana Viérin.
Era il periodo nel quale il buon Gianfranco Fini se ne uscì con l’infelice dichiarazione sulla impossibilità dei gay a diventare maestri…
Non solo l’impegno politico e istituzionale; in quegli anni, ad Aosta e dintorni, le feste di Arcigay 28 giugno erano leggendarie…
«Devo ammettere che ci siamo divertiti e tanto.
Ma abbiamo lavorato seriamente a ogni singola festa, al Mizar, alla Villa di Gressan, al Tiger di Morgex e in un altro locale dove si ballavano i balli latino-americani.
Nella nostra sede di piazza Roncas facevamo le prove degli spettacoli, trucco e parrucco compresi.
Erano occasioni per divertirsi, ma furono anche l’occasione per tanti, di uscire dalla clandestinità sociale, rincuorati da un’accoglienza dell’opinione pubblica positiva».
Ma non era tutto rose e fiori…
«Tutt’altro. Non ci sono mai state mai discriminazioni plateali ma una discriminazione serpeggiante c’è sempre stata ed è continuata nel tempo.
A un certo punto io mi sono trasferito a Milano e ogni volta, al rientro, in un bar o per la strada, il chiacchiericcio aumentava.
Penso anche al dramma dell’Aids che noi abbiamo conosciuto da vicino.
I morti, in quel periodo, sono stati tanti, perlopiù nel silenzio delle famiglie, che portavano i loro figli a morire a Torino per nasconderne le cause e perchè fossero registrati lì. Sono state pagine dolorose».
Mancuso, lei dice che il cammino per l’uguaglianza è ancora lungo…
«Sì ma l’importante è non demordere.
Il quadro politico è cambiato; temo che la legge sull’omofobia ce la scorderemo ma non possiamo guardare solo agli aspetti negativi; difendiamo ciò che si è conquistato e vigiliamo sulle norme di tutela che arrivano dell’Unione Europea.
Io credo che la tendenza del nuovo Governo sarà attendista, come dire meglio non occuparsene, mentre culturalmente si dirà ‘bhè hanno già tutto, le unioni civili…’.
Non deve a mio avviso innescarsi il meccanismo di delusione; ciò che non bisogna fare è radicalizzarsi.
Con lo scontro non si otterrà nulla; non significa fare i moderati tout court ma lavorare su cose che si possono ottenere, anche in modo trasversale e vigilare perchè non si facciano passi indietro.
Nel passato, Arcigay ha già parlato con la Destra in modo positivo; mi riferisco ad esempio, alla proposta di legge dell’allora ministro Giovanardi sulla chiusura dei locali gay».
(cinzia timpano)