Von der Leyen e Merz, i grandi sconfitti del Consiglio europeo
Bruxelles, 20 dic. (askanews) – Sono due i grandi sconfitti del Consiglio europeo, entrambi tedeschi ed entrambi del partito popolare. Sì, stiamo parlando di Ursula von der Leyen e di Friedrich Merz che anche a dispetto dell’evidenza hanno tentato di forzare la mano sul prestito di riparazione basato sugli asset congelati russi e sulla firma dell’accordo con i Paesi Mercosur, uscendone con le ossa rotte sotto i colpi incrociati di Emmanuel Macron, Giorgia Meloni e Viktor Orban.
Il cancelliere tedesco, “allergico” come si sa al debito comune Ue, come gli olandesi e gli altri Paesi “frugali”, è stato il più strenuo sostenitore del prestito basato sugli asset russi. Insieme alla presidente della Commissione ha lavorato dunque per abbandonare frettolosamente le altre possibilità descritte nella “option paper” presentata inizialmente della stessa Commissione, mantenendo la linea con testardaggine ideologica tedesca anche di fronte alle enormi difficoltà, alla contrarietà che pareva inamovibile del Belgio, ai dubbi di tanti altri Paesi, Italia in testa.
Sul Belgio – sottolineavano fonti italiane alla vigilia del summit – c’è una “forte pressione” da parte della Germania per arrivare a una soluzione che coinvolga l’uso degli asset russi, anche utilizzando “l’argomento morale”, ovvero “punire” la Russia. Un atteggiamento che era stato colto con una evidente manifestazione di fastidio da parte del governo Meloni. Nella narrativa dei tedeschi e dei “frugali”, della Commissione e anche della presidenza di turno danese del Consiglio Ue, le forti contrarietà al “prestito di riparazione” basato sugli asset congelati russi come “collaterale” venivano bollate come ostacoli posti all’unica soluzione possibile, mentre in realtà erano proprio la Germania e i suoi alleati a escludere per principio la vera soluzione, molto più semplice e pragmatica, quella del debito comune, per favorire un’opzione impraticabile, come spiegavano le fonti italiane.
L’uscita a sorpresa del premier ungherese Viktor Orban, al suo arrivo al vertice Ue giovedì mattina, con l’annuncio di un “disco verde”, seppur condizionato, a un prestito garantito dal bilancio europeo ha fatto capire – a tutti tranne che a Merz e von der Leyen – che il vento stava cambiando. I due tedeschi hanno provato a insistere, con una lunga mediazione con i tecnici belgi, ma poi si sono dovuti arrendere.
Le soluzioni ventilate dalla Commissione, nei giorni precedenti al summit, per rispondere alle giuste obiezioni del Belgio, che non accettava di ritrovarsi da solo a far fronte alle probabili, disastrose conseguenze dei ricorsi e arbitrati internazionali della Russia contro l’utilizzo degli asset congelati (detenuti in gran parte dalla belga Euroclear), ipotizzavano una sistema di garanzie “senza limiti”, in termini sia temporali che di ammontare finanziario, da parte degli altri Stati membri, soprattutto dopo il rifiuto da parte della Bce di fornire una rete di sicurezza equivalente a un “finanziamento monetario”, proibito dai Trattati Ue. Una prospettiva, questa, assolutamente inaccettabile, e non solo per i paesi ad alto debito, come l’Italia, che avrebbero addirittura rischiato di vedersi penalizzare dalle agenzie di rating.
E’ stato a questo punto che ha giocato le sue carte, molto bene, l’Italia, dichiarando la sua contrarietà (insieme a Belgio, Malta e Bulgaria) al “prestito di riparazione” e rimettendo in gioco l’opzione debito comune. Durante la discussione in Consiglio, è apparso subito chiaro come la “soluzione tedesca” fosse una via senza uscita, e alla fine la Germania, i “frugali” e la Commissione hanno dovuto capitolare. E’ stata una dimostrazione lampante di imbarazzo la velocità con cui, appena terminato il Consiglio, il cancelliere Merz ha inviato un comunicato con cui rivendicava che “come avevo chiesto” (ma la dicitura giusta sarebbe stata “al contrario di quanto avevo chiesto”), “all’Ucraina viene concesso un prestito a tasso zero di 90 miliardi di euro”, senza menzionare neanche il fatto che sarà finanziato da emissioni di debito comune. Lo stesso imbarazzo che ha mostrato in conferenza stampa von der Leyen accanto ad Antonio Costa, il presidente del Consiglio europeo, che, con una leadership tranquilla ma determinata e pragmatica, e una indubbia maestria nell’arte del compromesso, sta portando avanti risultati notevoli.
Anche la premier danese, Mette Frederiksen, presente alla conferenza stampa finale del summit, è da annoverare tra gli sconfitti. Come presidente di turno uscente del Consiglio Ue, infatti, appena mercoledì, in colloqui riservati, aveva mostrato tutto il suo fastidio per le obiezioni al prestito di riparazione, auspicando di andare alla prova di forza e di procedere “con chi ci sta”.
Un ruolo importante, infine, lo ha giocato anche Orban, che non voleva soprattutto una cosa: l’utilizzo degli asset congelati russi per finanziare nuove armi per l’Ucraina contro la Russia stessa. Una prospettiva che avrebbe fatto infuriare Putin e, secondo il suo punto di vista, rendere ancora più difficili i negoziati per la pace. Il premier ungherese ha quindi appoggiato l’idea del ricorso al debito comune, a condizione di non parteciparvi; una posizione in cui è stato affiancato da Slovacchia e Repubblica ceca. I tre governi hanno quindi appoggiato il via libera (che doveva essere all’unanimità) per attivare una “cooperazione rafforzata” degli altri Stati membri sul debito comune, a cui loro non dovranno contribuire.
Anche sull’Accordo Ue-Mercosur, Merz e von der Leyen hanno dovuto cambiare i loro piani, sebbene in questo caso non si tratti di una vera e propria sconfitta, ma solo di un rinvio di qualche settimana. Il tedesco voleva chiudere subito l’accordo, convinto che aiuterebbe a ravvivare le esportazioni tedesche colpite dai dazi. Si è però dovuto scontrare contro l’asse dei paesi “agricoli”, in primo luogo Italia e Francia. La presidente della Commissione, da parte sua, aveva già in programma di recarsi in Brasile il 20 dicembre per firmare l’Accordo.
I due “schiaffi” politici presi nella stessa giornata da von der Leyen, già molto debole, segnano probabilmente il punto più basso dei suoi due mandati e lasciano molte ombre sulla sua capacità di governare l’Unione nei prossimi mesi.
Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli
