Trump vuole tagliare truppe in Sudcorea, Seoul preoccupata
Roma, 23 mag. (askanews) – Gli Stati uniti starebbero valutando un ridimensionamento delle truppe di stanza in Corea del Sud (USFK), una possibilità che desta preoccupazione a Seoul, alla luce dell’ascesa militare della Corea del Nord anche sul fronte delle armi nucleari.
L’amministrazione del presidente Donald Trump sta considerando di ritirare circa 4.500 soldati, parte dei 28.500 attualmente schierati nel USFK, e ricollocarli in altre aree dell’Indo-Pacifico, a partire da Guam, ha riferito giovedì il Wall Street Journal citando funzionari della Difesa senza nome.
La decisione arriva mentre il Pentagono cerca di riequilibrare e redistribuire le proprie risorse militari nella regione per ottimizzare la deterrenza nei confronti del rivale geopolitico, la Cina, in linea con la convinzione di Trump che la Corea del Sud, alleato “ricco”, non stia “rimborsando” adeguatamente gli Stati Uniti per la loro ingente protezione militare.
La questione diventerà uno dei temi principali dell’agenda dell’alleanza per il nuovo governo di Seoul, che si insedierà dopo le elezioni presidenziali del 3 giugno, convocato in seguito all’impeachment dell’ex presidente conservatore Yoon Suk-yeol.
L’idea di ritirare circa il 16% delle forze USFK si inserisce nella strategia dell’amministrazione Trump di dare priorità alla difesa del territorio nazionale e al rafforzamento della deterrenza contro un’eventuale invasione cinese di Taiwan, affidando agli alleati regionali la gestione delle minacce provenienti da Corea del Nord, Russia e altri potenziali avversari.
L’ipotesi di riduzione non è stata una sorpresa. Le precedenti dichiarazioni di Trump sulla presenza militare in Corea avevano lasciato intendere questa possibilità, e la sua politica “America First” ha alimentato speculazioni su un possibile ridimensionamento del costoso impegno militare oltremare.
Nell’aprile dello scorso anno la rivista Time aveva riportato che Trump aveva suggerito di ritirare le truppe statunitensi dalla Corea del Sud se l’alleato asiatico non avesse aumentato i contributi per sostenere i costi contro le minacce del “regime sempre più bellicoso” di Pyongyang. Secondo lui, le truppe Usa in Corea si trovano in una posizione “precaria”.
Durante la campagna elettorale di ottobre, Trump ha definito la Corea del Sud una “macchina da soldi” e affermato che, se fosse stato ancora in carica, avrebbe fatto pagare a Seoul 10 miliardi di dollari l’anno per il mantenimento delle USFK. Secondo l’accordo raggiunto l’anno scorso, la Corea del Sud dovrà versare 1.520 miliardi di won (1,1 miliardi di dollari) il prossimo anno.
A Seoul l’idea di riduzione preoccupa, poiché potrebbe preludere a un cambiamento nei termini dell’alleanza, guidato dall’accento crescente di Washington sulle minacce cinesi. In particolare, la revisione del ridimensionamento ha sollevato dubbi sul fatto che il governo USA possa procedere unilateralmente al taglio di truppe, visto che il National Defense Authorization Act (NDAA) impone di mantenere l’attuale forza delle USFK.
“Non ci sono state discussioni, né con la Corea del Sud né con gli Stati Uniti, sul ritiro delle truppe USFK”, ha dichiarato il ministero della Difesa di Seoul. “Le USFK, forza chiave dell’alleanza Corea del Sud-Usa, hanno contribuito – ha aggiunto – alla pace e alla stabilità nella penisola coreana e nella regione collaborando con il nostro esercito per mantenere una solida postura difensiva combinata e per contrastare le aggressioni e le provocazioni della Corea del Nord”.
Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha recentemente incaricato il sottosegretario alla Difesa per le Politiche Elbridge Colby di redigere la Strategia di difesa nazionale 2025, con l’obiettivo di dare priorità alla deterrenza delle minacce cinesi e di aumentare il “burden sharing” con gli alleati. Il progetto finale dovrebbe essere consegnato entro il 31 agosto.
In un’intervista di maggio con l’agenzia di stampa sudcoreana Yonhap, Colby ha sostenuto l’idea di un rinnovamento delle USFK affinché si concentrino maggiormente sulle minacce cinesi, anziché “rimanere ostaggio” della questione nordcoreana.