Legge sulla ludopatia, Consiglio di Stato: lecita la revoca della licenza allo Slot Café
Confermata la sentenza con cui il Tar della Valle d'Aosta aveva respinto il ricorso della Mgroup srl
Legge sulla ludopatia, Consiglio di Stato: lecita la revoca della licenza allo Slot Café.
Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza con cui il Tar della Valle d’Aosta aveva confermato l’atto con cui la Questura di Aosta aveva revocato la licenza videolottery, rilasciata nel 2011 alla società Mgroup srl di Gianluca Mancuso, relativamente alla sala giochi Slot Café di via Chambery (Aosta). Confermando la legittimità del provvedimento della Questura impugnato, il Tar aveva comunque stabilito che al titolare del locale spettasse un indennizzo.
La revoca
La revoca della licenza era scaturita dall’applicazione della legge regionale del 2015 che vieta l’attività di esercizi commerciali con licenza videolottery se esercitata a una distanza inferiore a 500 metri dai luoghi sensibili; nel dettaglio, lo Slot Café si trova a 81 metri dall’istituto scolastico per l’infanzia Salvador Allende.
Il procedimento
Secondo l’appellante, «l’intervento dell’amministrazione si sarebbe dovuto estrinsecare come annullamento e non già come revoca». Tuttavia, per i giudici amministrativi di secondo grado «il ritiro del provvedimento» è stato «determinato da un diverso apprezzamento dovuto alla normativa regionale sopravvenuta la quale ha anticipato il venir meno della licenza indirizzando, del tutto coerentemente, l’amministrazione a un diverso apprezzamento delle esigenze di interesse pubblico».
Nella sentenza, il Consiglio di Stato evidenzia anche come «la sentenza del primo giudice» abbia «ben qualificato oltre alla natura dell’indennizzo, quale responsabilità da atto lecito, la ricostruzione dei criteri di qualificazione dell’indennizzo, distinguendoli da quelli risarcitori che, nella specie, non possono trovare applicazione per la assorbente ragione che non è configurabile in capo alla amministrazione appellata, alcuna violazione del principio di buona fede per il quale la quantificazione del danno avrebbe seguito certamente criteri e oneri probatori diversi in capo al privato». Per questo motivo, «deve dunque essere confermato il capo di sentenza che ha riconosciuto l’obbligo dell’indennizzo sull’amministrazione, anche con riguardo ai criteri utilizzati per la sua liquidazione».
Infine, i giudici di secondo grado hanno ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale della legge regionale del 2015 sollevata dal ricorrente.
(f.d.)