Basket: il ricordo dei valdostani che sconfissero Kobe Bryant
Nel 1990, nella semifinale del Trofeo Topolino, il Rouge et Noir si regalò una giornata indimenticabile, battendo la leggenda
Basket: il ricordo dei valdostani che sconfissero Kobe Bryant. A una settimana dalla scomparsa del campione statunitense, Gazzetta Matin in edicola da lunedì 3 febbraio ha pubblicato il ricordo di alcuni componenti dell’Autoprestige che nel giugno del 1990 sconfisse nella semifinale del Trofeo Topolino di Torino le Cantine Riunite del Black Mamba.
Il talento più cristallino e dominante dopo Michael Jordan
Domenica 26 gennaio 2020 è stato uno di quei giorni che gli amanti dello sport non avrebbero mai voluto vivere. La morte di Kobe Bryant ha scosso non solo il mondo del basket professionistico, ma anche tutti gli atleti dilettanti e i semplici appassionati, che hanno visto nell’ex stella dei Los Angeles Lakers un mito, un simbolo e un modello.
A 41 anni se n’è andato uno dei giocatori che hanno scritto la storia dell’NBA. Una carriera ricca di successi, quella del Black Mamba, di traguardi meravigliosi e di momenti significativi.
Il suo nome è legato indissolubilmente alla franchigia gialloviola, con la quale ha giocato e vinto per due decenni (cinque anelli di campione, undici volte nel quintetto ideale NBA, miglior realizzatore dei Lakers con 33.643 punti).
Bryant è stato anche un esempio per tanti colleghi che, in lui, hanno visto il talento più cristallino e dominante dopo l’epopea di Michael Jordan.
L’eredità di Kobe
Bryant è stato una figura che trascende lo sport, uno di quei giocatori che si conoscono anche se non si è mai seguita la palla a spicchi.
Un esempio positivo di un uomo che è arrivato in cima al mondo senza perdere la voglia, con quella sua feroce determinazione, di mettersi in gioco, di guardare in faccia la vita, con quel suo sorriso capace di scaldare il cuore anche dall’altra parte dell’oceano, regalando emozioni in cambio di ore di sonno sacrificate sull’altare del fuso orario.
La notizia della sua scomparsa ha terremotato i sentimenti di tantissime di persone sparse a tutte le latitudini e difficilmente qualcuno dimenticherà dov’era nel momento in cui ha saputo dell’incidente in elicottero che ha spento la vita di altre otto persone, compresa la sua adorata figlia Gianna.
Bryant era un fuoriclasse dello sport, ma con il suo agonismo, la sua voglia di non mollare mai, il suo entusiasmo contagioso, ha saputo diventare una sorta di amico virtuale per i suoi tifosi. Uno di quelli che vorresti sempre avere al tuo fianco nei momenti difficili, perché quando le cose vanno male, invece di calare i pantaloni, si rimboccava le maniche.
Com’è stato ripetuto più volte in questa settimana, c’è tanta Italia nella vita di Kobe. Papà Joe ha giocato a Rieti, Pistoia, Reggio Calabria e Reggio Emilia, facendo crescere il figlio nelle città del basket azzurro.
Un dettaglio fondamentale per quella che poi è sta la sua carriera. «Se Kobe è diventato il giocatore che era lo deve soprattutto all’Italia – ha ammesso in passato Joe -. In America si salta e si corre, ma pochi conoscono i fondamentali del gioco».
I valdostani del 1978 che sconfissero la leggenda
L’ottimo gruppo valdostano del 1978 ebbe la fortuna, nel giugno del 1990, di affrontare Reggio Emilia nella semifinale del Trofeo Topolino di Torino. Nelle Cantine Riunite giocava proprio Kobe Bryant, ma, nonostante il talento a stelle e strisce, il Rouge et Noir riuscì a vincere con qualche punto di scarto.
«Kobe era già allora un vero fenomeno, per noi era praticamente immarcabile e ci segnò oltre 30 punti in soli 2 quarti di 8 minuti ciascuno – ricorda coach Gabriele Peloso -. Le provammo tutte, ma con la sua potenza batteva sin da ragazzino ogni difesa. Allora, però, non avrei mai immaginato per lui una carriera così luminosa. Noi riuscimmo a vincere quell’incontro perché avevamo due quintetti più equilibrati degli emiliani e si giocava con i cambi obbligatori. Kobe è stato un giocatore fantastico, un vero esempio, sia come giocatore che come leader».
Continua. «Mi piace ricordare alcune sue frasi famosi: “Se non credi in te stesso, nessuno lo farà per te”, oppure “non importa quanto segni, conta solo uscire dal campo felice”, ma anche “arrivare secondo vuol dire essere il primo tra gli sconfitti”.
Le Cantine Riunite in cui militava Kobe Bryant
Un altro ricordo ci arriva da Roberto Ocleppo, uno dei giocatori più significativi di quella squadra. «Di Kobe ricordo quando lo vidi fare la gara delle schiacciate. L’altezza dei canestri era da minibasket e lui era semplicemente il figlio di Joe Bryant. Sei anni più tardi nel 1996 era Kobe, il più giovane giocatore ad esordire in NBA e le schiacciate questa volta non erano nei canestri bassi».
Il ricordo di Simone Vigna, che marcò Kobe da vicino
Immancabile il commento di Simone Vigna, che marcò Kobe a lungo in quella sfida.
«Ricordo molto bene la partita e questo ragazzo che già ai tempi faceva la differenza, molto tecnico e difficile da marcare. Il suo talento era già visibile, ricordo con orgoglio quella vittoria, anche perché già si poteva intuire che sarebbe diventato un campione».
Cibo italiano, il calore dei vecchi amici emiliani e toscani, le passioni per il Milan e per Fantozzi erano le cose che Kobe ha sempre amato di più del nostro paese.
Pensare al Black Mamba che ride di gusto davanti alle tragicomiche avventure del personaggio creato e impersonato da un genio come Paolo Villaggio, è una delle immagini più belle di un campione infinito, capace di diventare grande con umiltà, passione e lavoro.
Un giocatore, e un uomo, che già ci manca terribilmente.
Nella foto, l’Autoprestige che nel giugno‘90 vinse il Trofeo Topolino battendo in finale la Virtus Siena. Da sinistra in piedi: Gabriele Peloso, Roberto Ocleppo, Paolo Ocleppo, Matteo Salvadori, Federico Enria, Iacopo Rosini, Simone Vigna.
Da sinistra accosciati: Michel Bionaz, David Catani, Maurizio Guidetti, Valerio Frosini, Andrea Di Francesco.
(davide pellegrino)