Geenna: per la Cassazione Bruno Nirta ha diritto alla liberazione anticipata
La Suprema Corte ha respinto il ricorso della procura generale
Bruno Nirta, ritenuto il boss della locale di ‘ndrangheta che operava in Valle d’Aosta, ha diritto alla liberazione anticipata. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, che ha respinto un ricorso del procuratore generale della corte d’appello di L’Aquila. La pronuncia è stata resa nota in questi giorni.
Per la Cassazione Bruno Nirta ha diritto alla liberazione anticipata
Nirta è stato condannato in via definitiva, nell’aprile 2023, a 12 anni, 7 mesi e 20 giorni per associazione mafiosa.
Il Tribunale di sorveglianza ha accolto l’istanza di liberazione anticipata. I legali chiedevano il riconoscimento degli sconti di pena per il periodo di detenzione da gennaio 2019 a luglio 2023.
Per la procura generale, Nirta non avrebbe avuto diritto a tale beneficio per via della «perdurante affiliazione ‘ndranghetistica del soggetto, desumibile dal ruolo verticistico ricoperto e dall’attuale operatività del clan, e l’insufficienza della mera detenzione a rappresentare, al riguardo, un fattore risolutivo».
La pronuncia della Cassazione
Per i giudici romani, il tribunale di sorveglianza «con motivazione compiuta ed esente da vizi logici e giuridici, ha puntualmente evidenziato la mancata emersione, in concreto, di comportamenti del detenuto sintomatici di perdurante affiliazione».
La perdurante partecipazione al sodalizio criminale, infatti, è uno dei motivi ostativi.Secondo i principi giurisprudenziali non è possibile che «la detta partecipazione» coincida «con il mancato ravvedimento dell’interessato o con la mancata dissociazione».
In sostanza, «nel caso concreto, il protrarsi della condotta associativa, per il periodo successivo all’instaurata detenzione cautelare, non risulta – in positivo – dalla sentenza di primo grado e dagli altri elementi a disposizione, secondo quanto inappuntabilmente riferito dal giudice a quo».
(t.p.)