Mirko Vuillermin e i 30 anni dall’oro di Lillehammer: «Provo le stesse emozioni di quel giorno»
Il capitano delle mitiche Frecce Rossonere rivive il momento più alto della sua splendida carriera; alle Olimpiadi norvegesi si piazzò secondo nei 500 metri e primo nella prova a squadra, azzeccando il sorpasso decisivo nei giri finali
Mirko Vuillermin e i 30 anni dall’oro di Lillehammer: «Provo del stesse emozioni di quel giorno».
Il capitano delle mitiche Frecce Rossonere, uno dei 3 valdostani capaci di laurerarsi campione olimpico invernale, rivive il momento più alto della sua splendida carriera.
Alle Olimpiadi norvegesi, il fuoriclasse valdostano si piazzò secondo nei 500 metri e primo nella prova a squadra, azzeccando il sorpasso decisivo nei giri finali.
Mirko Vuillermin e l’appuntamento con la storia
Lillehammer, 1994. La macchina del tempo riavvolge il nastro e i ricordi si fanno nitidi, il rewind non risente del lento, ma inesorabile fluire di fatti, episodi, difficoltà.
I ricordi non ingialliscono, come quelle foto d’antan, già “seppiate” di loro, che a mano a mano affievoliscono, rendendo quasi irriconoscibili i personaggi, progressivamente avvolti in una cortina di fumo che tutto permea e tutto scolorisce.
Mirko Vuillermin, aostano originario di Brusson, a Lillehammer, arriva a 20 anni compiuti, ma già con un “grande avvenire dietro alle spalle”. Innumerevoli i podi mondiali: tra tutti, l’oro nei 500 metri a Pechino 1993 (replicato, poi, nella staffetta a L’Aia 1996), gli argenti e i bronzi si sprecano. Trionfi cui seguono gli Europei, due ori e due bronzi a Malmö 1997.
Manca il successo all’Olimpiade. Lillehammer colma la lacuna. Eccome, se la colma.
Mirko Vuillermin e i 30 anni dall’oro di Lillehammer: «Provo le stesse emozioni di allora»
Mirko, 30 anni, una vita fa.
«Eppure provo le stesse emozioni, come fosse ieri. Venivo dai campionati italiani assoluti, che avevo vinto, e mi sentivo in un periodo ottimale di forma. Il nostro gruppo era preparato da un allenatore, Stelio Conti, che non proveniva dal settore ghiaccio, ma da quello dello sci. Grande tecnico e grande uomo, ancora adesso ci sentiamo. Sapeva tenere unita la squadra e ci faceva svolgere esercizi particolari che facevano la differenza, rendevano maggiormente redditizia l’azione in gara. Tutti riuscivano a tenere tempi buoni e ciò implementava il morale».
Mirko Vuillermin: «Condizioni meteo difficili»
Lillehammer non si presentava così ospitale, dal punto di vista climatico.
«Vivevamo in un villaggio tipico, laghi intorno, freddo polare: la temperatura più calda del periodo fu -27°. Le strutture erano in legno, riscaldate con convettori elettrici, quindi un ambiente secchissimo. Quando si usciva, ci si rannicchiava nelle giacche per evitare il classico ghiacciolo che pende dal viso».
Mirko Vuillermin: «Un coreano mi beffa nella gara dei 500 metri»
Torniamo alle gare di quell’Olimpiade.
«La prima è sui 1500 metri, un esordio non ottimale, ma Stelio Conti mi fa capire le criticità. Dopo 2 giorni, la distanza a me favorevole, i 500 metri, nei quali dimostro il mio valore, affrontando i più bravi. Sfrutto le mie caratteristiche e parto fortissimo, infliggendo una distanza notevole agli avversari. Chiaro che vado in carenza nel finale, mi è fatale distogliermi per un attimo dall’obiettivo. Arrivo in spaccata con un coreano che mi beffa per due centimetri. Comunque, è argento, prima medaglia olimpica italiana nella specialità del ghiaccio».
Mirko Vuillermin: «Vincere la staffetta mi ha regalato un’emozione meravigliosa»
E la giornata non finisce certo così.
«Passano neanche 20’ e tocca alla staffetta. Un momento di attesa per la tattica e via. Nella seconda fase, verso la metà, un canadese cade. Intuisco il momento, mi faccio spingere il più forte possibile e indovino un sorpasso all’esterno su due avversari. È l’istante topico, poi si tratta di chiudere, vincere, conservando il divario. Un’emozione meravigliosa, soprattutto perché avevamo vinto insieme, come team, dopo avere lottato, fatto sacrifici, sognato, per anni. Quello è il ricordo, un gruppo di atleti che l’amicizia e il duro lavoro avevano innalzato sul gradino più alto del podio. Negli anni precedenti ero sempre salito sul podio ai Mondiali, con record; la vittoria di Lillehammer non è stata un fatto episodico, quello che caratterizza le meteore».
Mirko Vuillermin: «Ad Albertville mi sembrava di essere in un film»
Prima di Lillehammer, era stato convocato per Albertville 1992.
«Avevo 18 anni e lo short track era una specialità dimostrativa. L’Olimpiade rappresentava per me un mondo inesplorato. Entrare nel villaggio olimpico, così giovane, da atleta: mi sembrava di essere in un film. Ricordo lo stadio di pattinaggio: enorme, era una struttura provvisoria, che sarebbe stata poi smontata. Le tribune di acciaio vibravano in modo fortissimo quando i tifosi battevano i piedi sui tubolari di acciaio. Rumore pazzesco, meraviglia. Tra l’altro, vista la decisione di spaiare le Olimpiadi estive da quelle invernali, ho vissuto due Giochi in due anni».
Mirko Vuillermin: «Le Frecce Rossonere erano ammirate e temute da tutti»
I suoi esordi sono indissolubilmente legati alle Frecce Rossonere.
«Sì. Le “Frecce” erano ammirate e temute, la squadra più forte e numerosa in Italia. Un fenomeno stupendo, destinato poi a ridimensionarsi perché gli obiettivi diventavano sempre più elevati. E per la pesantezza della specialità».
Mirko Vuillermin: «Lo skort track richiede sacrifici indicibili»
Concretamente?
«Il livello è alto e comporta un impegno fatto di 5-6 allenamenti alla settimana, oltre alle gare che occupano l’intero weekend. I sacrifici sono indicibili. In estate, i ragazzini che si avvicinano allo short track impiegano solo per il riscaldamento il tempo che un giovane dell’atletica leggera dedica all’intero allenamento. Sacrifici e compenso misero fanno sì che tanti non riescano ad arrivare».
Lo short track richiede, quindi, costanti sacrifici con poca visibilità. Solo un innamoramento istintivo può indurre ad avvicinarlo?
«Direi più di un innamoramento. Lo short track è stata la mia vita. Non vedevo altro. Mi piacevano la velocità, il gesto tecnico e tutto il resto. Senza un approccio totalizzante non sarebbe stato possibile praticare una disciplina così pesante, soprattutto nei periodi difficili. Quando tornano i momenti positivi e sei in piena forma, certo accetti i sacrifici».
Mirko Vuillermin: «Ho superato i momenti negativi con una determinazione eccezionale»
Anche lei ha conosciuto periodi negativi. Come li ha superati?
«Con una determinazione eccezionale. Ti aiuta a tirare fuori dal cilindro qualcosa in più anche quando il destino pare congiurare contro di te. E, ripeto, la figura del tecnico Stelio Conti. Grande nel rapportarsi agli altri. Si parlava di ogni cosa. Quando attraversavo qualche criticità, mi mostrava i dati, mi faceva capire che sarei tornato a quei livelli: “tieni duro, non mollare”, mi diceva. Succedeva in particolare a inizio stagione, in Coppa del Mondo. La fase fondamentale in cui sei chiamato a valorizzare il lavoro svolto in estate e a trasformarlo sul ghiaccio. Con l’esperienza ho anche interiorizzato un ragionamento importante. Ogni tanto, la determinazione va limata, tenuta a bada, occorre comprendere quando un giorno di riposo può rivelarsi più proficuo di una sessione di allenamento: consente di recuperare e di non affaticare i muscoli. Ognuno, peraltro, deve trovare il suo equilibrio».
Mirko Vuillermin: «Da tecnico ho ottenuto soddisfazioni ragguardevoli»
Dopo la carriera da atleta ha vissuto l’esperienza di tecnico.
«Per 10 anni. Ho aggiunto soddisfazioni ragguardevoli, con Mara Zini, ad esempio, bronzo alle Olimpiadi di Torino 2006. Poi è mancato mio padre e quando è stato il momento di riprendere non me la sono sentita. L’impegno dell’allenatore è pari a quello dell’atleta, se non maggiore».
Mirko Vuillermin: «Da allenatore alternavo il bastone alla carota»
Come illustrava ai ragazzi una disciplina così pesante?
«Alternando il bastone alla carota. Allenamenti duri, ma poi si usciva, ci si divertiva. Anzi, anche durante gli allenamenti cercavo di coinvolgerli, mettendola sul piano del gioco. Ciò consentiva di distogliere la loro attenzione dal solo sacrificio».
Mirko Vuillermin: «Orazio Fagone mi ha insegnato tante cose»
A proposito di eventi dolorosi che la vita può riservare, a soli 24 anni, un incidente stradale ha chiuso la sua carriera.
«La passione per la moto mi ha sempre accompagnato, me l’aveva trasmessa mio papà. È stata una parte della mia gioventù, non ci avrei mai rinunciato. Per un curioso e grottesco gioco della sorte, Orazio Fagone (siciliano che per anni ha vissuto in Valle d’Aosta, vestendo i colori delle Frecce Rossonere, ndr), mio compagno di disciplina, e io stesso, a tre settimane di distanza l’uno dall’altro, siamo rimasti vittime di gravi incidenti, peraltro senza responsabilità da parte nostra. Orazio per me è un fratello ed è stato un significativo riferimento come atleta, mi ha insegnato tante cose. Abbiamo affrontato l’ennesima difficoltà insieme, lui ha addirittura perso una gamba nell’incidente. Per me è stata provvidenziale la visita dei medici della Fisg, che mi hanno salvato la mobilità. Inizialmente ero stato illuso sul fatto che avrei partecipato alle Olimpiadi di Nagano, che si sarebbero disputate da lì a quattro mesi. Ben presto, mi resi conto che non sarebbe stato possibile».
Mirko Vuillermin: «La testa ti tira fuori da ogni difficoltà»
Un passaggio molto critico, una prova faticosa da superare. Il culto del sacrificio, una filosofia che diventa parte della vita quotidiana, l’ha confortata?
«Sicuramente. Il carattere che porta a sapersi sacrificare nei momenti di difficoltà è tipico di un vincente, la testa ti tira fuori da ogni difficoltà. Ma ringrazio anche, e non certo in secondo piano, la mia famiglia».
Mirko Vuillermin: «Sono un uomo soddisfatto»
Chi è oggi Mirko Vuillermin?
«Un uomo soddisfatto. Ho colto tante affermazioni, ad alto livello, come atleta e come tecnico. Adesso conduco una vita normalissima, nonostante l’incidente. La mia esperienza può essere di insegnamento, in virtù di un principio: oltrepassare le difficoltà».
(enrico formento dojot)