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  • Lavoro, divario di genere: la situazione migliora, ma rimangono gap importanti per formazione, stipendi e possibilità di crescita
    Katya Foletto e Dario Ceccarelli
    POLITICA & ECONOMIA
    di Alessandro Bianchet  
    il 07/03/2025

    Lavoro, divario di genere: la situazione migliora, ma rimangono gap importanti per formazione, stipendi e possibilità di crescita

    Presentata l'indagine dell'Osservatorio economico e sociale della regione, nella qualche emerge una Valle d'Aosta tra le migliori regioni d'Italia tra le aziende con più di 50 dipendenti. Rimangono parecchie zone grigie, legate, in particolare, alle componenti accessorie dei contratti

    Un lieve miglioramento, ma il divario di genere nel mondo del lavoro esiste ancora, in maniera pesante.

    E si traduce in minor accesso alla formazione, salari inferiori (gender pay gap all’11%), segregazione orizzontale e verticale, maggior ricorso al part-time e al turnover, minori possibilità di crescita e carriera.

    Questa l’estrema sintesi della ricerca realizzata dall’osservatorio economico e sociale della Regione Valle d’Aosta, guidato da Dario Ceccarelli, su “Occupazione maschile e femminile nelle imprese con 50 e oltre dipendenti”.

    Presentata nella mattinata di venerdì, l’indagine ha riguardato 72 imprese rossonere (87 in totale le risposte ricevute e poi scremate) con questionari complessi sottoposti a realtà che rappresentano il 21% dell’occupazione dipendente regionale, per un totale di circa 9 mila dipendenti (sui 58 mila occupati in regione).

    Lavoro e Gender gap, l’analisi

    Parla infatti di miglioramento continuo, seppur lento, della tendenza Dario Ceccarelli nel tirare le fila di dati relativi al biennio 2022-2023 (al 31 dicembre 2023).

    «La Valle ha comunque una situazione migliore rispetto al resto d’Italia, che pur non eccelle in materia di coinvolgimento delle donne nel mondo del lavoro – sottolinea Ceccarelli -. I progressi ci sono, sono lenti, ma confermano una tendenza».

    Rimangono tante indicazioni preoccupanti.

    «Rimane evidente il divario di genere su aspetti come la segregazione verticale e orizzontale, lo sbilanciamento del part-time, la minore stabilità dei rapporti di lavoro, il maggior turnover, il divario retributivo e la minor possibilità di crescita e formazione – analizza Dario Ceccarelli -. Qualche segnale, rispetto al 2019, si legge nell’aumento dei tempi indeterminati, trainati dalle occupate in smartworking».

    Se una nota positiva si può leggere nella riduzione del soffitto di cristallo per l’accesso alle posizioni dirigenziali, preoccupa il dato relativo alla formazione.

    «Può essere dovuto alla “tradizionalità” del nostro terziario, dove peraltro è più diffusa l’occupazione femminile – spiega ancora il responsabile dell’Osservatorio -. Con un settore meno propenso alla formazione, le donne vengono meno coinvolte».

    La consigliera di parità

    La consigliera di parità, Katya Foletto, non nasconde la preoccupazione, in particolare per alcune questioni fondamentali, a cominciare dal gender pay gap.

    «È legato in gran parte alle componenti accessorie dei contratti e questo deve far riflettere sulla contrattazione integrativa – analizza Foletto -. È un tema fondamentale, che va approfondito».

    Così come fondamentale è il dato riguardante la formazione.

    «È un dato importante, quanto grave – ammette -. Bisogna capire quanto le aziende investano nella formazione non obbligatoria, ma sicuramente c’è una grande difficoltà per le imprese nel capire la necessità di fare investimenti e considerare la parità di accesso imprescindibile».

    L’indagine

    Complessa l’indagine, promossa a livello nazionale, e condotta dall’osservatorio economico e sociale regionale, che ha coinvolto 72 imprese (87 le risposte ricevute) con più di 50 dipendenti.

    L’86% aveva già partecipato a precedenti rilevazioni, dando così «una certa continuità di analisi», nonostante gli errori possibili dovuti al metodo di compilazione dei questionari (l’auto dichiarazione online).

    I numeri

    Come detto, le risposte totali sono state 87, scese poi a 72 a seguito dell’operazione di scrematura per grandi gruppi nazionali o aziende “plurilocalizzate”.

    Queste rappresentano il 21% dell’occupazione regionale (oltre 11 mila le imprese attive in totale), 28% se si considera solo il settore privato, per un totale di circa 9.000 dipendenti (sui 58 mila totali).

    Tra queste, la parte del leone è giocata da agricoltura e industria (soprattutto), con il 45% dell’occupazione dipendente (15% per i servizi).

    Il mercato del lavoro

    L’indagine, come accennato, mostra una Valle d’Aosta «tra le Regioni messe meglio, pur in un’Italia tra le peggiori in Europa per il tasso di femminilizzazione – ammette Dario Ceccarelli -. Gli svantaggi rimangono, ma i gap sono ridotti rispetto al pre-Covid».

    L’elaborato mostra, nella rilevazione, una crescita dell’occupazione del 5,9% (+6,8% per le donne, +5,8% per gli uomini), che diventa +6,8% nelle imprese più grandi e +8,4% per l’industria.

    Tradotto in un aumento, dal dopo Covid, di 1.400 posti (+21%), ma con un buon 70% legato alla popolazione maschile.

    Le donne nelle grandi imprese

    Il tasso di femminilizzazione nelle grandi imprese analizzate si attesta al 35%, «inferiore al 51% dell’intero mercato regionale – evidenzia Ceccarelli -. Le donne, poi, sono particolarmente concentrate nel terziario (48%), molto meno in agricoltura e industria (17%)».

    Se le aziende sotto i 100 dipendenti sono «molto più femminilizzate rispetto alle grandi realtà», l’occupazione in rosa è «sbilanciata sul terziario (79,3%)».

    Soffitto di cristallo

    Detto che il soffitto di cristallo verso i vertici sta vivendo qualche crepa, l’analisi illustra però come «le donne sono la metà degli uomini a livello di dirigenti, ma anche operai – sottolinea Dario Ceccarelli -. La relazione di gerarchizzazione è lampante: salendo dagli impiegati ai dirigenti, la forbice si allarga, passando dall’80,3% di femminilizzazone al 19,7% tra i quadri».

    I contratti

    Con un stabilità meno elevata a livello femminile, emerge un dato importante sul part-time.

    «Il part-time rappresenta il 18% dei dipendenti, ma nel mondo femminile è al 41%, contro il 5% degli uomini – spiega ancora -. E di 1.300 dipendenti in part-time, quasi 1.000 sono a tempo determinato».

    E questo apre un dibattito.

    «Abbiamo isolato le imprese con alto ricorso al part-time e al lavoro straordinario – ricorda Ceccarelli -. Queste concentrano il 40% del volume di lavoro delle donne, il 25% degli uomini, ma ben il 75% degli straordinari sono al femminile: questo indica flessibilità, ma anche una situazione complessa, con minor retribuzione e possibilità di carriera».

    Curioso, per non dire preoccupante, il dato relativo alle trasformazioni dei rapporti di lavoro, che per il 63% hanno riguardato stabilizzazione e per il 23% passaggi al full time.

    Non è così per le donne, dove solo il 25% ha portato alla stabilizzazione e ben il 65% al passaggio al tempo pieno, segno che «se si ha la possibilità, l’impegno lavorativo aumenta».

    Sul turnover, la parte del leone è fatta sempre dalla popolazione femminile, dove, peraltro, a fronte solo di un 1% di dimissioni per la presenza di figli (0-3 anni), ben il 62% riguardano le madri.

    Altra nota dolente, quella relativa alle promozioni; per le donne segnano ben 5 punti in meno.

    Formazione

    Capitolo a parte merita la formazione, come evidenziato anche dalle parole della Consigliera di parità, Katya Foletto.

    «La formazione è minore per le donne, sia in termini di persone coinvolte che in ore dedicate – rivela Dario Ceccarelli -. Questa, poi, è ancora più bassa nei settori più importanti per l’occupazione femminile, come il sociale e il turistico-commerciale».

    Gender pay gap

    Lampante il discorso relativo al gender pay gap (divario retributivo), che si attesta intorno all’11%.

    «Esiste il contratto unico – spiega ancora Ceccarelli -, ma il problema è dato dalle componenti accessorie, scelte discrezionalmente dall’azienda».

    Tanto per fare un esempio, nel settore dei servizi, a forte prevalenza femminile, il divario nelle componenti accessorie è di circa il 50%: dato, senz’altro, eloquente.

    Inclusione

    Un ultimo focus dell’indagine ha riguardato l’inclusione sul mondo del lavoro.

    Secondo l’Osservatorio economico e sociale della regione, i lavoratori disabili in azienda sono il 3,5% del totale degli occupati, in crescita dell’8,5% nel 2023.

    Qui si registra un livello di femminilizzazione superiore e un minor livello di formazione, diffuso però su una platea più ampia.

    Gli occupati disabili risultano, infine, per la grande maggioranza in part-time, ma con contratti più stabili.

    (alessandro bianchet)

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