Difesa, accordo non semplice in Ue su Safe. Cosa farà l’Italia
Roma, 24 mag. (askanews) – “Non è stato semplice”, ammettono fonti diplomatiche, trovare l’accordo tra i 27 alla proposta di regolamento per lo strumento “Safe” (“Security Action for Europe). Ma alla fine il 21 maggio il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri presso l’Ue (Coreper), che prepara a livello tecnico le riunioni ministeriali del Consiglio, ha dato il suo via libera al testo modificato di regolamento proposto dalla Commissione il 6 marzo nell’ambito del pacchetto “ReArm Europe”.
Safe è il fondo europeo (raccolto sui mercati con emissioni di debito garantite dal bilancio comunitario) che finanzierà, fino a 150 miliardi di euro, prestiti agli Stati membri che lo richiederanno per investire nel rafforzamento delle proprie capacità di difesa, preferibilmente attraverso appalti di forniture e acquisti congiunti. Dopo il via libera del Coreper, è previsto che il regolamento sia adottato al Consiglio Affari Generali del 27 maggio come “punto A” (senza discussione). Questo nuovo strumento sarà importante per definire un modello di difesa che cerchi il giusto equilibrio tra autonomia strategica e competitività dell’industria europea.
A quanto si apprende a Bruxelles, il testo è stato modificato in diversi punti durante la discussione delle scorse settimane tra i rappresentanti degli Stati membri. Riguardo ai criteri di ammissibilità per gli acquisti di prodotti, sistemi e dispositivi di difesa, come regola generale nel Regolamento è previsto un limite massimo del 35% per il “costo dei componenti” non-Ue (norma che non piace, naturalmente, agli Stati Uniti). Sono state evitate ulteriori restrizioni, come quella precedentemente ipotizzata di un tetto massimo del 15% alla partecipazione di subappaltatori stranieri. Il compromesso su cui si è trovato l’accordo prevede una deroga generale, non limitata nel tempo per i subappaltatori non-Ue, subordinata o alla presenza di contratti in essere, oppure all’impegno da parte del contraente principale a realizzare uno studio di fattibilità circa la possibilità di sostituire i componenti non-Ue con prodotti equivalenti fabbricati nell’Ue o in Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera (membri dell’Efta).
Sempre a quanto si apprende a Bruxelles, sono state ampliate le aree strategiche in cui il rafforzamento delle capacità di difesa è finanziabile attraverso lo strumento Safe, con l’inclusione anche delle capacità marittime, sia di superficie che subacquee. Un ampliamento che piace all’Italia, che intende tra le spese militari anche quelle di sicurezza e di difesa dei confini in ambito migratorio.
E’ stato rafforzata poi l’apertura dello strumento Safe a diversi Paesi terzi, perché questo permetterà in primo luogo di salvaguardare la necessità della maggior parte dell’industria europea della difesa di poter contare in tempi rapidi su una componentistica prodotta al di fuori dell’Ue, e di interfacciarsi con i sistemi in uso in ambito Nato. In secondo luogo, questo consentirà di soddisfare l’esigenza di preservare le caratteristiche delle industrie nazionali della difesa degli Stati membri che hanno costruito e sviluppato nel tempo partenariati strutturali con il Regno Unito e con gli Stati Uniti. Viene infine riconosciuto l’impegno europeo volto a rafforzare e approfondire ulteriormente il legame transatlantico, lasciando la porta aperta a una futura cooperazione costruttiva con Washington, nonostante gli attuali problemi che la rendono difficile.
Che cosa farà l’Italia? Il governo ha accolto “con favore” la proposta, ma deve fare i conti con una situazione delle finanze pubbliche non semplice. “La richiesta di prestiti tramite lo strumento Safe dovrebbe essere valutata attentamente, considerando l’impatto sulle finanze pubbliche”, ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha proposto “l’esplorazione di ulteriori opzioni, tra cui l’utilizzo di fondi del settore privato e la possibilità di estendere il dispositivo per la ripresa e la resilienza oltre il 2026, per aumentare il margine di bilancio a disposizione degli Stati membri per rispondere all’esigenza di aumentare la spesa per la difesa”. Ipotesi però già respinta al mittente sia dal commissario per la politica regionale e di coesione, vicepresidente (ed ex ministro) Raffaele Fitto sia dal commissario per l’economia Valdis Dombrovskis.
Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese