Geenna, Nicola Prettico: «’ndrangheta? Fenomeno criminale da combattere»
Imputato per associazione mafiosa, il consigliere comunale di Aosta (sospeso) ha affermato di non essere affiliato alla mafia calabrese e ha riferito in aula dei suoi rapporti con la massoneria
«Per me la ‘ndrangheta è un fenomeno criminale grave e pericoloso che va combattuto perché lede la nostra società». Lo ha detto il consigliere comunale di Aosta (sospeso) Nicola Prettico durante il processo Geenna. Accusato di associazione mafiosa – secondo gli inquirenti sarebbe uno dei sodali del presunto Locale di ‘ndrangheta aostano – l’imputato ha risposto alle domande del pubblico ministero Valerio Longi.
Riguardo alla presunta volontà di “tagliare la coda” ad Alessandro Giachino (circostanza emersa da un ambientale registrato dai Carabinieri in casa di Marco Fabrizio Di Donato), Prettico ha spiegato: «Io, Giachino e Marco Di Donato eravamo in confidenza. Spesso scherzavamo e ci prendevamo in giro anche perché Giachino è un eterno ragazzino con uno spirito giovanile e libero. Quando Di Donato parla del “taglio della coda” io ho tenuto gioco a una battuta».
E l’imputato ha riferito di sapere bene cosa significa “tagliare la coda”: «Gli anziani in Calabria spesso lo dicono. Una volta, quando ero adolescente, stavo facendo un giro al Quartiere Dora con la mia fidanzatina e alcuni anziani mi dissero: “Ti tagliarono la coda Nicola?”. Io lì l’ho inteso come “stai crescendo”. Poi mi sono confrontato con i coetanei e qualcuno disse che quella frase voleva dire far parte della mafia, della ‘ndrangheta. Allora iniziai a chiedermi cosa volesse dire “mafia”. Avevo 14 anni e pensavo fossero tipo dei ladri».
Rispondendo a una domanda del presidente del Collegio giudicante Eugenio Gramola, Prettico ha precisato: «Io assolutamente non appartengo alla ‘ndrangheta».
La massoneria
Passando alla sua affiliazione alla massoneria, l’ex politico unionista ha affermato: «Era il 2009 circa. Il mio amico Vincenzo Marrapodi, ex sindaco di San Giorgio Morgeto, stava entrando in una loggia in Costa Azzurra, a Mentone. Mi chiese se volevo accompagnarlo. Lui fece le sue cose, quindi io feci il turista sul lungo mare. Quando siamo poi tornati in Valle, lui mi ha raccontato la sua esperienza. In un secondo momento mi disse “Nicola saresti interessato a iscriverti?”. Io decisi di iscrivermi anche perché non era in Valle, non volevo che si sapesse perché per me era solo una curiosità. Io l’ho raccontato a pochissime persone, solo a chi aveva la mia fiducia. Lo dissi a Marco Di Donato, per me non era inaffidabile e neanche un chiacchierone».
Però Di Donato lo avrebbe riferito ad Antonio Raso: «Mi risentì di questa cosa – ha detto Prettico -. Ne parlai con Raso e mi disse che era incuriosito da quell’ambiente e che avrebbe partecipato volentieri».
«Ma fu Marco Di Donato a farla entrare nella massoneria? – come si evincerebbe da un’intercettazione in cui parla lo stesso Di Donato -, ha chiesto il pm. Risposta: «Assolutamente no, se lo ha detto in un’intercettazione è perché millantava qualcosa». Sempre su Di Donato, l’imputato ha aggiunto: «E’ una persona semplice, che però sarebbe stato meglio se qualche volta avesse guardato nel suo orticello…». Questo perché, come aveva detto poco prima Prettico, «Marco Di Donato faceva proprie questioni che non lo riguardavano. Ieri ho ascoltato le parole di Monica Carcea (imputata per concorso esterno ndr). Sono sicuro che abbia detto la verità dicendo che le parole che aveva usato lei a casa di Di Donato con la moglie di quest’ultimo (sulle tensioni tra Carcea e l’ex assessore comunale di Saint-Pierre Alessandro Fontanelle ndr) erano un sfogo e lui (Di Donato ndr) ha fatto di quelle parole un problema suo. Lo so perché lo conosco bene».
I viaggi in Calabria
Prettico ha poi smentito la tesi accusatoria (basata su un’intercettazione in cui parla Marco Di Donato ndr) secondo cui il consigliere comunale si sarebbe recato in Calabria per partecipare a un incontro con la “società”; termine che, in base a quanto si legge nell’ordinanza di gennaio del gip, «è una delle modalità con cui viene indicata la ‘ndrangheta».
Rispondendo a una domanda mirata del rappresentate dell’accusa, il politico ha poi aggiunto: «Negli ultimi 20 anni sono stato due volte a San Luca. Una volta ero in Calabria e andai a comprare una statuetta per mia zia. Non arrivai nemmeno al paese perché trovai una bancarella che vendeva queste statuette prima. La seconda volta fu nel 2018: mi trovavo in Calabria con la mia famiglia per un matrimonio. Andai a San Luca per fare le condoglianze a Bruno Nirta per la morte di suo fratello. Bruno però non c’era e allora ho lasciato il messaggio di condoglianze a sua mamma».
L’imputato ha anche precisato di non aver mai portato un’ambasciata «intesa come un messaggio» in Calabria «per conto di Di Donato, ma proprio per nessuno».
(f.d.)