Aosta: il Palazzo di Giustizia intitolato al “pretore d’assalto” Giovanni Selis
Il presidente del Tribunale: «Ha rappresentato l'ideale che hanno tutti i valdostani onesti e il concetto di legalità al massimo livello»
Giovanni Selis «era un pretore “d’assalto”. Indagò sul Casinò e condusse delle inchieste su lottizzazioni abusive e altri fatti molto gravi. Così facendo si era fatto dei nemici ma, nonostante la paura, lui continuò a lavorare e ad andare per la sua strada». Così il presidente del Tribunale di Aosta, Eugenio Gramola, nel corso della cerimonia di intitolazione del Palazzo di giustizia a Giovanni Selis andata in scena martedì 13 dicembre.
40 anni dopo l’attentato
Tutt’altro che una data casuale questa scelta da Libera Valle d’Aosta visto che, esattamente 40 anni fa (il 13 dicembre 1982), Selis scampò miracolosamente a un attentato dinamitardo in via Monte Vodice, ad Aosta; fu il primo attentato ai danni di un magistrato in Italia.
Come ricordato da Gramola, «il pretore uscì dalla sua Fiat 500 quasi illeso dal punto di vista fisico, ma non da quello morale. Quell’attentato fu collegato alle indagini che Selis stava conducendo sul Casinò di Saint-Vincent, dove si stava insediando un certo malaffare collegato alla criminalità organizzata. Di certo, dopo quell’esplosione la vita di Giovanni non fu più la stessa: fu di fatto costretto a lasciare la Valle d’Aosta e, una volta tornato, si tolse la vita».
L’intitolazione
Il presidente del Tribunale ha poi spiegato il motivo dell’intitolazione. «Stiamo parlando di una figura che ha rappresentato in modo eccellente l’ideale che hanno tutti i valdostani onesti: avere una cosa pubblica completamente scollegata da influenze mafiose, nel senso ampio del termine, o comunque scorrette – ha precisato Gramola -. Selis ha rappresentato il concetto di legalità al massimo livello, quindi questa cerimonia è qualcosa di giusto e quasi di doveroso».Gramola ha infine ricordato come «Giovanni era di origini sarde, ma si era ambientato benissimo in Valle. Era un amante della montagna e lo definirei come “un valdostano di adozione”».
Il presidente della Corte d’appello: «Importante ricordare l’impegno di Selis»
La parola è poi passata al presidente della Corte d’appello di Torino, Edoardo Barelli Innocenti, il quale ha detto: «In questo momento stiamo esercitando insieme la memoria. Stiamo intitolando il Palazzo a un magistrato che ha sempre fatto il suo dovere, rischiando anche la vita. Io credo che la lotta alla criminalità organizzata non riguardi solo le forze dell’ordine e i magistrati, ma tutta la popolazione. Loro (le mafie ndr) prosperano dove ci sono silenzio e omertà, quindi serve che la comunità parli, urli e denunci ciò che non va. Tutti noi dobbiamo sempre essere vigili, anche gli amministratori pubblici. Io credo che in Italia sia importante ricordare l’impegno di persone come Giovanni Selis».
Caselli: «Fu un “attentatuni”»
Nel corso del suo intervento, il magistrato Gian Carlo Caselli ha ricordato: «Io e Selis siamo praticamente coetanei e siamo entrati insieme in Magistratura». Parlando dell’attentato a cui scampò l’amico, l’ex giudice istruttore di Torino ed ex procuratore di Palermo ha affermato: «Nell’auto di Giovanni fu inserita una quantità di esplosivo enorme, tanto che la parola “attentatuni”, solitamente utilizzata per Capaci, potrebbe essere applicata anche a questo caso». Il magistrato ha poi evidenziato come «quattro anni dopo la morte di Selis, nell’indagine Lenzuolo affiorò un possibile legame tra l’attentato e le cosche locali».
Anche per questo motivo, «la vicenda di Giovanni è un monito per tutti noi che siamo impegnati a combattere contro il potere criminale e che non accettiamo di conviverci».
Palmas (ordine avvocati): «Favorì una presa di coscienza della legalità»
Molto personale poi l’intervento del presidente dell’Ordine degli avvocati Valle d’Aosta, Domenico Palmas, che conobbe Selis quando era in servizio nella regione alpina.
«Per come l’ho conosciuto io – ha affermato il legale -, era un magistrato attento a perseguire i reati che ora consideriamo “normali”, ma che all’epoca rappresentavano uno “scandalo”. Lui non aveva paura di promuovere azioni giudiziarie che incidevano sulle novità che stavano caratterizzando lo sviluppo economico di quegli anni. Ricordo che spesso le sue inchieste creavano scandolo, ma forse è stato proprio questo aspetto a favorire una presa di coscienza della legalità da parte della comunità valdostana».
L’amico Parini: «Era un uomo tenace»
L’avvocato Daniele Parini, invece, conobbe il pretore sul lavoro, ma i due divennero presto amici. «Il nostro rapporto nacque perché entrambi avevamo la passione per la montagna – ha ricordato Parini -. Lui seppe che io e mia moglie andavamo spesso a fare scialpinismo, così un giorno mi chiese se poteva venire con noi. Alla prima gita, però, lui era in sovrappeso e poco allenato, quindi faticò tantissimo a salire. Una volta in cima, poi, bevve un po’ di vino per scaldarsi e, così, la discesa fu ancora più difficile della salita per lui. Noi lo guidavamo dicendo “pretore giri a sinistra”, “dottore vada a destra”. E lì, per la prima volta, mi disse che dovevamo darci del “tu”».
Ma dopo la prima faticosa esperienza, «nelle successive gite era Selis a guidare il gruppo. Si era messo in forma e noi faticavamo stargli dietro. Anche qui, dunque, Giovanni dimostrava la sua tenacia».
Dopo aver ricordato con il sorriso alcune avventure vissute insieme all’amico, l’avvocato ha aggiunto: «Già prima dell’attentato Giovanni iniziò ad andare in giro con una pistola. Era preoccupato. Ricordo che una volta, mentre stavamo facendo una gita in bicicletta, scoppiò una ruota e lui si gettò a terra,
nascondendosi contro un muro. Io chiesi spiegazioni e lui mi disse: “A volte le indagini disturbano gli interesse di persone pericolose”. La bomba, poi, ebbe delle importanti conseguenze dal punto di vista psicologico. Anche il suo modo di scherzare era cambiato. All’epoca tutti pensavamo che si potesse trattare di un malessere passeggero…e ancora oggi ho il rimpianto di non averlo aiutato abbastanza».
La figlia di Bruno Caccia: «Mio padre e Selis vittime di attentato, indagavano sul Casinò»
La cerimonia è poi proseguita con l’intervento dell’avvocato Fabio Repici, che ha letto uno scritto di Paola Caccia, cioè la figlia di Bruno, il procuratore capo di Torino ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1983; come Selis, anche il magistrato torinese indagò sul Casinò e sulla criminalità organizzata.
Le parole della moglie di Selis
A margine della cerimonia, la moglie di Selis, Sara Polimento, ha commentato ai cronisti: «Un giorno, dopo l’attentato, ricevetti una chiamata anonima e il mio interlocutore, che aveva un accento del sud Italia, mi rivelò i nomi di tre persone indicandole come gli attentatori. Io riferì l’episodio a Giovanni e lui fu poi denunciato per diffamazione, con l’accusa di aver fatto trapelare i tre nomi». Per questo motivo, ha continuato la donna, «ci siamo dovuti trasferire a Roma. Lui, ovviamente, fu poi prosciolto e decise di tornare ad Aosta. Subito stava bene, poi iniziò a calare e cadde in depressione. Ricordo che aveva ricevuto delle minacce anonime via telefono. In particolare, una volta gli fu detto “questa volta non sbaglieremo”».
(f.d.)